lunedì 22 aprile 2013

Nuove scoperte sull'homo democraticus

La comunità scientifica internazionale si sta appassionando al caso del Pd e del suo segretario Bersani. «Dagli insetti ai mammiferi alle società antiche, non c'è traccia di un analogo esempio di sodalizio umano o animale che sia riuscito con tale perfezione a peggiorare ogni ambito nel quale abbia operato», rivela un redattore della rivista New Scientist. Un fenomeno che sta portando storici, archeologi, fisici, linguisti e anche giornalisti sportivi a riconsiderare i rispettivi ambiti di lavoro.

I vocabolari ad esempio si stanno arricchendo di nuovi significati. Nella prossima edizione del Devoto-Oli comparirà per la prima volta la parola "Bersanismo": «Pratica che non contempla altre possibilità se non l'errore e il capovolgimento di situazioni di favore a proprio svantaggio».

Nei prossimi giorni un pool di fisici provenienti dall'Università di Harvard arriverà in Italia per studiare da vicino i movimenti dei principali esponenti del Pd. «Dopo averli visti solo in tv, vogliamo capire attraverso l'osservazione diretta se è possibile realizzare un modello che spieghi come sia possibile inciampare da seduti con una tale frequenza», ha spiegato il luminare che coordina il progetto.

I redattori delle principali testate sportive sono stati attratti dal grido d'allarme di Comunardo Niccolai, il celebre stopper del Cagliari passato alla storia per l'innata propensione agli autogol: «Almeno ero ricordato per qualcosa, ora con questi qua rischio di finire nel dimenticatoio», ha dichiarato Niccolai nella conferenza stampa convocata per accendere i riflettori sul suo caso. Ha provveduto a rincuorarlo un giovane e promettente redattore della Gazzetta dello Sport: «Non preoccuparti Comunardo - ha detto il cronista - sono due cose diverse: i tuoi erano involontari. Invece, se li osservi bene, loro gli autogol se li fanno di proposito».

Ma il campo nel quale lo studio del Pd sta portando alle conseguenze più inaspettate e rivoluzionarie è quello dell'archeologia. Si sta facendo infatti sempre più concreta l'ipotesi che oltre a quello di Neandertal un altro ominide si sia estinto dopo una temporanea convivenza con l'homo sapiens. Si tratta dell'homo democraticus.

I fossili rinvenuti hanno consentito di stabilire che l'homo democraticus era dotato di una massa cerebrale analoga a quella del contemporaneo homo sapiens e aveva sviluppato un'ottima manualità. Se ne conoscono almeno tre varianti: dalemians, veltronicus e renzianensis. Ma come ha potuto estinguersi un ominide in tutto e per tutto simile al sapiens, nostro progenitore? Su questo la comunità degli studiosi è concorde: mentre l'homo sapiens costruiva frecce per cacciare animali e procurarsi cibo, l'homo democraticus le frecce le rivolgeva verso se stesso per vedere se funzionavano.

giovedì 18 aprile 2013

Marini? Ma dai!

La gente comune non è depositaria di alcunché. Meno che mai contano le esperienze personali di chi sta scrivendo la cosa che avete la pazienza di leggere. Però questi tre mini-episodi mi sembrano indicativi e vanno al di là del personale, per questo li riporto. 1) Ieri sera, fino a tardi, su twitter e su facebook, ho letto appelli accorati ai deputati del centrosinistra: macché Marini, votate Rodotà (ma quelli sono social network, la vita reale è altrove). 2) Stamattina presto, al mercato settimanale dei prodotti a km 0, incontro un amico che non sentivo né vedevo da qualche giorno. Ci siamo salutati con un sorriso che è stato immediatamente sostituito da uno sguardo sconsolato. Non avevamo ancora praticamente aperto bocca, ma sapevamo entrambi a cosa era dovuto il velo che aveva coperto i sorrisi (siamo entrambi padri di famiglia piuttosto moderati, ma magari di noi si può pensare che siamo pericolosi sovversivi). 3) Poi sono andato ad allenarmi al parco e mentre correvo ho assistito al seguente siparietto che ha coinvolto due anziani:
Anziano A, urlando all'anziano B lontano circa 20 metri: «Ehi, allora l'hai votato Marini?».
Anziano B: «Ancora no, ma adesso vado».
Anziano A: «Porca maiala, quisti enno proprio rincojoniti».
(traduzione per chi non ha dimestichezza con lo slang perugino: «Perdincibaccolina, sono proprio distratti questi nostri rappresentanti di centrosinistra).
Detto ciò, il rispettabile Marini (se ce la farà) potrebbe anche diventare il miglior presidente della Repubblica che l'Italia avrà mai avuto. Ma non mi convincono per niente le lezioncine di chi pensa di saperla lunga e va professorando in queste ore che occorre tenere conto della realtà. E mi fanno un po' pena quelli che sperano e vorrebbero far sperare (questo soprattutto i democrat che si vergognano che i loro votino Marini), che l'ex segretario Cisl è stato nominato per bruciarlo e non eleggerlo. Perché la realtà è quella descritta nei tre episodi che ho riportato. E certe logiche di palazzo allontanano in maniera siderale dalla vita reale. Mi spiace, ma al di là di come andrà il Pd ha legato il suo nome a Marini, che è un signore degno di stima. Si tratta di una connessione che il principio di realtà avrebbe suggerito di evitare, basta guardarsi intorno e uscire da logiche vetuste per capirlo. Tanto più che c'è di mezzo un'alternativa di nome Stefano Rodotà: impeccabile, di garanzia per tutti, perfino elegante. Ma forse troppo per questa Italia e per questo parlamento.

martedì 16 aprile 2013

I papabili per il Quirinale

Effetto elezioni politiche sui partiti in vista dell'elezione del successore di Napolitano. «Occorre nominare un presidente della Repubblica vicino al sentire della gente comune, basta con una politica lontana dai cittadini», è il refrain che si sente con sempre maggiore insistenza nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama.

Ecco perché ad esempio sono sempre più in ribasso le quotazioni di Stefano Rodotà e Romano Prodi. Il primo definito da un alto esponente del centrodestra che preferisce mantenere l'anonimato, «un rompicoglioni sempre lì a cavillare sui diritti che per di più si esprime correttamente in italiano: la maggioranza degli italiani non capirebbe». Per non parlare poi del secondo, «che conosce bene addirittura anche l'inglese».

In calo anche i consensi di Emma Bonino. Se proprio la scelta dovesse cadere su un esponente radicale, si ragiona nel Pd, si potrebbe prendere in considerazione l'elezione di Pannella, «almeno lui ha il vizio di fumare dove non si può, e il fatto che gli sia spesso capitato di insultare gli avversari politici potrebbe aprire una breccia nel fronte del Movimento 5 Stelle».

Una linea bocciata però da Matteo Renzi: «Basta inseguire i grillini facendosi umiliare, meglio cercare un'intesa con il Pdl». Per questo il sindaco di Firenze è pronto a sfilare l'asso dalla manica: Licio Gelli. «Uno che fornirebbe garanzie a Berlusconi sulla giustizia e che per di più assicurerebbe quello di cui oggi l'Italia ha maggiore bisogno: la formazione immediata di un governo forte. Non è una mia impressione - chiosa Renzi - è la sua storia personale che parla».

Ma il vero colpo a sorpresa lo ha in serbo Berlusconi. In una riunione ristretta ha stupito i suoi, invitandoli testualmente a «studiare la lezione di Roberto Saviano». Allo scetticismo di Alfano («Ci hai sempre detto che quello lì è un comunista»), l'ex premier ha risposto così: «Angelino, anche stavolta non hai capito un cazzo: Saviano ci dice che ci sono milioni e milioni di italiani che sniffano cocaina, se noi riuscissimo a intercettare i loro voti proponendo per il Quirinale un nome che raccolga i favori di quel mondo staremmo a cavallo; poi le elezioni potremmo vincerle anche se presentassimo te come candidato premier». Il problema però è che gli esponenti del cartello di Medellin sono tutti ineleggibili perché sprovvisti della cittadinanza italiana, e ormai non si fa in tempo neanche a procurargli un documento taroccato.

La carta a sorpresa potrebbe essere allora Nino Scannabuoi, per gli amici, "o malamente". Si tratta di una vecchia conoscenza di Berlusconi, gli venne presentato da Nicola Cosentino durante la campagna elettorale del 1996. Narici consumate, perennemente sovraeccitato, spesso sorpreso a picchiare le sue donne.

«Scannabuoi ha tutte le carte in regola per essere il presidente di garanzia in cui molti italiani potrebbero riconoscersi», ha detto l'ex premier ai collaboratori. Per di più esce di galera dopo aver scontato 15 anni per traffico internazionale di droga proprio il 17 aprile, il giorno prima che inizino le operazioni di voto delle Camere riunite.

domenica 7 aprile 2013

Grillo e il mago Otelma

Alla fine Grillo ce l'ha fatta: nell'incontro segreto alle porte di Roma ha ricompattato i parlamentari del Movimento 5 Stelle con un discorso che ha tenuto sveglio per tutto il tempo pure Vittorio Crimi. Non c'è stato neanche bisogno di ricorrere all'utilizzo della frusta e della mazza da baseball che la fedelissima capogruppo della Camera aveva procurato al leader. Anche Tommaso Currò, il principale fautore di un confronto col Pd, è rientrato nei ranghi: «Non ho sentito cosa ha detto Beppe perché all'andata, sul bus, abbiamo giocato al gioco del soldato e i miei compagni mi hanno fracassato entrambi i timpani a suon di sberle, però ho visto che tutti applaudivano convinti e sono uscito entusiasta».

