mercoledì 12 settembre 2018

Produci, consuma e...insomma quella roba lì

Non mi sono appassionato alle proiezioni, non so quanto siano affidabili. Per cui non so assolutamente se e quanto l’economia rallenterebbe nel caso in cui i negozi fossero costretti alla chiusura domenicale, né se e quanti posti di lavoro si perderebbero. Non so neanche se ci sia qualcuno in grado di orientarsi davvero in una tale materia. Di base penso che un commesso o una commessa di un qualsiasi esercizio commerciale non facciano salti di gioia quando si alzano la domenica sapendo che dovranno andare a lavorare, e a me viene spontaneo stare dalla parte loro. Non so con quali contratti vengano inquadrati, e temo che dietro il lavoro domenicale si nasconda una precarietà preoccupante. Ma in tempi impoveriti come questi so che l’adagio “meglio che niente” va per la maggiore e non è questa la sede per tentare di confutarlo, anche se non mancherebbero gli argomenti.

Di base, penso pure che chiunque debba essere messo nelle condizioni di spendere il proprio tempo come meglio crede. Quindi anche di passare la domenica da un negozio all’altro.

C’è una cosa però che colpisce in chi perora la causa delle aperture domenicali. È che lo shopping festivo viene considerato un diritto per il quale ci si infervora più che contro i ticket in sanità, più che contro il caro-libri e le tasse universitarie che hanno trasformato il diritto allo studio in un lusso; più che contro una politica dei trasporti pubblici che in sostanza ti dice: fatti la macchina e arrangiati.

Innalzare la facoltà di fare shopping a livello di diritto risponde a quella logica di distorsione dei significati in base alla quale, per dire, le città hanno cominciato ad auto-definirsi “centri commerciali naturali” per aumentare il loro appeal. Cioè: invece di chiamare i centri commerciali “città artificiali”, restituendogli la loro carica di luoghi posticci, sminuiamo il senso di centri storici che hanno una storia plurisecolare alla sola dimensione commerciale. È come se le città esistessero solo per fare shopping, come se uno si realizzasse solo nella sua dimensione di cliente-acquirente-consumatore. Come se la sola cosa che ci arricchisca sia il possesso di cose. Come se l’unica cosa degna da fare nel tempo libero sia quella di comprare. A questo porta l’innalzamento dello shopping festivo a livello di diritto.

Ripeto: ognuno è libero di trascorrere il proprio tempo come vuole, anche di saltellare da un negozio all’altro spendendo i pochi soldi guadagnati facendosi sfruttare. Però se uno ci fa mente locale, ci sono diverse decine di cose da fare nel tempo libero che non siano comprare, e sono tutte meglio di comprare. Io non le elenco, ché già fare uno sforzo di fantasia a elencarle porta a immaginarsele, e magari a vedere meno vuote le domeniche senza shopping. Anzi, a desiderarle.





Nessun commento: