martedì 14 giugno 2011

Respirare

E' sempre bene farsi trovare pronti a prendere le distanze da noi stessi. Lo è ancora di più di fronte a un'eruzione come quella alla quale si sta assistendo da qualche tempo a questa parte. Quando un vulcano erutta tu non sai cos'è successo dentro prima che vedessi il fiume incandescente sgorgare. Non sai che movimenti magmatici ci sono stati. Vedi semplicemente della lava uscire e te ne sorprendi. Noi oggi stiamo così: vediamo un vulcano silente da anni che si è messo ad eruttare e copre di lava i fianchi della sua montagna e la valle sotto. Copre le certezze, gli strumenti d'analisi, perfino gli alfabeti che si era soliti usare. Di fronte a questo, come poter pensare di avere sicurezze se non quella dell'indefinibilità del panorama che si è venuto a creare? Come, di converso, poter essere certi che siamo davvero di fronte a una soluzione di continuità? Come non essere sfiorati dal dubbio che anni di letargo (se era letargo e non sedimentazione lenta e nascosta) non possono portare a rivolgimenti? Come non considerare che quello che sta succedendo può essere solo un incidente di percorso? Detto quindi che il margine d'errore è infinitamente alto e dando ormai per scontato quello che si scrisse qui, uno tenta di capire cosa sarà cercando di raccattare i segni di oggi.
1) I canali tradizionali di formazione del consenso sono saltati. I partiti, già in parte venuti meno insieme alla prima repubblica, sono una componente sempre meno decisiva nelle scelte delle persone. I quesiti referendari sono stati promossi nonostante i partiti. Le vittorie più significative per il centrosinistra alle Amministrative sono state còlte da due eretici. Da due che secondo la vulgata degli opinion leader e politici mainstream, erano perdenti in partenza perché incapaci di parlare ai moderati, al centro; a quell'entità quasi metafisica con cui abbiamo a che fare da decenni, che per seguirla non devi fare altro che tentare di essere meno diverso possibile dal tuo avversario. La televisione ha messo la sordina ai quesiti, eppure questo non ha compromesso il raggiungimento del quorum. Anche in questo caso, un'altra entità metafisica ha mostrato tutta la sua vuotaggine: l'auditel, lo share, non tengono conto che ogni sera ci sono milioni di italiani che la tv non la guardano perché fanno mille altre cose: parlano, leggono, lavorano, ascoltano musica, giocano coi figli, navigano in internet, fanno l'amore, vanno al cinema, a teatro, a un concerto, al ristorante. Tutte attività che l'auditel non contempla. E soprattutto, gli italiani, si fanno opinioni che non si capisce come si formino, vista la loro incongruenza con gli input che da decenni sono stati sparati sul corpo sociale.
2) I partiti, che l'aria l'hanno fiutata in massima parte perché pagano i sondaggisti (i quali, a loro volta, hanno tenuto il quorum in bilico mostrando lenti parzialmente distorte anche loro), sono dovuti andare a traino. Alcuni dando libertà di voto sull'abrogazione di leggi che essi stessi avevano votato in parlamento; altri saltando preventivamente sul carro buono dopo mesi di sdegnosa indifferenza verso chi quel carro l'ha trainato. Ora, i partiti a traino ci vanno da anni. Berlusconi in questo è stato un maestro. Si fa il sondaggio, si vede come la pensa la maggioranza e si modulano i segnali da mandare all'opinione pubblica. Il punto è che pur andando a traino, fino a qualche tempo fa, i partiti sapevano essere anche acceleratori, modellatori di consenso. Oggi no. Semplicemente vanno dietro a un'opinione pubblica che non capiscono più. Se ne avessero coscienza proverebbero la sensazione di Dorian Gray davanti allo specchio. Ma forse sono addirittura così incartapecoriti da non provarle neanche più, le sensazioni.
3) E in effetti è difficile capire un'inversione di tendenza tanto decisiva. Ci siamo ubriacati di privatizzazioni. Abbiamo trasformato in manager i dirigenti scolastici e quelli ospedalieri. Tutto l'arco parlamentare non trova alcunché di scandaloso nel fatto che si facciano profitti su acqua, salute, istruzione. E che ti fa una buona maggioranza di italiani dopo tre decenni di sbornia anti-pubblico? Ti dice che i servizi pubblici locali vanno sottratti al profitto privato. Che è una contraddizione in termini, per una società di persone, che qualcun di queste persone sia messa in condizione di lucrare su qualcosa di irrinunciabile per vivere. Puoi lucrare sui pantaloni, sul caviale, sulle auto, ma non sull'acqua, sulla salute, sull'istruzione. E' una cosa tanto ovvia oggi quanto blasfema ce l'hanno fatta apparire negli ultimi trent'anni.
4) Cosa succederà? E che ne so? Si può azzardare che nelle risposte ai quesiti referendari su acqua e nucleare (essendo quello sul legittimo impedimento un accidente capitato per avere un capo del governo anomalo), c'è in nuce un programma di governo: la cosa pubblica va amministrata dalla sfera pubblica in maniera efficiente, non utilizzata per parcheggiare nei consigli d'amministrazione vecchi tromboni ormai impresentabili nelle aule consiliari e parlamentari; l'energia è una cosa seria e serve un serio programma di ricerca per liberarci dall'inquinamento, soddisfare i fabbisogni e dare impulso a una crescita autentica perché sana dell'economia. Di più. Non si deve aver paura dell'innovazione, visto che se ne ha bisogno come dell'aria. Gli elettori l'hanno capito nonostante i cannoni dell'indifferenza puntati contro. E si stanno mostrando molto più avanti di quanto la pelosa retorica sul moderatismo ne distorca le posizioni. E non si deve aver paura di misure drastiche se queste porteranno a buoni risultati nel medio periodo. In una parola, si deve rialzare la testa e guardare un po' più in là della punta dei nostri piedi. Si deve tornare a respirare, se non si vuol morire di claustrofobia. Cominciando a capire che è cambiato tutto. Non è più una sensazione, gli italiani l'hanno fatto capire mettendo una croce su un passato in cui non c'è solo Berlusconi, ma i protagonisti di un'intera stagione politica.