Un piccolo contrattempo si è registrato subito dopo la partenza: al primo bivio, la colonna di pullman sui quali viaggiava la comitiva è rimasta bloccata per un paio d'ore perché al conducente del primo mezzo che chiedeva alternativamente: «Svolto a destra? Svolto a sinistra?», Grillo continuava a rispondere: «No». Solo quando ha sentito la voce metallica del navigatore e l'ha scambiata per quella di Casaleggio, il leader si è convinto a muoversi, seguendo le indicazioni. Così l'ingorgo - che si era nel frattempo esteso fino alla frontiera con la Francia e ha provocato lunghe code all'imbarco dei traghetti da Reggio Calabria per la Sicilia - si è cominciato a dipanare.

Superato di slancio il momento di tensione vissuto quando un parlamentare del Molise ha posto con forza una delle questioni che ha animato di più la giornata, quella del pranzo: «Nella mail di convocazione non c'era scritto che era al sacco, e io non ho portato nulla, va a finire che mi tocca rimanere digiuno; qui c'è gente che soffre di pressione bassa». Ma Grillo, con uno dei colpi di genio che lo contraddistinguono, ha convinto i gestori dell'agriturismo a portare gli avanzi della sera prima.

Il leader è stato magnanimo pure con i due senatori campani beccati al bagno mentre fumavano marijuana, anche perché la loro difesa è stata impeccabile: «Quest'erba è biologica e pure a chilometri zero - ha detto uno dei due - la coltivo personalmente nell'orto di nonno, stiamo quindi rispettando in pieno il programma del Movimento».

Ma tutti attendevano le parole del leader: «Ragazzi, ci ha detto una gran sfiga - ha esordito Grillo. L'algoritmo generato dai server che Gianroberto (Casaleggio, ndr) custodisce in Costa Rica aveva sopravvalutato il Pd e prevedeva che noi prendessimo parecchi voti, ma che nessuno avesse bisogno di chiederci nulla. È questo uno dei motivi per cui abbiamo sbandierato la decurtazione del vostro compenso. Cinquemila euro al mese per venire a Roma a urlare un vaffanculo di tanto in tanto e riprendere con la telecamera la Santanchè mentre si rifà il trucco durante i lavori in commissione, erano più che sufficienti. Qui invece si tratta di decidere. E a questo non eravamo e non siete pronti. Mi rendo conto delle vostre difficoltà. Sappiate però che la nostra unica possibilità di salvezza è rimanere fermi sul nostro programma, dire sempre di "no" e insultare periodicamente qualcuno: partiti, giornalisti, pensionati al minimo, ballerine di night club, fate voi. Solo così la gente continuerà a stare con noi».

Varato all'unanimità il pacchetto dei disegni di legge che il Movimento considera prioritari per superare le emergenze del Paese: abolizione del lunedì poiché è un giorno vecchio di millenni e dà fastidio a tutti, nonostante il costante aumento dei disoccupati; dono di una chiavetta usb a tutti i bambini che nasceranno nel 2013; divieto di utilizzo del verbo "partire", che presenta l'inconveniente del participio passato "partito" o "partiti"; incentivi fiscali per i disoccupati di lungo corso che decidono di aprire un proprio sito internet.

Grillo ha infine presentato il nome del candidato dei Cinque Stelle alla presidenza della Repubblica: «Uno che guarda al futuro e fuori dai soliti giri», l'ha descritto il leader: il mago Otelma.

mercoledì 3 aprile 2013

Governo e Quirinale, la strada delle larghe intese

Le spiegazioni del Quirinale per la scelta dei dieci saggi hanno contribuito ad abbassare i toni della polemica. A chi gli ha fatto notare che gente come Quagliariello, Giorgetti e Violante sarebbe considerata un'offesa anche se venisse offerta come premio per la pesca della fortuna al luna park, il presidente della Repubblica ha replicato con un argomento inoppugnabile: «Lo so, ma almeno loro non devono ottenere la fiducia da nessuno».

Limpido anche il chiarimento sulle donne. Non averne nominata neanche una tra i dieci non è stata una dimenticanza bensì una «mano tesa nei confronti di Berlusconi, che è pur sempre il leader di uno dei principali partiti e le donne è abituato a vederle solo in posizione orizzontale, mentre nelle riunioni tra saggi in genere si sta seduti», ha spiegato Napolitano.

Il Pdl da parte sua non cambia linea: sì alle larghe intese purché al Quirinale non vada una personalità di sinistra. È la maggiore chance di D'Alema. A lui si potrebbe accompagnare Renzi alla presidenza del Consiglio.

Il sindaco di Firenze, reduce dalla partecipazione a un convegno di studi ("Lo sviluppo del rapporto tra Fonzie e Richie Cunningham dalla prima puntata alla fine di Happy Days"), ha fatto trapelare alcuni dei nomi per un suo eventuale governo «che dovrà saper parlare ai giovani», ha detto. Escluso Robin Hood («allontanerebbe i ceti medi»), le porte si aprirebbero sicuramente per Rocco Siffredi (a lui andrebbe la delega dei rapporti con le due Camere) e Kekko, il cantante dei Modà (alla Cultura). In base a criteri di competenza e meritocrazia la Difesa toccherebbe a uno tra Mazinga e Goldrake. Mentre in omaggio al principio delle quote rosa entrerebbero almeno due tra Candy, Heidi, Biancaneve e Crudelia De Mon (anche se su quest'ultima pesa il veto degli animalisti).

Per il Pd sarebbe difficile a quel punto dire di no. Comunque Bersani non molla e non ha rinunciato a lavorare neanche nel Ponte di Pasqua, quando è stato visto avviare le consultazioni con una scottadito d'agnello, un uovo di cioccolato e una colomba, l'unica, a quanto pare, che gli abbia garantito il voto di fiducia.

Se Pd e Pdl convergessero su D'Alema e Renzi si potrebbe fare a meno dei consensi del Movimento 5 Stelle, che da parte sua continua a chiedere per sé l'incarico di formare un nuovo governo. Grillo sarebbe pronto a proporre un nome a Napolitano. Ma purtroppo il monolito nero di "2001 Odissea nello spazio", cui Casaleggio ha pensato come premier, di nomi non ne ha.

Il Movimento peraltro deve fronteggiare la formazione di una fronda interna che si fa sempre più consistente. Per questo, secondo i principi di democrazia diretta e on line che ispirano il Cinque Stelle, i 26 iscritti in tutta Italia che ne hanno diritto, sono stati chiamati a scegliere via web uno dei seguenti provvedimenti cui sottoporre i parlamentari che esprimano posizioni diverse da quelle stabilite dal blog beppegrillo.it:

1) percorrere a piedi il tratto che separa il Senato o la Camera (a seconda dell'aula in cui si è stati eletti) e la villa di Beppe Grillo a Genova, chiedere scusa e poi proseguire in direzione di Milano per raggiungere la sede della Casaleggio Associati e lì essere schiaffeggiati pubblicamente.

2) Autoinstallarsi sul tetto della villa di Marina di Bibbona, di proprietà di Grillo, per assolvere alla funzione di pannello fotovoltaico.

3) Trascorrere una settimana in compagnia di Casaleggio per ascoltarlo declamare la sua biografia.

mercoledì 20 marzo 2013

Il ciclone Boldrini-Grasso

La doppia elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso alle presidenze di Camera e Senato ha segnato una discontinuità col passato e messo in moto una serie di reazioni e manovre in vista delle prossime scadenze parlamentari. Il primo a congratularsi con il segretario del Pd, recandosi direttamente a casa sua, è stato Massimo D'Alema. Sull'uscio, ad accoglierlo, c'era la moglie di Bersani: «È di là, in camera – ha detto la donna – non è ancora riuscito a riprendersi dalla sbronza di sabato sera ma c'è da capirlo: era dai tempi in cui vinse il torneo di ping pong e quello di scacchi all'oratorio di Bettola che non centrava due obiettivi così importanti nello stesso giorno. Se proprio vuoi vederlo ti faccio strada». Quando se l'è trovato davanti, D'Alema ha sfoderato il miglior sorriso e non ha lesinato i complimenti: «Congratulazioni Pierluigi, sei stato un grande». E poi, quasi sottovoce: «Ora col pieno di fiducia che abbiamo riconquistato presso l'opinione pubblica possiamo finalmente ricominciare a farci i cazzi nostri»
Non è un mistero che D'Alema sia alla ricerca di un accordo affinché il Pdl faccia convergere su di lui i voti necessari per l'elezione alla presidenza della Repubblica. Le diplomazie sono al lavoro da settimane. Berlusconi si sarebbe mostrato possibilista e avrebbe chiesto in cambio solo la revoca del codice penale, la presidenza della commissione cultura del Senato per Maurizio Gasparri, e che Laura Boldrini vada tutti i lunedì a cena ad Arcore. Ma il Pdl ha pronto anche un piano B. Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti ha scavato nel passato di Pietro Grasso e preparato un dossier. Secondo testimoni diretti, l'ex procuratore antimafia da piccolo aveva il vizio di mettere le dita nel naso. Diventato maggiorenne, per almeno un paio di volte non avrebbe dato la precedenza a chi veniva da destra. «Spesso poi scroccava le sigarette a Falcone e Borsellino», ha rivelato una talpa del palazzo di Giustizia di Palermo. «Ecco la sinistra delle mani pulite», il titolo dell'instant book che verrebbe allegato al quotidiano nel caso in cui l'accordo non si concluda.
Alle prese con ben altri problemi il Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, indeciso sui provvedimenti da prendere con i senatori che disobbedendo hanno contribuito all'elezione di Grasso, ha telefonato a Casaleggio. E per la prima volta tra i due c'è stata tensione: «Non rompere i coglioni, Beppe – ha risposto il guru – sono giorni che non dormo, è da sabato notte che sto cancellando dal blog i commenti della gente che ci insulta perché abbiamo ordinato di votare scheda bianca». Vistosi perso, Grillo ha tentato la carta della disperazione e attraverso un medium è riuscito a contattare il mago di Oz che gli si è palesato in sogno sotto forma di un cinquantenne con i capelli bianchi e lunghi sulle spalle, gli occhiali tondi, un mouse nella mano destra e una clava nella sinistra: «Se continui con le epurazioni, tra qualche settimana vi ritroverete da soli tu, Gianroberto (Casaleggio, ndr) e la donna delle pulizie, sempre che questa nel frattempo non sia riuscita a trovare un'altra sistemazione».
Preoccupazione, infine, a casa Monti. Anche se dal Quirinale non arrivano conferme, la moglie del Professore avrebbe chiamato in gran segreto Napolitano chiedendo aiuto: «Presidente, sono giorni, da quando gli hanno negato la presidenza del Senato, che Mario rifiuta il cibo, si è chiuso nel suo studio e non fa altro che ripetere, dondolando la schiena avanti e indietro: “È l'Europa che ce lo chiede”».

