martedì 27 gennaio 2009

Un altro film

Quando vedi recitare un cane hai la reale percezione di quanto sono bravi gli attori che ti fanno entrare dentro un film in maniera naturale, senza forzature. In politica è diverso. E' quando assisti a qualcosa di buono, anche appena sufficiente, che ti rendi conto di quanto è desolante il panorama davanti al quale sei uso sedere. Non che occorra ascoltare qualcuno bravo per arrivare a capire che una divisione dell'atomo in tre parti e la sua conseguente sparizione è probabilmente l'esito naturale di qualcosa che era già inutile di per sé. Non che sia necessario ascoltare la voce calda di un nero dall'altra parte dell'oceano per deprimersi di fronte alla stridevolezza del sindaco di una delle maggiori città italiane e alle corde vocali impastate di tabacco di un presidente di regione: avevano promesso la primavera e si sono impantanati in un eterno inverno. E non che servisse ascoltare qualcuno decente per arrivare a capire che per le sacrosante (almeno alcune) istanze avanzate dagli ambientalisti dei noantri serviva qualcuno con un equilibrio e una credibilità maggiori dell'armata brancaleone che si è cencellizzata le comparsate in tv (e il micropotere) per anni fino a diventare extraparlamentare. E' però utile, all'indomani di quella che solo in un panorama così scarsamente stimolante può essere definita la "rivoluzione verde" di Obama - laddove chi ha la reale percezione della questione la individua come un primo, deciso sì ma primo passo -, andare a riguardarsi quello che il Pd scriveva nel programma elettorale per mobilitare le masse su un problema cruciale per la stessa sopravvivenza del genere umano da queste parti: "La piena integrazione del criterio della sostenibilità e della qualità ambientale in tutte le politiche pubbliche. L'intervento diretto dello Stato, attraverso meccanismi di premio, e non con nuovi enti/società, nel settore dell'ambiente, sul quale costruire una nuova frontiera di leadership tecnologico-industriale". Parole da far venire i brividi, no? Provate a raffrontarle con queste: "Cinque milioni di posti di lavoro e millecinquecento miliardi di investimento nei prossimi dieci anni per sviluppare il settore delle energie rinnovabili; limitazione delle importazioni di petrolio dal Venezuela e dal Medio Oriente; un milione di auto ibride sulle strade entro il 2015; obiettivo del 10 per cento entro il 2012 e del 25 per cento entro il 2025 di percentuale di energia elettrica utilizzata derivante da fonti rinnovabili". Questo era il programma di Barak Obama per il quale il neopresidente ha già presentato un piano dettagliato a cinque giorni dal suo insediamento. Ecco, insomma, la si è fatta come al solito lunga per illustrare che le cose vanno dette credendoci, altrimenti non si può pretendere che ci credano quelli che ci ascoltano. E poi vanno anche fatte. La si è fatta lunga per dire che l'unico big bang che servirebbe dalle nostre parti dove non batte più il sole è un leader (sì, un leader) capace di parlare uscendo dall'infinito pantano, di preoccuparsi delle cose da fare (c'è solo l'imbarazzo della scelta per cominciare) e di rinunciare alle lusinghe asmatiche del breve periodo per puntare alto. Cose semplici e banali se uno guarda Barack Obama ma irraggiungibili viste da Marte, dove ci troviamo; pianeta dove le formazioni sedicenti di sinistra non bastano più le dita di una mano a contarle, dove i sedicenti riformisti si accapigliano come gli incivili alle assemblee di condominio e dove un questurino, ex solo perché ha dismesso i panni del manettaro ma non il modo di agire, scalda i cuori degli oppositori sedicenti duri e puri. Ma non è niente. E' solo che noi stiamo assistendo alla peggiore delle commedie in vernacolo di paese, di là si godono Sean Penn.

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