domenica 3 giugno 2018

Disclaimer: post livoroso


Nell’antipasto c’è di tutto: pizza, salumi, crostini, frittini, formaggi. Il tutto contenuto in un piatto di un diametro sensibilmente maggiore rispetto a quelli nei quali siamo abituati a mangiare tutti i giorni. Poi c’è il primo: una pastasciutta che viene sporzionata al tavolo dopo essere stata fatta arrivare dentro una forma di parmigiano scavata all’interno per fare da contenitore alla pietanza. Infine, una grigliata servita su un tagliere di dimensioni sovranaturali, dove sono finiti arrostiti presumibilmente gran parte dei tipi di carne conosciuti all’umanità. È mentre lui sta mangiando questa roba che arriva stentorea la sua voce.

“Lui” sta con “loro”. Ma “loro” non si odono mai. “Loro” sono una bambina che avrà poco più di dieci anni e una donna tra i quaranta e i cinquanta, faccia monoespressione su una tonalità tra il serio e l’annoiato. “Lui” è più o meno coetaneo della donna. Gli anni ne hanno appesantito il fisico. Si è fatto crescere una barba che una volta si sarebbe detta “risorgimentale”, avete presente le barbe di Mazzini e Garibaldi?, ma oggi è “da hipster”. All’arrosto il cameriere, che deve conoscerlo piuttosto bene, resta vicino al tavolo, e così inizia la conversazione. Si riescono a carpire alcuni termini e frasi smozzicate: «Vengo da una famiglia libertaria...considero il fascismo un’idea come le altre...io sono nazionalista, che c’è di male?». I contenuti appena riportati sono del cliente, che nonostante sia solo in fase di riscaldamento vocale, riesce comunque a respingere ogni tentativo di parola del cameriere. La voce si fa sempre più chiara anche a chi pur trovandosi nelle vicinanze, non ha alcun interesse ad ascoltare.

«Io sono nazionalista, che c’è di male?», eravamo rimasti qui. Ma quella era solo la premessa che serviva a preparare il campo per raggiungere l’apice retorico, che arriva nella frase scandita subito dopo a un volume più alto: «Perché se io vado in Polonia devo rispettare la legge altrimenti mi fanno un culo così, e invece in Italia ognuno può venire qua a fare quello che gli pare?».

Ecco. Io credo che chi non si riconosce nelle idee del ministro dell’Interno e dell’uomo con la barba che io mi sono ritrovato a poca distanza, debba smetterla di replicare a ogni sussurro suo (del ministro dell’Interno) o di chi gli sta intorno. Penso che dovrebbe smetterla di replicare e provare a tematizzare con i suoi argomenti, spostare proprio il campo di gioco. Ma questo è un discorso lungo, che non ha senso intraprendere in questo, che è un post livoroso e che quindi lascerà il tempo che avrà trovato. Ecco, dicevo, penso che sarebbe ora di tematizzare, ma mi contraddico subito. E replico. Replico qui, perché sono civile, e se avessi replicato al ristorante sarebbe finita in caciara.

Ecco, dicevo. Io penso che con questa gente si debba cercare di parlare per tentare di bilanciare la propaganda cieca e irragionevole sotto la quale si rischia di rimanere anestetizzati e di parlare come replicanti. Però questi dovrebbero anche cominciare ad avere un po’ di pudore, a vergognarsi almeno un po’ di quello che dicono. Se non altro a non esserne così fieri, come mi è parso essere l’uomo con la barba. Perché quelle frasi, dette sulla terrazza di un ristorante con vista strepitosa, serviti al tavolo mentre si sta introducendo nel proprio corpo una quantità di calorie che sarebbero sufficienti ad andare avanti senza cibo per tre giorni, sono vergognose. Nel senso che se uno avesse la contezza di star sparando una cazzata enorme se ne vergognerebbe. Chi le pronuncia però non ne ha assolutamente contezza, altrimenti non parlerebbe, e quindi non prova vergogna. Anzi. Alza la voce. Si fa sentire.

E però, la prova che egli sta sparando una cazzata enorme è data da egli stesso nel momento preciso in cui sta sparando l’enorme cazzata. Che rimane una cazzata enorme, nonostante sia suffragata quotidianamente da valanghe d’inchiostro e bit spacciate da giornalisti in cerca di vendite e analisti e politologi a metà tra l’deologicamente accecato (pur cercando accuratamente di non farlo sembrare) e lo smodato desiderio di affermarsi tentando di suscitare clamore con idee “politicamente scorrette”. Da anni, giornalisti, analisti e politologi di cui sopra, vanno spacciando la “teoria dell’uomo della strada”. Che ha sempre ragione. Che va “ascoltato e non trattato come un inferiore”. Che se dice qualcosa è perché quella cosa ha ragioni profondissime che gli intellettuali (ovvio, “de sinistra”) non capiscono. Dall’invito ad ascoltare le esigenze “dell’uomo della strada”, si è arrivati alla sua santificazione. E come tutti i santi, guai a contraddirlo, l’uomo della strada. Sono due fenomeni, quello dell’uomo della strada e dei suoi santificatori, che si alimentano l’uno con gli altri. L’uomo della strada sentenzia, i suoi santificatori a un livello più alto amplificano la sua opinione e la ergono a dogma, l’uomo della strada si specchia in esso, la politica assorbe il tutto e traduce.

Sto divagando. Perché, dicevo, l’uomo con la barba è lui stesso la prova che l’adagio che egli sta traducendo in quel momento (“non siamo più padroni in casa nostra”) è una cazzata enorme? Perché non lo sta minacciando nessuno. Perché in Italia chi delinque paga, e se il delinquente non paga è perché in genere è un potente, non un poveraccio. Perché lui, l’uomo con la barba, sta spendendo per un pranzo una cifra che coloro cui egli imputa la colpa di non poter essere padrone in casa sua, non hanno forse mai visto tutta insieme se non prima di darla all’aguzzino che li ha portati qua su un barcone traballante. Perché non c’è nessun esercito a minacciare la “civiltà” dell’uomo della strada. Non c’è nessuno da cui difendersi. E se mai ci fosse qualcuno da cui farlo, quello non è certo l’immigrato.

Se l’uomo della strada avesse contezza di questo, si difenderebbe semmai da chi lo ha eretto su un piedistallo coltivando la sua ignoranza e facendoci crescere sopra una fortuna politica, editoriale, accademica a volte. Si difenderebbe da chi gli sussurra che “chi vuole accogliere gli stranieri è perché non conosce il disagio delle periferie”. Come se chi dice quelle cose lì il disagio delle periferie lo conoscesse. O come se lo conoscesse lui, il disagio delle periferie, l’uomo con la barba che si sta mangiando l’impossibile su un panorama mozzafiato. O come se il disagio lo conoscesse chi ha postato su facebook il meme vergognoso che vedete a corredo di questo post. Ieri ha postato questa idiozia. E oggi se n'è andato al mare (facebook non dà scampo se gli affidi la tua vita, contatto mio). Siete padroni di ingozzarvi, di andare al mare. Ma non di prendervela con chi sta peggio di voi e non fa nulla contro di voi. Dovreste prendervela con chi plaude alla vostra ignoranza, coltivandola, facendoci sopra una fortuna. Ma non ci arrivate.

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