mercoledì 13 marzo 2013

Cronache dal futuro

Dopo la seduta inaugurale delle Camere, fissata per venerdì 15 marzo, i primi giorni della prossima settimana (fino a giovedì, perché dal venerdì il Parlamento entra in clima week end) saranno cruciali per verificare le possibilità di formare un nuovo governo. Ecco le scadenze principali e i possibili movimenti delle forze politiche.
Lunedì: l'Istat comunica che il reddito medio degli italiani è ai livelli del 1982. Bersani apre a Grillo e rilancia: non solo sì alla cancellazione dei rimborsi elettorali, ma anche soppressione della paghetta settimanale per chi ha compiuto i 16 anni. Grillo risponde dal suo blog: noi vogliamo che a tutti coloro che hanno compiuto 16 anni, non solo venga abolita la paghetta, ma che vengano anche impiegati come produttori di energia pulita attraverso l'alimentazione a pedali di una grande turbina da posizionare ai piedi del Gran Sasso. Renzi: gli over 16 deportiamoli all'estero, un periodo lontano da casa fa bene a tutti. I parlamentari del Pdl manifestano a piazza San Pietro per protestare contro la sovraesposizione delle vicende connesse al nuovo papa che oscurano sui media le condizioni di salute di Berlusconi. Il ministro degli Esteri indiano: un comportamento come quello tenuto sui due marò non ce lo saremmo mai aspettato, neanche da un paese che ha rieletto Razzi e Scilipoti in Parlamento.
Martedì: secondo l'Eurostat l'Italia è il paese europeo con più disoccupati, fatta eccezione per il Mozambico e il Gabon, che però non fanno parte dell'Ue. I pontieri del Pd a Grillo: l'appoggereste il governo se anche Bersani facesse la traversata a nuoto dello stretto di Sicilia? La risposta del leader del M5S arriva con un tweet: "Sì, ma solo se la fa portando Rosy Bindi sulle spalle". Renzi: se volete, io me la cavo col bungee jumping. I parlamentari del Pdl protestano davanti alla sede nazionale di Confcommercio per il rialzo dei prezzi di fard e rossetti. Il ministro della Difesa indiano: "Un comportamento come quello tenuto sui due marò non ce lo saremmo mai aspettato, neanche da un paese che ha avuto La Russa tra i suoi ministri".
Mercoledì: viene pubblicato uno studio dell'Isfol secondo cui il numero dei precari in Italia ha superato quello dei lavoratori con contratto a tempo pieno e indeterminato. Bersani a "Porta a porta": se Grillo vuole, posso farmi crescere i capelli come lui e Casaleggio. Il comico genovese risponde attraverso un'intervista a un settimanale ucraino: Bersani può farsi crescere i capelli quanto vuole, ma non non lo vedremo mai con i dreadlocks alla Bob Marley e questo per noi è inaccettabile. Renzi: capelli corti o lunghi non importa, l'importante è la tinta. I parlamentari del Pdl protestano davanti alla sede Rai: questo dibattito sui capelli ha il chiaro intento di delegittimare il nostro leader. Il ministro degli Interni indiano: "Un comportamento come quello tenuto sui due marò non ce lo saremmo mai aspettato, neanche da un paese in cui hanno ancora titoli sui giornali Veltroni e D'Alema".
Giovedì: l'Organizzazione mondiale della sanità pubblica una ricerca secondo la quale sono triplicati in un anno gli italiani disposti a donare organi in cambio di soldi. Bersani a Grillo: via tutte le auto blu. Grillo replica rispondendo ai cronisti mentre spacca la legna a torso nudo nel giardino della sua villa: via non solo le auto, ma tutto ciò che è tinto di blu, anche il cielo di cui parlava quel cazzone di Modugno. Questo paese va rifatto dalle fondamenta. Renzi: "Nella mia Firenze prevalgono le tonalità calde". I parlamentari del Pdl manifestano davanti al Campidoglio: "A Roma troppi sampietrini, camminare col tacco 12 è un'impresa". Il primo ministro indiano: "Un comportamento come quello tenuto sui due marò non ce lo saremmo mai aspettato, neanche da un paese in cui ogni due giorni c'è qualcuno che dice che il fascismo non è poi stato tanto male".

lunedì 4 marzo 2013

M5S, la scoperta della complessità

Il risultato uscito dalle urne costringerà il Movimento 5 Stelle a uno sforzo inatteso: quello di togliersi di dosso  la maglietta di "oppositore di sistema" (sedicente o reale, ma questa per il momento è un'altra questione) per farsi esso stesso sistema. Diverso quanto si vuole, ma pur sempre sistema (anche l'anarchia è un "sistema"). Sarebbe accaduto anche se il M5S avesse semplicemente portato parlamentari a Roma e fosse semplicemente stato costretto a fare i conti con l'istituzione dal di dentro. Accadrà a maggior ragione ora che i gruppi parlamentari saranno determinanti per la formazione o meno di un governo. E accadrà in maniera inaspettata, visto che neanche Grillo e Casaleggio probabilmente si aspettavano di trovarsi in una situazione del genere. La campagna elettorale è stata portata avanti parlando sempre da un punto di vista preciso: quello degli oppositori. Le attività su cui metteva l'accento Grillo nei comizi per descrivere la futura attività dei parlamentari a 5 stelle erano tutte di tipo interdittivo: portare le telecamere ai lavori parlamentari e caricare i video delle sedute su youtube, smascherare magheggi e inciuci, visionare ai raggi "x" i provvedimenti. Lo stesso slogan che ha avuto la fortuna maggiore ("apriremo il parlamento come una scatoletta") alludeva a un lavoro di vigilanza che in un sistema politico è tipico dell'oppositore. L'universo a 5 Stelle è stato costruito insomma fino all'altroieri sull'alterità rispetto alla "casta" e probabilmente anzi si sarebbe dovuto consolidare, nell'idea dei suoi leader, con un'esperienza istituzionale sì, ma sempre in una posizione alternativa. Dalla quale si sarebbe potuto continuare a dire con maggiore forza: loro non fanno quello che noi faremmo se avessimo la maggioranza.
Non sarà così. E l'unica chance per i grillini di tornare ad avere le mani libere arriverebbe da un accordo tra Pd e Pdl. Se ciò non avverrà, il M5S sarà costretto a un bagno di realtà che ne modificherà comunque la consistenza. Perché per la prima volta gli attivisti e i neo-eletti si troveranno alle prese con un archetipo dell'esperienza umana che il M5S ha tenuto ostinatamente fuori dalle proprie coordinate, quasi a volerlo esorcizzare: la complessità. Che è uno dei motivi per cui Wu Ming considera di destra il dna dei Cinque Stelle. Complessità che non è sinonimo di compromesso istituzionale, o di sporcarsi le mani, come probabilmente l'attivista 5 Stelle arrivato a leggere fin qui interpreterà. Complessità è, per capirci, tutto ciò che sta al di là dei trascurabili (seppure detestabili e da cancellare) privilegi di un numero ristretto di persone (la cosidetta casta) che sono diventati il bersaglio su cui tirare freccette che ha fatto la fortuna elettorale del M5S. I servizi sociali, il  risanamento del debito pubblico, la riconversione ecologica della produzione, la questione energetica e quella dei rifiuti, sono questioni che esulano dai privilegi della casta (nel senso che non sono certo i benefit di poche migliaia di persone che li finanzierebbero) e al tempo stesso necessitano di scelte di campo nette. Non vale lì la logica semplicisticamente binaria (manichea) bene-male (popolo-casta), come molti degli elettori, attivisti e (probabilmente) eletti del Cinque Stelle ritengono. Diciamo che i privilegi della casta sono stati lo sfondo che ha fatto la fortuna della narrazione dei Cinque Stelle. Ma ne hanno anche appiattito l'orizzonte. Di là, come scopre il protagonista di Truman show, c'è il mondo reale. Che va cambiato. Abbattere i privilegi della casta è il prologo, ma il romanzo è tutto da scrivere. E scrivere è cesellare, scegliere, faticare, tornare indietro e ripartire, ammettere che ci sono più cose di quante noi ne possiamo capire e che però questo non deve inibirci l'azione. Tutte attività dannatamente complesse.