lunedì 13 giugno 2011

Senza parole

Sono le 23,48 e quel giornalista di razza che risponde al nome di Bruno Vespa sta trasmettendo una puntata sul caso della povera Sarah Scazzi. Non ci sarà nessuno scandalo, perché non ci sarà nessuna presa di posizione del suddetto giornalista di razza. Nessuna eruzione alla Santoro contro Castelli, nessun corsivo di Travaglio, nessun faro puntato sul presidente del Consiglio di cui non si può parlare se non macchiandosi del reato di lesa maestà. Solo un parlare di nulla nel giorno in cui è successa una cosa straordinaria, che nessuno condannerà. Perché non c'è parola contro. Semplicemente non c'è parola.

Sì!

Stasera sono andato a fare festa in piazza. Non accadeva dall'11 luglio dell'82. Annoto due frasi, a prima vista non piacevoli, ascoltate da due persone diverse, una delle quali sicuramente rispettabile, l'altra lo penso. La prima: "Mi ride anche il culo". La seconda: "Mi dispiace avere un solo pene perché stasera devo farmi almeno quattro seghe". Io ho anche un paio di cose serie da dire dopo i referendum. Le rimando a domani. Stasera è festa e c'è tanta gente che sorride in giro.

venerdì 10 giugno 2011

Urlo con Santoro

Non vorrei passare per il santoriano che non sono. Penso, come ha scritto qualche giorno fa Aldo Grasso sul Corriere, che sia un ottimo giornalista non immune da difetti. Resta il fatto che cassare una trasmissione che fa una media di ascolti sensibilmente superiore a quella della rete che la ospita, come ha scritto Grasso, è un'enormità difficile da riscontrare altrove. E resta il fatto che tra i tanti difetti che la Rai ha, c'è quello di sacrificare le professionalità (questione che va al di là di Santoro) sull'altare della politica. Non vorrei passare per il santoriano che non sono, dicevo. ma quando ho visto questo pezzo di trasmissione, non sono riuscito a trattenere un moto di soddisfazione. Anzi. Di più. Ero lì che urlavo scomposto insieme a Santoro. Perché tra le tante cose cui ci siamo assuefatti in questi anni difficili, c'è non tanto la menzogna, quanto proprio il rovesciamento della realtà. Dire, come ripete  nel video Castelli con taroccato buonsenso, che i soldi del canone servono a pagare Santoro e Travaglio, è una delle tante falsità di cui si avvale la propaganda di destra. La Rai con Santoro, a quanto mi consta, incassa il doppio di quello che spende. E semmai il surplus serve a pagare, come urla Santoro nel video, i fallimenti voluti in video dalla partitocrazia ottusa che sta sfettucciando la Rai. Invitare Santoro a confrontarsi col mercato da parte di un dirigente di un partito che ha imposto in Rai Gianluigi Paragone, è come vedere un sequestratore rinfacciare al proprio rapito di avere dei modi rudi. La realtà è che Santoro è uno che la televisione la sa fare. E sta a suo agio nel mercato, come dimostra da anni. Sono altri a dover ricorrere al doping per starci dentro. Sentirli far prediche è davvero insopportabile. Per questo urlo con Santoro anche se non sono santoriano.

lunedì 6 giugno 2011

Monosillabo referendario

Quattro Sì. Anche se la gestione degli acquedotti l'azzererei. E la ricerca sul nucleare non la mollerei.

mercoledì 1 giugno 2011

Una grande, continua promessa

Si prova un sentimento di tenerezza a vedere per l'ennesima volta la stampa di destra - dopo diciassette anni di promesse e di tasse mai abbassate, di caste mai colpite, di burocrazie sempre imperanti, di spese improduttive mai sanate - pregare a mani giunte Berlusconi perché torni il Berlusconi del '94. Berlusconi è sempre stato così, una grande promessa mai realizzata. Anzi, la politica della promessa. Tanto che degli impegni presi  da diciassette anni a questa parte non ne ha realizzato uno e li ha reiterati di anno in anno, di elezione in elezione. La cosa che è cambiata è che i suoi elettori, complici anche le sue intemperanze insopportabili per il ruolo che riveste, se ne sono accorti e hanno preferito andare al mare piuttosto che votarlo. Tutto qua.

lunedì 30 maggio 2011

Appello inutile

De Magistris, Pisapia, Zedda, per favore, non lo dite. Non dite che sarete i sindaci di tutti. Almeno voi.

La terza?

Non è successo ancora niente. Per questo, in maniera magari avventata, voglio mettere a verbale che con  risultati alle amministrative di questa portata, con la vittoria di questi candidati, cambieranno parecchie cose. Azzardo: il Pdl, con l'ormai scontata uscita di scena del collante Berlusconi potrebbe sfaldarsi in più rivoli con conseguenze al momento imprevedibili; il Pd è costretto a non poter prescindere dalla sua sinistra. Occhio: non è come ai tempi di Rifondazione, quando alla coalizione servivano i voti che sapeva portare il partito di Bertinotti; oggi di quella parte politica servono anche gli uomini. Ma è l'intero sistema politico scaturito da Tangentopoli e cosidetto della seconda repubblica che sta venendo meno.

La forza dell'abitudine

Guardo i risultati. E quasi non ci credo.

