mercoledì 9 maggio 2018

Da PalaEvangelisti a Palapincopallino, che male c'è?

Nei giorni scorsi ha fatto discutere la decisione presa dalla giunta comunale di Perugia di cambiare il nome al palazzetto dello sport dove domenica scorsa la squadra di pallavolo cittadina ha conquistato il primo scudetto della sua storia. È successo che l’esecutivo cittadino ha dato il diritto di ribattezzare la struttura all’azienda che si fosse aggiudicata la gara bandita lo scorso 26 marzo. La cosa frutterà all’incirca 50 mila euro l’anno.

Il palazzetto si chiama oggi PalaEvangelisti. Evangelisti è il cognome di Giuseppe: ciclista, pittore, garibaldino e antifascista. Ci sono state diverse amenità intorno alla vicenda. Un assessore della suddetta giunta ha cannato la data di morte di Evangelisti collocandola alla fine dell’ottocento, deducendone così che Giuseppe non avrebbe mai potuto essere stato antifascista «salvo che fosse veggente», ha ironizzato. Giuseppe invece è morto a Nizza nel 1935, dopo che nel 1926 il regime fascista l’aveva mandato al confino. La cosa grave non è che il membro di giunta non sapesse nulla di Evangelisti, ma che non abbia sentito il bisogno di documentarsi prima di scriverci su. Ma non è questo il punto. Ci sono stati Vanni Capoccia e la cittadina Società operaia di Mutuo soccorso a ricordare a smemorati e spiritosi chi fu Giuseppe Evangelisti. E Leonardo Malà ha copiato-incollato sul suo profilo facebook il ritratto di “Peppino” tratto da un libro che lui, Malà, ha pubblicato nel 2008 insieme ad Alfio Branda, “Stelle in corsa”. Paradossalmente quindi, la topica dell’assessore è stata produttiva, consentendo alla città di riscoprire un suo eroe. Certo, sarebbe meglio che un membro di giunta fosse un pelino più accorto. Ma tant’è, non si può avere tutto dalla vita.

Sulla polemica si è registrato anche un comunicato della giunta, che con una discreta dose di spericolatezza ha argomentato che in seguito alla concessione del diritto di rinominare il PalaEvangelisti all’azienda aggiudicatrice dell’asta, «non verrà meno il nome giuridico-istituzionale del palazzetto dello sport che è e resta intitolato a Giuseppe Evangelisti». Cioè: la struttura si chiamerà PalaPincopallino. PalaPincopallino verrà scritto a caratteri cubitali su tutti i lati della struttura. PalaPincopallino la struttura verrà chiamata in occasione di tutte le dirette tv delle partite della squadra di volley campione d’Italia e di tutte le manifestazioni che lì verranno ospitate. Però, sotto sotto, continuerà ad essere intitolata a Giuseppe Evangelisti. Geniale. Ma non è neanche questo il punto.

Il punto è che questa cosa è stata fatta per soldi. Nel sopra citato comunicato spericolato la giunta tenta di schermarsi dietro al fatto che «si tratta di un’operazione largamente diffusa in tutte le principali città italiane che ospitano palazzetti dello sport di significative dimensioni». Al di là del fatto che la giustificazione lascia trapelare un qualche tipo di imbarazzo, come se qualcuno, all’interno della giunta, avesse subodorato che passare da PalaEvangelisti a PalaPincopallino non è una di quelle operazioni di cui andare orgogliosi. Al di là di questo, appunto, c’è un particolare che nello sgangheramento dei tempi passa per fisiologico, ma è invece patologico. È che al nome corrisponde la cosa. Se cambia il nome cambia la cosa. Succede di proposito, quando l’attacco armato a un paese viene definito «esportazione di democrazia». Succede quando si finge di distrarsi e si consente di passare da PalaEvangelisti a PalaPincopallino. Perché la struttura che ora porta il nome di un eroe, porterà il nome di un’azienda. Dove aleggiava la memoria, da domani aleggerà lo sponsor, con buona pace del «nome giuridico-istituzionale» evocato dallo spericolato comunicato della giunta. Per capire il senso della cosa, ci si può avvalere di una pratica cara alle persone attente alle questioni di genere: definire sindaca un donna eletta al vertice della massima assise cittadina non è una questione formale, come alcuni spiritosi che ironizzano su queste cose vorrebbero far credere. Definire sindaca una donna è comunicare a una bambina che c’è il nome per la carica per la quale lei un giorno decidesse di concorrere. È dire alla bambina che sì, lei potrà essere sindaca o architetta, avvocata, chirurga. Ciò, nonostante nei secoli addietro quelle professioni sono state solo appannaggio dei maschi, che le hanno coniugate secondo il loro genere perché le consideravano cosa loro. Il nome dà il senso all’oggetto, altrimenti il nostro linguaggio di umani si sarebbe limitato alla sola parola cosa. Quindi: PalaEvangelisti descrive una cosa, PalaPincopallino ne descrive un’altra. Con buona pace dei comunicati spericolati delle giunte.

Ma non siamo ancora arrivati al nodo principale. Perché abbiamo solo accennato che da PalaEvangelisti a Palapincopallino ci si arriverà per soldi. E invece è qui che sta il punto. I comuni, come quasi tutte le persone, sono sempre più strangolati da diktat provenienti da entità e dipinti come ineluttabili che non impongono solo austerità insensata e tagli e impoverimento dei servizi, ma anche veri e propri cambiamenti di senso. Secondo i dati del ministero dell’Interno, i trasferimenti erariali dello Stato al comune di Perugia sono diminuiti nell’arco di dieci anni dagli oltre 38 milioni del 2007, ai 31 del 2017. E non è successo ovviamente solo per Perugia, è una tendenza generale. Si tratta di un’erosione lenta e inesorabile che impone sforbiciate, e suggerisce la ricerca di sponsorizzazioni. Che possono portare a cambi di nome, cioè di natura delle cose, cioè di immaginario, cioè di senso, cioè di essenza di quello che siamo. Come quando si passa da PalaEvangelisti a Palapincopallino. Che lo si faccia e lo si consenta pensando che non ci sia niente di male, non attenua il male che c’è. Testimonia solo dell’incapacità di vederlo.

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