mercoledì 27 febbraio 2013

Governo di larghe intese, ecco la bozza di accordo

La notizia doveva rimanere riservata ma è cominciata a circolare quando alla frontiera di Ventimiglia è stato notato in direzione dell'Italia un insolito aumento del traffico di tir della Bostik, la multinazionale produttrice di colla il cui quartier generale si trova a Parigi. "Sono diretti a Roma", ha confidato un giovane doganiere che ha chiesto di rimanere anonimo al cronista del Secolo XIX inviato sul posto. "Pare - ha proseguito - che verranno utilizzati per tenere insieme il nuovo governo". Di qui lo scoop del giornale ligure, che ha titolato a tutta pagina "Pd-Pdl, pronto l'esecutivo delle larghe intese". Il quotidiano ha anche rivelato alcuni punti della bozza di programma.
Legge sul conflitto di interessi: qualsiasi titolare di quote di aziende che potrebbe giovarsi della sua partecipazione al governo per trarre vantaggi a scapito della concorrenza, è tenuto a liberarsi delle sue proprietà per affidarle a un blind trust che le amministrerà in sua vece durante tutto il periodo nel quale si protrarrà l'impegno pubblico del soggetto. Il passaggio di consegne avverrà il 29 febbraio del primo anno bisestile disponibile, che nel nostro caso cadrà nel 2016.
Riforme istituzionali e riduzione dei costi della politica. Dimezzamento del numero dei parlamentari e riduzione di almeno il 40 per cento delle loro indennità. Con i proventi verrà finanziato un fondo che verrà utilizzato per il pagamento delle spese legali di deputati e senatori, anche non rieletti nella presente legislatura, colpiti da provvedimenti della magistratura.
Norme anti-corruzione. Sarà interdetto dai pubblici uffici e dalla possibilità di essere candidato a qualsiasi carica chiunque verrà sorpreso in flagranza di reato e filmato contestualmente da almeno tre telecamere. Se il reato è commesso in ore notturne, le telecamere devono essere a raggi infrarossi.
Selezione della classe dirigente. I partiti saranno obbligati a scegliere i loro candidati alle cariche pubbliche sulla base dell'esito di elezioni primarie. Il sistema elettorale per le suddette elezioni è scelto in autonomia da ciascun partito. Tra i sistemi ammessi per le donne anche quello della camera: ogni aspirante alla carica passa dalla camera del leader che voterà poi la sua candidata preferita.
Abolizione delle Province. Giunte e consigli provinciali decadranno dal prossimo primo giugno ma possono essere ripristinati qualora lo chiedano con motivazione scritta il presidente e almeno uno degli assessori attualmente in carica.
Mercato del lavoro. Sgravi fiscali e contributivi per le aziende che assumono a tempo indeterminato a patto che i neo-assunti si impegnino formalmente: A) a rinunciare alla pensione, B) a devolvere la totalità del trattamento di fine rapporto a un fondo per la piccola e media impresa, C) qualora l'andamento del ciclo economico e la necessità di soddisfare gli ordinativi lo richieda, a munirsi a proprie spese di pannoloni per evitare di andare al bagno e sottrarre tempo prezioso alla produzione.

Sinistri riformisti

Sì, Bersani le elezioni le avrà pure vinte perdendole. Vendola invece le ha perse e basta, ma questo era successo ben prima del 24 febbraio. Per quanto riguarda gli altri (Ferrero, Di Pietro e Diliberto) gli elettori hanno solo provveduto a mettere fine al loro auto-accanimento terapeutico. Ma del botto di Mario Monti ne vogliamo parlare? Non per pregiudizio nei confronti di un professore affabile e competente. Ma per una questione ben più larga e importante: la bocciatura solenne del modello sociale da lui incarnato, che viene definito, udite udite: riformismo. Che è questo (ne riassumo la complessità in maniera semplicistica per evitare di dilungarmi, spero si capisca): al mondo del lavoro (e del precariato) vengono richiesti ulteriori, pesanti sacrifici sull'altare delle compatibilità aziendali (leggi: flessibilità) cui non vengono fornite adeguate contropartite in termini di sicurezza. Né nel momento in cui si sta lavorando, né nel momento in cui si staccherà dal lavoro. Insomma, si può davvero pensare che la parola "riformismo" possa essere scassata fino a descrivere la costruzione di un mondo in cui si salta da un "lavoretto" all'altro per ritrovarsi, fra venti-trent'anni, con la gran parte dei pensionati costretta a vivere con l'equivalente mensile che oggi hanno 400 euro? Gli elettori hanno detto no. Sarebbe un passo avanti se i soloni della sinistra sedicente "riformista" che punta a tagliare diritti invece di aggiungerne ne prendessero atto

lunedì 25 febbraio 2013

Infinitesimali

Definire una serie di comizi "tsunami tour" è come dire "terremoto dell'Irpinia tour", "alluvione di Genova tour". Non ci ha pensato nessuno, né i grillini né gli altri. Questo descrive meglio di tante altre cose come la nostra commedia sta scivolando, se non nella tragedia che sono stati quegli eventi, in un dramma sociale. Dice come stiamo al mondo; quanto il nostro pudore si sia adeguato a ciò che siamo diventati: infinitamente piccoli, infinitesimali.

mercoledì 20 febbraio 2013

La psicanalisi delle tasse

Siamo così suggestionabili, abituati alle monodimensioni e spaventati dagli spazi aperti che a forza di non usarlo ci si sta atrofizzando il cervello. Non ci aiuta certo una delle campagne elettorali più surreali degli ultimi anni. Però questa storia delle tasse è roba da psicanalisi. E' del tutto normale che ci sia chi predica tagli ai servizi e privatizzazioni massicce per finanziare abbassamenti delle aliquote Irpef allo scopo di far restare nelle tasche di chi ce l'ha più soldi possibile. Così chi detiene somme le spende e alimenta la crescita, dicono. Non fa una piega. L'irragionevolezza sta nel fatto che non c'è una, dicasi una forza politica, e non c'è un elettore (almeno di quelli che conosco io) che sostenga invece il contrario. Che cioè quello che ha bisogno di essere finanziato non è l'abbassamento delle aliquote Irpef, ma servizi di qualità almeno al livello della media dei paesi più avanzati d'Europa; diritto allo studio (gratis), a curarsi (gratis), alla maternità e alla paternità; sussidi di disoccupazione per chi viene licenziato e reddito di cittadinanza per chi non ha lavoro; trasporto pubblico degno di nome e competitivo con l'auto privata, città più vivibili e meno claustrofobiche (il che vuol dire investire per formare, e poi retribuire, architetti che vengano impiegati per disegnare strade e piazze, non solo divani). Per fare queste e molte altre cose, che solo la tanto vituperata mano pubblica è in grado di mettere in agenda, servono soldi. Tanti. Che lo stato può certamente ottenere anche tagliando i troppi sprechi che corruzione e incapacità ci hanno lasciato in eredità. Ma che possono arrivare altresì solo dalle tasse. Allora, non può certo stupire che ci sia ci venga abbacinato dalla teoria del "meno tasse più ricchezza" anche se magari ha così poco reddito che pure se glielo lasciassero tutto nelle tasche sarebbe comunque costretto a mangiare patate e cipolle. Quello che lascia di stucco è che non c'è gente che vorrebbe vivere in un paese più somigliante, che so?, alla Danimarca. Dove c'è la pressione fiscale più alta d'Europa (48,6%), ma dove ci sono asili, scuole, ospedali, treni, città, gestione dei rifiuti e sostegni per chi è in difficoltà da fare invidia al mondo. E dove il capo del governo è una donna di 46 anni alla quale non risulta abbiano mai chiesto se viene e quante volte, l'età media dei ministri è di 45 anni e il dicastero per l'uguaglianza ecclesiastica è stato affidato a un 46enne indiano. E dove i 23 ministri il giorno del giuramento si sono presentati in bicicletta. Sembra un altro mondo, eppure esiste. Possibile che a nessuno piacerebbe organizzarsi per viverci, anche se si pagano più tasse che da noi?