martedì 17 maggio 2011

Ululati

C'erano un partito di grande tradizione in bilico da vent'anni tra il non-si-può-fare e il dio-che-paura e delle brave persone così poco tradizionaliste da non avere partito. Il partito di grande tradizione era numeroso e stava in una casa elegante e attrezzata. La grande tradizione gli consentiva di rimanere consistente in termini numerici, ma la sua vita era da tempo inerte perché la fazione del non-si-fa e quella del dio-che paura non riuscivano ad uscire di casa. "Guardate che va a piovere, prendiamo l'ombrello", dicevano gli uni. "Ma è tutto sereno", rispondevano gli altri. "Ma che dite, guardate che nuvoloni!", era la replica. E mentre quelli si affacciavano dalla finestra a guardare le condizioni del cielo, qualcuno della parte avversa nascondeva le chiavi che poi si faceva notte a furia di cercarle e non trovarle. Le brave persone, fuori dalla casa ad aspettare che quelli del grande partito si decidessero a uscire, non riuscivano nel frattempo ad andare da nessuna parte. I popolani del villaggio che era nei pressi non li ospitavano perché li consideravano pericolosi da mettersi in casa e li ritenevano responsabili di cose strane che accadevano di notte. Le giornate erano calde e assolate quanto le notti fredde, piovose e animate da ululati che scuotevano di paura al solo sentirli, anche se nessuno aveva mai visto gli animali che li emettevano. I popolani pensavano che fossero strane bestie allevate dai senza casa là fuori. Questi dal canto loro non riuscivano a farsi credere quando dicevano che gli ululati si sentivano soltanto, ma nessuno aveva mai visto gli animali che li emettevano. Restava il fatto che di giorno era difficile mettersi in cammino sapendo di non avere una casa dove approdare la notte successiva. Passarono anni. Quelli del grande partito dentro la loro bella abitazione a litigare e cercare continuamente le chiavi per uscire, le brave persone troppo impegnate a trovare riparo in anfratti, grotte, capanne messe in piedi alla meglio. E i popolani che mettevano il naso fuori di casa solo per andare a guadagnarsi la pagnotta e vi si rintanavano la notte con i brividi per gli strani ululati che venivano da chissà dove. E per i senza casa erano polmoniti, stordimenti, malesseri di ogni tipo là fuori, dove i giorni splendenti e le notti gelate sembravano governati dal dio del meteo, che tutti sapevano che non esisteva ma quasi cominciavano a crederci. Le brave persone cominciarono a recriminare con quelli dentro la casa: "Guarda tu, essere così in tanti, attrezzati e non riuscire a decidersi a uscire di casa per metterne in piedi una più grande in grado di ospitarci tutti". Ed erano disposti a dare una mano, seppure tra loro non mancava chi si beava di una vita sempre e comunque all'aperto. Poi una delle brave persone si decise a suonare il campanello di quella casa bella, attrezzata ma non sufficiente a farci star dentro tutti: "Venite fuori - disse - ho diversi amici disposti a dare una mano a costruire un edificio più grande in grado di ospirtarci tutti, se voi volete. Noi da soli non ce la facciamo senza la vostra attrezzatura, ma voi dovete avere il coraggio di uscire da casa vostra. Lo potremmo rendere autosufficiente da un punto di vista energetico, prevedere delle stanze per gli ospiti che vengono da lontano e saremmo in tanti a coltivare la terra qua intorno che potrebbe dare frutti per tutti". Quelli dentro non ci credevano e rimasero scettici ma fu la distrazione a fregarli: fuori c'era un bel sole e loro smisero senza neanche accorgersene di litigare sull'ombrello e di cercare le chiavi. Semplicemente, uscirono di casa. Nel villaggio la notizia si sparse in un baleno. "Ehi, quelli del partito dalla grande tradizione sono usciti e stanno insieme a quelli senza casa, mi sa che stanno costruendo un edificio più grande, ho intravisto il progetto, verrà bellissimo", disse uno dei ragazzi di ritorno dal call center in cui avrebbe lavorato tutto il mese grazie alla chiamata dell'agenzia interinale. Parecchi dei popolani del villaggio uscirono di casa per vedere. La notte successe una cosa che non accadeva da così tanti anni da sembrare incredibile: la temperatura scese ma non gelò. E nessuno sentì ululare.

martedì 10 maggio 2011

Momenti di trascurabile felicità

Quando ti squilla il telefono e, dopo non aver fatto in tempo a rispondere, guardi il numero e realizzi che era una scocciatura.

venerdì 15 aprile 2011

Niente, o quasi

Niente, solo per dire che se l'avessi conosciuto di persona l'avrei salutato con un "ciao Vik", come stanno facendo in questi momenti i suoi amici. Ma a me, che di persona non l'ho mai visto se non in video e che non ho conosciuto come la pensasse e cosa facesse se non leggendo le sue cose, e che tendo a non accorciare le distanze anche con le persone per cui provo ammirazione, esce solo un "ciao Vittorio" oltre ai brividi per la morte assurda che gli è toccata.

lunedì 21 marzo 2011

Da profano

Qualcuno forse un giorno ci fornirà una compiuta illustrazione dei reali motivi dell'accelerazione improvvisa nella guerra a Gheddafi. Petrolio, volontà di ridisegnare una mappa geopolitica inserendosi nella sopravvenuta instabilità, contenimento dell'avanzata cinese in Africa, una spruzzata di diritti umani e quant'altro. O, più verosimilmente, un po' di tutto questo saggiamente dosato. Di certo, dopo le sollevazioni di Tunisia, Egitto e Libia, quella della guerra è l'ennesima sorpresa che coglie un po' tutti. Anche perché, a leggere commentatori non del tutto sprovveduti nei giorni a ridosso della decisione di muovere guerra, a tutto si pensava tranne che a un così repentino intervento (qui e qui un paio di esempi). Questo giusto per mettere in chiaro che non è questo il post dove si daranno interpretazioni che farebbero sorridere per la loro lacunosità, vista anche l'oscurità in cui brancola gente a cui ci si rivolge per capirne qualcosa. E non sarà neanche il post in cui si sparerà su un pover'uomo - inopinatamente capo di governo - che dopo aver baciato le mani, fatto affari e firmato trattati, si trova costretto a rincorrere i bombardieri altrui per non rimanere indietro nella spartizione del bottino di guerra - fase nella quale l'Italia, essendo stata fino a ieri il principale partner commerciale della Libia, avrà solo da perdere. Il punto semmai è questo: poteva l'Italia svolgere un ruolo di mediazione, cerniera e moral suasion nei confronti di Gheddafi nel momento in cui la situazione in Libia precipitava (ruolo che il suo passato coloniale e il suo presente di partner commerciale facevano apparire agli occhi di un profano quasi naturale)? Cosa l'ha impedito? Troppo forti Francia e Gran Bretagna? Troppo arduo fare fronte comune con la Germania? Meglio tenersi con le mani libere per conservare quel ruolo predominante in Libia che gli avvenimenti di questi giorni rischiano di ridimensionare pesantemente? Rispondere è tanto difficile almeno quanto è forte la tentazione di concludere che l'opacità della posizione italiana è frutto della scarsezza della sua diplomazia. Ma è l'opinione di un profano.

giovedì 17 marzo 2011

Visti da lontano

Ma com'è stato possibile che voi, quelli che "teacher leave your kids alone", quelli che la scuola era da cambiare e i professori che avevate (alcuni, non tutti) erano da (ri)mettere sotto naftalina; voi che volevate rompere gli schemi, andare oltre, riformare, se non rifondare; quelli che "il proletariato non ha nazione ecc..."; ecco, com'è possibile che vi ritrovate a difendere tutto, a dare l'idea di quelli che vogliono che tutto rimanga uguale a se stesso, dalla scuola alla Costituzione; e ci fate sopra manifestazioni in cui sfilate col tricolore in mano? Voglio dire: che ci siano soggetti che nel tempo cambiano opinione, questo blog l'ha sempre ritenuto un fenomeno vitale. Ma che un'intera parte politica subisca una trasformazione così lenta, impercettibile e profonda da ribaltare quasi il senso del suo stare sulla scena, pone interrogativi. E anche risposte. Ad esempio questa: il berlusconismo ha cambiato tutti, anche voi che berlusconiani non siete mai stati; non illudetevi. E così vi ritrovate a difendere la scuola pubblica così com'è: sclerotizzata, con professori improbabili a insegnarci dentro e, spesso, fuori dal tempo. Sdilinquite per il Benigni sanremese istituzionalizzato e - a tratti, solo a tratti, non fraintendete - quasi nazionalista. Appendete il tricolore al davanzale dopo averci messo, anni fa, l'arcobaleno della pace. Ma che è successo? E' successo che - hai voglia a essere ottimista e a vedere il bicchiere mezzo pieno - siamo tutti da anni impegnati in una spesso neanche troppo onorevole ritirata. E per non sprofondare troppo giù, difendiamo quello che un tempo volevamo superare per andare più su. Con la non trascurabile conseguenza di apparire conservatori. Certo, ci sono state ragioni anche al di là delle nostre incapacità; certo, meglio una scuola pubblica sgangherata, che il ritorno al censo, al liceo per la borghesia e agli istituti, se va bene, per i subordinati; meglio l'Italia unita da Pordenone a Palermo che la Padania e chissà cosa sotto. Però ammettetelo, se cantate a squarciagola l'inno di Mameli brandendolo come arma politica è perché l'orizzonte si è ristretto. E quel tricolore sventolatelo almeno con meno baldanza, che i tempi sono quelli che sono.
PS: qui, qualcosa di analogo, magari più lucido e sofisticato.

martedì 15 marzo 2011

Intraducibile

Nella successione di immagini inimmaginabili e del fiume di parole che si vanno accavallando da venerdì scorso, una in particolare mi ha impressionato. L'inviato che l'ha citata l'ha spiegata più o meno così, per illustrare il modo in cui nell'altra parte di mondo stanno fronteggiando la sciagura che gli è toccato di sopportare: volontà di "tenere" per non avere la vergogna di essere un peso per la comunità di cui si fa parte. E ha concluso che la parola giapponese che aveva appena citato è intraducibile in italiano.

Nuclear era

Non ho elementi di conoscenza sufficienti a disposizione per essere in maniera convinta pro o contro il nucleare. di certo, la paura di eventuali contaminazioni e il problema dello smaltimento delle scorie, mi fa tendere a stare dalla parte dei contro, ma sono disposto a sentirle, le ragioni degli altri. Chiederei solo che di fronte a disastri di portata epocale, i sedicenti moderati nonché teorici della fine delle ideologie, usassero un po' del pragmatismo che consigliano a quelli che loro sono soliti definire comunisti, per prendere in esame la questione in maniera un po' più problematica rispetto all'approccio ottusamente furente e ideologico che stanno utilizzando.