lunedì 18 febbraio 2013

Elezioni, gli scenari in caso di pareggio

A meno di una settimana dalle elezioni prende sempre più corpo l'ipotesi che dalle urne non esca una chiara maggioranza politica. Gli osservatori si concentrano sulle personalità cui Napolitano potrebbe conferire l'incarico di formare il governo nel caso ci si trovi davanti a un simile scenario.
Ipotesi Passera. Prediletta dai centristi, sarebbe accettata di buon grado anche dal Pd. Berlusconi, che in un primo momento pareva entusiasta, si è tirato indietro quando gli hanno spiegato che si tratta di un cognome e non di un sostantivo.
Ipotesi Schettino. Molto accreditata in ambienti del Pdl, dove riceverebbe anche il nulla osta del leader ("E' una faccia simpatica, quello che ci vuole per rilanciare l'immagine del Paese", avrebbe detto Berlusconi ai suoi), sarebbe accettata di buon grado anche dal Pd. C'è però l'incognita Grillo: "Sarebbe un ottimo timoniere - ha detto il leader del M5S nel corso del comizio a Ivrea tenuto una decina di giorni fa mentre partecipava contemporaneamente alla battaglia delle arance - peccato che è indagato".
Ipotesi Albano. Dopo quella di Passera è la candidatura su cui puntano con più forza i centristi e sarebbe accettata di buon grado anche dal Pd. "Non è tempo di salti nel buio - ha detto Casini - l'Italia deve saper guardare avanti tenendo ben salde le sue radici, Albano sarebbe l'uomo giusto al momento giusto". "E poi - ha aggiunto il presidente della Camera Fini interrompendosi mentre fischiettava 'Felicità' - la recente partecipazione come ospite a Sanremo ne ha restituito l'immagine di icona nazionale". Con lui Romina Power assumerebbe l'incarico di ministro delle Pari opportunità, cosa che fa storcere il naso al Pdl, che per quella veste avrebbe pronta una terna di nomi da sottoporre agli altri partiti: Nicole Minetti, Ruby e Fabrizio Corona.
Ipotesi Ingroia. Il leader di Rivoluzione civile potrebbe essere l'outsider in grado di mettere tutti d'accordo, o quasi. Al netto delle divergenze politiche, il Pdl lo sdoganerebbe sull'onda del giudizio che ne dà Berlusconi: "E' una testa di cazzo ma mi dicono sia un gran tombeur de femmes". Sarebbe accettato di buon grado anche dal Pd. L'incognita arriva dal Prc e dal Pdci, suoi alleati: "Mai al governo, neanche da soli. Vuoi mettere il divertimento di stare all'opposizione?".

lunedì 11 febbraio 2013

In Vaticano si apre la campagna elettorale

"Avrei preferito che venisse prima portata a termine la riforma elettorale e avviata la discussione sul documento di programmazione economica". Così ha commentato a caldo le dimissioni di Benedetto XVI, il cardinale e segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, non nascondendo i timori per una campagna elettorale che in un momento delicato come questo potrebbe rompere i delicati equilibri all'interno della Chiesa. Il papato di Ratzinger infatti, grazie a una sapiente opera di mediazione, ha saputo tenere insieme le istanze più divaricanti: da un lato i progressisti, che puntano a un recupero del dialogo con le altre religioni  (a patto che i loro esponenti si inginocchino per almeno venti minuti sui ceci prima di prendere la parola al cospetto di un cattolico) e all'apertura alle istanze poste dalla modernità: sì alle unioni civili ma solo se si fa pubblicamente voto di castità. Dall'altro i fautori di una continuità che puntano con forza alla riconferma del primato della chiesa di Roma anche attraverso un massiccio investimento in ricerca per arrivare a confutare sul piano scientifico le tesi di Copernico e Darwin. "In queste condizioni si rischia di non avere una maggioranza stabile di governo", si è lasciato sfuggire il cardinale Angelo Sodano. Ecco il motivo per cui si starebbe facendo strada l'ipotesi di un governo di minoranza che cercherebbe di volta in volta i voti per vedere approvati i suoi provvedimenti. L'agenda, definita "cautamente riformista", prevede il sì alla fecondazione eterologa ma solo attraverso il lancio degli spermatozoi con la fionda. Le donne continueranno a non poter amministrare i sacramenti ma in compenso saranno libere di rassettare stanze, ricamare, accudire i bambini e avere facoltà di parola una volta a settimana davanti ai maschi e, cosa non prevista fino ad oggi, un'ora al giorno tra di loro. Resta il no al matrimonio tra persone dello stesso sesso, saranno però abolite le punizioni corporali per gli eterosessuali sorpresi a scambiarsi effusioni in pubblico.

venerdì 8 febbraio 2013

Animali da campagna

Dopo l'irruzione di Empy, il cane da campagna elettorale che pare stia facendo salire la popolarità di Mario Monti nei sondaggi, i leader concorrenti tentano di correre ai ripari. Gli spin doctors dei vari schieramenti sono concordi: "La quota di reddito che gli italiani spendono in cibo per cani e gatti sta superando quella delle entrate fiscali, e non è raro imbattersi in chi confida di mangiare crocchette almeno un paio di volte a settimana pur di assicurare filetto al suo labrador tutti i giorni. C'è una fascia di popolazione assai sensibile a questo tipo di messaggi e il fenomeno non è da sottovalutare", si sente ripetere nei quartier generali dei partiti. Andrà però controcorrente Beppe Grillo, che con Gianroberto Casaleggio sta preparando il colpo di teatro per il comizio finale del Movimento 5 Stelle in piazza san Giovanni a Roma. Al grido "ecco la fine che gli faremo fare", il comico genovese chiuderà la serata divorando un pipistrello. La scontata protesta degli animalisti è stata messa nel conto, ma c'è la convinzione che sarà di gran lunga compensata dal ritorno d'immagine che la mossa sortirà tra i giovanissimi e in quella fascia di sessantenni cresciuti col mito dei Black Sabbath di Ozzy Osbourne.
Silvio Berlusconi pare orientato a seguire un filone analogo. L'idea è di presentarsi sul palco a torso nudo avvolto da due iguana e liberarsene con la forza (esplicito il riferimento a Bersani e Monti). Angelino Alfano ha accennato una critica: "Ma capo, così sarai costretto a denudarti e il tuo fisico, lo sappiamo, è quello che è". Berlusconi gli ha dato un paio di pacche sulle spalle e ha detto sospirando: "Quanto devi imparare ancora, Angelino mio; terremo il pubblico a distanza di sicurezza e metteremo una controfigura al posto mio, chi cazzo vuoi che se ne accorga? Ricorda: l'importante è l'effetto che fa, non la cosa in sé". Bonaiuti è allora corso a telefonare a Enzo Paolo Turchi. E l'ex ballerino ha accettato di buon grado: "Dopo essere stato costretto a guadagnare soldi facendo di tutto all'Isola dei Famosi, ormai non mi fa più paura nulla".
Diversa invece la scelta dei due leader delle formazioni di sinistra. All'interno di Sinistra e libertà si è aperto un dibattito piuttosto acceso. Vendola infatti, in segno di apertura all'Enpa che aveva lanciato un appello ("Evitate sofferenze inutili, gli animali sono molto più allergici alle cazzate da campagna elettorale di quanto pensiate voi politici"), era orientato a sottrarsi: "Dobbiamo marcare un segno di dissenso netto nei confronti di una pratica che non fa onore alla politica alta che noi vogliamo rappresentare sotto forma di una narrazione che liberi l'umanità, i corpi celesti, nonché eventuali presenze nell'universo oltre la nostra, da quella schiavitù imposta da monete di conio antiquato il cui olezzo sta diventando irrespirabile", ha detto prima che il suo braccio destro, Nicola Fratoianni, lo interrompesse: "Ah Nichi, ma che cazzo stai a di'? So' voti". Così è stato deciso che Vendola si presenterà nel comizio finale con a fianco un cane e un gatto, ma di peluche. Antonio Ingroia invece ha risposto così: "Mi presenterò con Di Pietro, Ferrero e Diliberto al mio fianco. Lo so che non sono animali, ma fanno tanta compagnia".
Sorprese potrebbero arrivare dall'outsider Oscar Giannino. Per il leader di "Fare" di comizi non se ne parla. "In un'eventuale piazza rischierebbero di essere più i passanti che il pubblico venuto per noi", fanno trapelare i suoi. Così Giannino medita di presentarsi negli studi di "Porta a porta" sul dorso di un elefante per "denunciare le tasse da paese coloniale imposte agli italiani", ha detto. Vespa si è mostrato disponibile, anche se si è preso 48 ore di tempo prima di dare la risposta definitiva: "Devo chiedere a Berlusconi se è d'accordo".
Nulla di deciso invece in casa Pd. Il partito è dilaniato da una lotta interna che vede il responsabile economico del partito, Stefano Fassina, schierato su una linea aggressiva: "Pierluigi, presentati cavalcando una tigre". Diametralmente opposta la linea degli ex popolari, che hanno proposto al leader di andare davanti alle telecamere carezzando un gatto siamese: "Così dai un'immagine rassicurante e non spaventi l'elettorato moderato", ha suggerito Giuseppe Fioroni. E anche gli ecodem hanno fatto sentire la loro voce: "Visto che è inverno, potresti limitarti a farti fotografare con un collo di pelliccia ecologica", ha detto l'ex presidente di Legambiente Ermete Realacci, che però non esclude di trovare un compromesso sul gatto siamese, "perché in quel caso la dignità dell'animale non verrebbe lesa". Per sbrogliare l'aggrovigliata matassa il Pd ha convocato la direzione nazionale per il 26 febbraio. A chi gli ha fatto notare che si voterà il 24 e 25, Bersani ha risposto: "E' vero, le elezioni! Le avevo completamente dimenticate".

lunedì 4 febbraio 2013

Sanremo elettorale

Allo scopo di evitare che il festival di Sanremo che si celebrerà la prossima settimana oscuri i contenuti della campagna elettorale in corso, la commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai e la direzione artistica del festival hanno raggiunto un accordo in base al quale durante le serate si esibiranno anche i leader delle principali formazioni politiche, che però, in ossequio alla legge sulla par condicio, dovranno essere applauditi dal pubblico in sala con la medesima intensità. Il protocollo prevede che la performance abbia ad oggetto canzoni già presentate a una delle precedenti edizioni del festival, del festivalbar o del Cantagiro. Sono stati quindi bocciati il ricorso di Ferrero e Diliberto - che avrebbero voluto cantare in coppia "Bandiera rossa" e hanno successivamente deciso di entrare nel coro che accompagnerà Antonio Ingroia - e quello del trio Meloni-Crosetto-La Russa, che avevano presentato "Faccetta nera". Il trio peraltro è nel frattempo diventato una coppia. Meloni e Crosetto si sono infatti accordati per cantare insieme "Siamo la coppia più bella del mondo", e davanti alla rimostranze dell'ex ministro della Difesa gli hanno fatto notare che lui e la bellezza sono lontani quanto Monica Bellucci e un guard rail, e poi a cantare in tre c'era il rischio di apparire come una famiglia di fatto: la coppia gay con la figlia concepita in un utero in affitto fecondato in un paese compiacente. A quel punto La Russa ha annunciato la scissione: formerà un nuovo partito con la parte più politicizzata della curva dell'Inter. L'attività politica verrà svolta solo nelle settimane precedenti alle domeniche in cui i nerazzurri giocheranno in trasferta, essendo occupate le altre a preparare le coreografie per le gare di San Siro. "Per me è un ridorno alle origgini", ha commentato l'ex esponente di Msi, An e Pdl.
Concessa la deroga anche alla Lega nord, il cui leader Bobo Maroni si potrà cimentare in "Oh mia bela madunina" anche se la canzone non fa parte del repertorio di uno dei festival sopra citati. La commissione ha accolto la memoria difensiva presentata dal partito attraverso i suoi legali: "E' l'unica canzone che conosciamo insieme alla prima strofa di 'Va pensiero'". Il Movimento 5 Stelle è riunito in assemblea per decidere se partecipare (sono presenti Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e tre computer spenti).
Non hanno incontrato problemi le altre formazioni politiche, che si esibiranno nel rifacimento delle seguenti canzoni (tra parentesi gli interpreti originali):
Pierluigi Bersani - "Buongiorno tristezza" (Claudio Villa) - Strofa chiave: "Buongiorno tristezza, amica della mia malinconia"
Antonio Ingroia - "Soli" (Toto Cutugno) - Strofa chiave: "Soli, la pelle come un vestito"
Mario Monti - "Mistero" (Enrico Ruggeri) - Strofa chiave: "Poche parole, ci precipita il morale giù"
Oscar Giannino - "Lamette" (Rettore) - Strofa chiave: "Senti come taglia questa canaglia"
Nichi Vendola - "Fiumi di parole" (Jalisse) - Strofa chiave: "Fiumi di parole tra noi, prima o poi ci portano via"
Silvio Berlusconi - "Terra promessa" (Eros Ramazzotti) - Strofa chiave: "Siamo i ragazzi di oggi".
PS: la commissione sta ancora valutando il caso di Nicola Cosentino. Berlusconi ha chiesto esplicitamente un lasciapassare per la sua partecipazione: "Sarà pure impresentabile alle elezioni, ma canta benissimo", ha motivato l'ex premier. Un compromesso potrebbe essere quello di farlo esibire nella categoria "emergenti".

mercoledì 30 gennaio 2013

Fare i conti con la storia

Mussolini non è l'unica vittima di una storiografia partigiana. Di seguito i meriti di alcune personalità ingiustamente denigrate, a volte da millenni.
Pol Pot: durante il suo governo il settore dei costruttori di bare, che in Cambogia attraversava una crisi decennale, conobbe una espansione che non è stata più eguagliata in seguito.
Hitler: se non si fosse dato alla politica sarebbe stato un ottimo saggista: il successo planetario e pluridecennale del Mein Kampf è lì a dimostrarlo.
Stalin: senza la sua indubbia fama, la Georgia che gli ha dato i natali sarebbe rimasta uno staterello misconosciuto ai più.
Toto Riina: è ancora ricordato con commozione dai tanti sottoproletari di Corleone e dintorni che senza il suo aiuto, abbandonati dallo Stato, sarebbero rimasti senza valide opportunità di lavoro.
Erode: la scienza dell'amministrazione pubblica gli è grata per aver introdotto il concetto del controllo delle nascite.

mercoledì 16 gennaio 2013

Esclusiva, gli appelli al voto dei partiti

La maggior parte di voi non lo sa, ma gli appelli finali al voto che la Rai manderà in onda la sera del 22 febbraio sono già stati registrati dai leader politici. Questo blog è riuscito a visionare le riprese ed è in grado di proporvi le trascrizioni dei testi (tra parentesi le persone che compaiono in video).
Rivoluzione civile (Antonio Ingroia, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto)
Ingroia in primo piano, dietro di lui gli altri tre che sgomitano per farsi inquadrare e discutono via via più animatamente. Il brusio si fa sempre più fastidioso.
Ingroia (rivolto ai tre): "E zitti, cazzo!". E tra sé e sé, quasi un pensiero a voce alta: "La colpa è mia che me li porto dietro".
Poi, finalmente rivolto alla telecamera: "L'importante non è vincere, ma partecipare".
Sinistra e libertà (Nichi Vendola): "Vi chiedo un voto, elettori, non per meschino calcolo dettato da un individualistico tornaconto personale che non appartiene alla storia mia e delle genti che rappresento. Ma perché un voto dato a Sel è un voto contro la teocrazia del dio denaro e dei suoi cantori idolatri, un voto contro i mercanti nel tempio, un voto per smontare uno a uno i tasselli che compongono questo panorama postmoderno derivante da vortici depressionari che cesellano le nostre vite e le incardinano in un progetto di neoliberismo illiberale che non può non farci affogare nel mare delle nostre stesse parole".
Fratelli d'Italia (Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Guido Crosetto)
Voci fuori campo.
Meloni: "Allora vado io?".
La Russa: "Vai, vai tu Giorgia, sei la più giovane, la più fresca, la più presentabile".
Crosetto: "E poi sei donna, eh eh".
Meloni: "Ok, vado".
Entrano in favore di telecamera: Crosetto, che si posiziona a destra per chi guarda il video, Meloni al suo fianco e La Russa a sinistra.
Meloni, dando un ultimo fugace sguardo a Crosetto: "Ok, allora...italiani, votate per noi, in questo momento di smarrimento aggrappatevi al nostro braccio destro teso verso l'alto...ehm... verso di voi. Non sprecate l'occasione di votare una destra finalmente presentabile". Pausa, sguardo verso La Russa che accenna un sorriso compiaciuto e rilassato. Poi riprende: "E poi, quanno c'era lui, i treni arivavano in orario, capito? E quanno quelle zecche dii partiggiani l'hanno messo a capoccia in giù a piazzale Loreto, da quelle tasche non è uscita nemmeno 'na moneta, perché lui non rubava, capito? Artro che 'sti zozzoni!". La Russa guarda allarmato Crosetto che, interpretando il messaggio, da consumato buttafuori tappa la bocca a Meloni e la porta via di peso.
Resta solo La Russa, visibilmente imbarazzato, davanti alla telecamera: "Abbiate pazienza, è giovane. E pure femmina".
Forza Nuova (Roberto Fiore)
"E però non vale, la Meloni copia".
Casapound (Gianluca Iannone)
"Se potressimo ve menassimo a tutti quanti. Ma 'gnaa famo, ancora sete troppi. Perciò votatece, votate noi de casapau, capito?".
Poi andandosene, sconsolato, sottovoce: "'Aa democrazia, guarda che cazzo me tocca da fa', io je l'avevo detto: nun c'annamo, continuamo a mena'. Ma quelli gnente oh, so de' coccio".
Movimento 5 Stelle (Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio)
Primo piano su Beppe Grillo. Occhi fuori dalle orbite e colorito che tende al cianotico.
"Li seppelliremo con un rutto. E se non basterà li asfalteremo. E se ancora avranno il coraggio di parlare porteremo il cemento a presa rapida...". Entra Casaleggio: "Ok Beppe, bene così. Ora basta se no mi demotivi l'elettorato moderato".
Udc (Perferdinando Casini)
Sguardo ammiccante, di tre quarti, voce flautata, fresco di shampoo.
"Amici, guardiamoci negli occhi, lo sapete anche voi: ci siamo sempre stati, ci siamo e continueremo ad esserci. Non votarci è inutile, di noi non vi libererete mai".
Futuro e libertà (Gianfranco Fini)
"Cognati? Quali cognati? Mai avuto cognati in vita mia".
Scelta civica con Monti (Mario Monti ed Enrico Bondi)
Primo piano su Mario Monti che guarda smarrito verso la telecamera, poi attacca.
"Ce lo dice l'Europa: in un triangolo rettangolo, l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruite sui due cateti. Sopra la panca la capra canta, sotto la panca la capra crepa. Trentatre trentini entrarono a Trento tutti e trentatre...". Entra Bondi: "Ok Mario, può andare così".
Lega nord (Roberto Maroni)
La telecamera lo sorprende con un bicchiere di grappa della Valcamonica in mano. Lui non si scompone. Lo poggia sulla scrivania, poi apre un sorriso: "Il nord prima di tut...Burp! Scusate, è che andando avanti con gli anni faccio sempre più difficoltà a digerire la cassoeula".
Pdl (Silvio Berlusconi)
"Cari elettori, siamo in democrazia, e voi potreste anche voltarmi le spalle perché mi rendo conto che dopo vent'anni anche lo spettacolo circense più spumeggiante spacca i coglioni. Sappiate però che io ho ancora da fare qui e nella malaugurata ipotesi in cui dovessi perdere le elezioni non sarò certo morto. Dopo tre giorni risorgerò, mi imbottirò di viagra e vi farò un culo così".
Pd (Pierluigi Bersani)
Telecamera fissa nel vuoto. Due voci fuori campo.
"Dai Pierluigi, ne abbiamo diritto anche noi a fare il nostro appello".
"Sì, dai e dai, ma cosa vuoi dare?, tanto è inutile..."
"Ma su, fai un bell'appello come si deve. Ti ricordi quel bel comizio nella tua Bettola quando ti applaudirono tutti. Che erano, le elezioni del '76, no?".
"Così però mi fai commuovere".
Il cameraman della Rai: "Allora? 'Nnamo?"
"Ok, arrivo".
Bersani compare davanti alla telecamera, finisce di asciugarsi gli occhi con un fazzoletto e poi:
"Se non avete niente da fare il 24 febbraio, andate al seggio. E se proprio non sapete a chi darlo il voto, beh potete sempre darlo a noi. Grazie e oh, scusate il disturbo".
Voce fuori campo: "Bravo Pierluigi, vedrai che stavolta ce la facciamo".





venerdì 11 gennaio 2013

Quello che siamo


Più di un esponente di spicco della cosidetta società civile - questa fantomatica entità di cui si canta la purezza non contaminata dalla mefitica politica - è pronto a candidarsi con chiunque, o giù di lì. O almeno, questa è l'idea che stanno dando di sé in parecchi, in questi giorni di convulse compilazioni di liste di candidati. Una faccia della medaglia che si salda con l'altra: i partiti politici, depresso il loro appeal, vanno alla disperata ricerca di "facce nuove" ritenendo che la soluzione sia una mano di vernice sopra la ruggine. "Nella mia Bologna mi hanno chiesto di candidarmi a sindaco da più parti, in modo trasversale", ha detto Milena Gabanelli al manifesto. "Certo che mi hanno chiesto di candidarmi", ha risposto anche Marco Travaglio all'autore del pezzo, Giorgio Salvetti. Ma se la carrozzeria è fradicia, la vernice sopra non serve a niente, soprattutto se messa a caso. E noi, politica e società, se non siamo del tutto infradiciati, poco ci manca. E una delle cause del nostro stare male - questo il punto - sta proprio in questa melassa indistinguibile nella quale siamo stati trascinati e sguazziamo. Si può andare con Monti o con Berlusconi; col Pd o con Ingroia; con Sel o con Grillo o con Renzi. Non ci sono grandi differenze. Perché abbiamo amputato dal nostro orizzonte obiettivi nobili, cioè autentici, da raggiungere. E se non devi andare da nessuna parte, ogni mezzo è buono per (non) arrivarci. Se non hai contenuti, la forma del contenitore dove metterli è del tutto indifferente. Se la missione è tirare a campare, un asino vale l'altro per trascinarti (non me ne vogliano gli animalisti).
I piatti della bilancia, quello della società e quello della politica, sono perfettamente alla pari. Ci siamo tutti adeguati a questa menomazione dell'indistinguibile rassicurante ed esiziale. Non ci sono opzioni in campo (da parte della politica), perché le scelte di campo autentiche spaventano una società raggomitolata su di sé - al calduccio nella propria casa mentre fuori si desertifica tutto. Una società che a sua volta non esprime un briciolo di vitalità neanche sotto elettrochoc. Come tanti piccoli camaleonti, tendiamo ad assumere tonalità neutre che non disturbino, e che proprio per il loro essere inoffensive trovino la forza di attrarre il maggior numero di (tiepidi) consensi possibile. Contiamo sul fatto che si fondano sui cardini che ci stanno uccidendo: il mantenimento della melassa nella quale nuotiamo sazi di inutilità; la riduzione delle complessità; l'andare di corsa verso il nulla col capo chino sullo smartphone.
La latitanza delle possibilità reali è però insopportabile - questo lo sentiamo lontano, da dentro - anche se la capsula anestetica nella quale siamo immersi ha l'indubbio vantaggio di preservarci dalle intemperie. Così colmiamo la lacuna con l'innalzamento del volume del dibattito politico. Giocando a far finta di scegliere e a convincerci anche un po' di farlo davvero. E' un paradiso artificiale. Grottesco. Come  vedere moglie e marito che si minacciano l'un l'altra il divorzio in seguito a una lite sul posizionamento del divano. La divaricazione massima è: divano più su o più giù di qualche centimetro - con relativi schieramenti ululanti in curva - non "divano sì" o "divano no". Così ci assecondiamo l'illusione di essere protagonisti di scelte e al tempo stesso non scalfiamo la sicurezza che non cambierà nulla.
Non è un caso se uno dei termini più in voga e più apprezzati di questa era nebbiosa è "bipartisan". E non è casuale l'accettazione rispettosa di un ossimoro sempre più diffuso: quello dell'unicità della scelta. L'unicità è la negazione della possibilità di scegliere. Ma non ci facciamo caso. Perché compromessi, pigri e impauriti dalle nostre stesse ombre, fuggiamo il conflitto delle idee come il demonio e mascheriamo tutto battagliando infervorati sul trascurabile. E il compromesso al ribasso è quello che otteniamo: raccogliamo politicamente quello che socialmente seminiamo ma ci piace lamentarci con l'alibi posticcio di meritare ben altro perché ciò ci fa sentire meno inutili. E ci nasconde che siamo spaventosamente conformisti e ci stiamo lentamente suicidando, riducendo di giorno in giorno la nostra biodiversità. Cioè la possibilità di evolvere.

giovedì 3 gennaio 2013

Welcome, rattristatevi

E allora mi sono rovinato inavvertitamente il primo dell'anno seguendo su Rai3 il film "Welcome" a più di tre anni dalla sua uscita. Sono andato a letto col magone la sera dell'1 e mi sono risvegliato con la stessa sensazione la mattina del 2. Però, poiché è dai tentativi di colmare le mancanze e gli stati di insoddisfazione, di placare le urgenze e sanare le ferite che si riesce ad andare avanti, se non l'avete fatto vi consiglio di guardarlo e di stare almeno un po' male anche voi. Perché un conto è essere immersi in un ambiente che nasconde la sua insalubrità con la forza della normalità e che così rende ordinario il patologico; un conto è vederselo srotolato davanti sotto forma di pellicola: fa un altro effetto. E l'egoismo cieco, i drammi umani piccoli e grandi, l'umanità piccola che si crede grande contro cui sbattiamo tutti i giorni assumono tutt'altra dimensione. Guardatelo, "Welcome", e rattristatevi, che poi magari dopo si riesce a dimensionare meglio le cose.

domenica 30 dicembre 2012

Ma chi l'ha detto che il 2013 sarà così pessimo?

Con i tempi che corrono a fare gli auguri di buon 2013 si rischia di passare per ipocriti. Neanche durante le ultime guerre mondiali probabilmente si è mai saputo con tanto anticipo che l'anno ancora non nato sarebbe stato peggiore di quello che stava per andare in archivio. E però in questa visione delle cose c'è tanto della malattia sorda che ci portiamo dentro senza saperlo: quella di misurare tutto con i soldi. Più soldi uguale più benessere. Meno soldi (come se ne annunciano per l'anno che arriva) più fatica. Che in parte è vero. Ma solo in parte, appunto. Ben-essere non è del tutto coincidente con ben-avere. Ecco una lista di cose che non costano, ma senza le quali la vita sarebbe molto più triste. Ognuno ha le sue. Fate la vostra e concentratevici su. Questo è l'augurio per il 2013. Che magari ci serve anche per cominciare a rivedere l'unità di misura con cui giudichiamo le cose. Qui c'è la mia (alla rinfusa e ovviamente non definitiva):
La pennata irregolare di Keith Richards
Lo sguardo di chi ti vuole bene quando te lo sta dicendo con gli occhi
Riuscire a dire con gli occhi quanto provi
Eddie Vedder che urla la colonna sonora di Into the wild
Into the wild, il film
Correre da soli quand'è giorno da poco in riva al mare
Il pesce grigliato in compagnia dopo il tramonto guardando il mare
Il panorama dall'alto
1Q84 letto da solo nel silenzio della casa vuota
Il piccolo principe letto con i tuoi figli (una pagina ciascuno, alternati)
I tuoi che ti chiedono come va
Where the streets have no name degli U2 riascoltata dopo anni
Thony, cantautrice, scoperta per caso guardando l'ultimo film di Virzì
Pane e olio
La carbonara (solo se fatta bene)
Un concerto dei Sud Sound System in piena estate in Salento
Rileggere Luigi Pintor e trovarlo attuale
Rivedere il Corrado Guzzanti di Avanzi e trovarlo attuale
Riuscire a ridere di chi pensa di essere serio e non sa quant'è ridicolo
Saper pesare cose e persone
I tuoi figli che ballano i Black Keys
Il primo sorso di una birra agognata
La potenza dei Primus
La cristallinità dei Sigur Ros
Aspettando Godot
Vincenzina e la fabbrica di Jannacci
Chiudere un pranzo ballando quando non avresti mai pensato che l'avresti fatto
Chiudere, quand'è ora.

Awards 2012

  • Disco: Padania, Afterhours
  • Libro: 1Q84, Murakami Haruki
  • Film: Io e te, Giuseppe Bertolucci

mercoledì 28 novembre 2012

Due vie (almeno)

Lessi in qualche libro tanto tempo fa (mi pare fosse "Impresa e no" di Bruno Morandi) una cosa del genere: alla domanda "perché il figlio di Agnelli deve andare a scuola gratuitamente come il figlio dell'operaio della Fiat?", noi rispondiamo così: "Perché il papà del figlio di Agnelli ha pagato tante tasse da consentire a tutti i bambini di Torino di andare a scuola". In quel ragionamento fatto nel secolo scorso c'è la risposta alla "nuova" tematizzazione in materia di sanità fatta da Mario Monti ieri e ripresa indirettamente dal professor Giavazzi nell'intervista concessa nei giorni scorsi ma mandata in onda solo ieri sera a "Porta a porta". Giavazzi, in maniera assai efficace, sostiene (banalizzo un po' il suo argomentare per esigenza di brevità) che è un'ingiustizia che i ricchi non paghino i servizi. Abolendo la gratuità per chi gode di redditi da un certo ammontare in su, è la tesi, lo stato risparmia risorse, fattore cruciale nei tempi di carestia che stiamo vivendo, e non fa del male a nessuno. Anzi: toglie a chi ha di più per non aumentare le tasse. Sembrerebbe la quadratura del cerchio. E per di più con un ragionamento che sta dalla parte delle fasce deboli. Invece non è così. Perché l'abolizione dell'universalità e della gratuità dei servizi pubblici, non è che l'apertura a un sistema duale in cui l'utente diventa cliente. I clienti di fascia alta sceglieranno, potendosela permettere, l'eccellenza; quelli di fascia bassa si dovranno accontentare della carità del pubblico privato di risorse. Ora: questo tipo di approccio può essere accettato in tema di capi d'abbigliamento; di ristorazione: chi può compra Missoni, chi no va al mercatino; chi può va da Vissani, chi no alla mensa Caritas. Ma quando ci sono di mezzo fattori costitutivi della cittadinanza come la formazione e la prevenzione e cura delle malattie siamo su tutt'altro terreno. Non è una questione di demonizzare il liberismo del professor Giavazzi, mosso sicuramente da principi alti e con molti più argomenti rispetto a quelli modesti e incerti di chi state leggendo. Si tratta solo di esporre senza paure che quella di Monti e Giavazzi è una delle possibili vie da seguire; che consentirebbe di diminuire (forse) la pressione fiscale e al tempo stesso tenere (forse) in ordine il bilancio dello stato. Ma non è affatto vero che ha come stella polare le fasce deboli: persegue semmai - senza voler essere troppo cattivi - la tenuta strettamente ragionieristica del bilancio. E soprattutto non è l'unica, come si sente dire da troppe parti. L'alternativa non è il socialismo reale, ma piuttosto servizi pubblici per tutti a prescindere dal reddito, snelli, sburocratizzati e che perseguano l'eccellenza, finanziati da una tassazione progressiva unita a una messa alla gogna sociale dell'evasore fiscale. In politica le vie devono essere almeno due: quando ce n'è una sola si chiama dittatura. E sì, il figlio di Agnelli, o di Cucinelli o di qualsiasi altro cognome importante, può, deve, andare a scuola gratuitamente, se la sceglie pubblica. Altrimenti il papà si paga la retta privata senza nessuno sconto. Non prima di aver pagato tante tasse da consentire a tutti i bambini della sua città di sedersi su un banco e seguire la lezione di un ottimo e ben pagato insegnante, senza rischiare che gli crolli il soffitto in testa.

martedì 20 novembre 2012

La fuga

Fuori pioveva. Condizionale stava al calduccio e avrebbe fatto volentieri a meno di uscire, tanto più perché sapeva che avrebbe contribuito a storpiare l'ennesima frase. Ma anche stavolta non ci fu verso, fu tirato fuori a forza: "Ma se io farei questo, non sarei degno della fiducia che voi avete in me", scrisse fiero l'uomo. Sulla via del ritorno, Condizionale buttò mestamente l'occhio alla finestra di Indicativo che, svelto svelto, appallottolò un pezzo di carta e glielo lanciò bisbigliando: "Guarda che cosa sono stato costretto a fare l'altro giorno". Tornato a casa dispiegò il foglio accartocciato e lesse: "Permettere che alcuni manifestanti generano violenza non è accettabile". Fu a quel punto che capì che non c'erano più margini per trattare. Consapevole del rischio che correva, inviò un sms a Indicativo. Nella notte, all'ora stabilita, si videro davanti alla baracca in cui era stato costretto ad andare a vivere il loro compagno malridotto. Entrarono, lo svegliarono delicatamente, consapevoli che le sorprese, vista l'ipertensione da stress accumulata negli anni, potevano giocargli un brutto scherzo. Gli spiegarono il piano. Congiuntivo s'emozionò fin quasi alle lacrime: "Finalmente, era ora, sono anni che ve lo dico. Aiutatemi a salire sulla carrozzella e fate attenzione quando spingete, se si va troppo veloci cigola". Uscirono incamminandosi come se stessero a piedi nudi su un tappeto di bicchieri rotti. Sotto al solito lampione spento incontrarono Libero Schiavotti, il consigliere economico dell'uomo che non s'era più ripreso da quando sua moglie era andata a vivere col boss. Lo interruppero mentre stava impartendo l'ormai usuale lezione notturna sul pensiero di Adam Smith al palo della luce. "Tieni, dai questo a chi sai tu", gli disse Condizionale porgendogli un biglietto. Libero Schiavotti sapeva a chi era indirizzato ma non resistette e lesse: "Se tu fossi stato un poveraccio costretto ad andare a lavorare da piccolo, avremmo capito e ti saremmo venuti incontro. Ma non si può tollerare che un professionista col conto corrente a sei zeri, che per di più è eletto dal popolo in un'assemblea rappresentativa, continui a violentare così la lingua italiana. Ce ne andiamo, così sarai costretto a rimanere muto". Schiavotti alzò gli occhi, gettò uno sguardo davanti e li vide che erano diventati tre piccole sagome in fondo al viale. Poi, noncurante, si voltò e riprese: "Allora, la mano invisibile...".

venerdì 16 novembre 2012

Ma lasciate stare Pasolini

Non essendo stato in piazza, tendendo a rifuggire dalla trappola della tv e volendo sottrarmi da immagini sempre uguali a se stesse, non ho visto nulla degli scontri nelle piazze europee del 14 novembre. Noto però che la calamità, pardon, la calamita dei luoghi comuni non cessa di attrarre il grosso dei commentatori il cui pigro pensiero (quasi) unico non sarà certo scalfito da modeste considerazioni che però non rinuncio a esporre.
Perché mi pare che ci siano almeno due fattori, se non tre, che non solo quasi tutta la stampa, ma anche tanta gente di buon senso, come vedo dai social network, tiene fuori dal dibattito. Ciò porta a considerazioni inattuali, che fanno leva sul riutilizzo di usurati cliché: Valle Giulia, il Pasolini che stava con i poliziotti e contro i manifestanti; i pochi violenti che pregiudicano la riuscita di una grande manifestazione, eccetera. E che a mio avviso ci portano in un vicolo cieco. Provo a uscirne.
Primo: non c'entra niente il '68. E neanche il '77. Di più: anche Seattle '99 e il massacro di Genova 2001 sono lontanissimi. Lì si andava in piazza per fare la rivoluzione o perché si riteneva che un altro mondo fosse possibile. Lì c'erano movimenti che sapevano di avere una pars construens da affrontare, perché si vedeva il futuro. Qui c'è una generazione (ormai forse anche due o tre) con le spalle al muro che il futuro non lo vede proprio. E a battagliare con i proletari delle forze dell'ordine di pasoliniana memoria l'altro giorno non c'erano i figli dei borghesi che potevano permettersi l'Università nel '68 e che strada facendo hanno dimenticato che volevano fare la rivoluzione. C'era gente che vive (a stenti) di precariato, che non avrà una pensione, che vede lo stato sociale sgretolarsi sotto i cannoneggiamenti dei pareggi di bilancio messi in Costituzione. 
Gli scontri, e qui veniamo al secondo punto, non sono stati ingaggiati perché si vuol fare la rivoluzione, ma per sfogare la rabbia di anni di umiliazioni; di stage non pagati, di studi che non danno qualità della vita, di sorrisetti beffardi (magari da parte del dirigente d'azienda che nel Sessantotto faceva a botte coi poliziotti), di co.co.co e co.co.pro, di "tempi determinati" incompatibili col tempo della vita. Non c'è un'ala militare organizzata. Perché si organizza chi ha uno scopo. Questa è una generazione costretta a misurarsi con problemi che stanno ben più in basso: ha da pensare alla propria vita, altro che rivoluzione. E' per questo che in piazza non ci sono gli stereotipi del violento e del bravo ragazzo. Meno che mai i rivoluzionari di professione, non foss'altro perché manca la rivoluzione da fare, appunto. Ci sono persone portate a un tale livello di stress sociale per le quali la piazza può diventare - neanche regolarmente, ma solo a volte - valvola di sfogo, difesa disperante. Il violento e il bravo ragazzo sono insomma tipi intercambiabili, come spiega bene qui Marco Bascetta.
Terzo: il fatto che non si capisca tutto questo, spiega almeno in parte il perché della violenza disperante. Le generazioni cui si sta amputando il futuro sentono di stare toccando il fondo. Eppure il mainstream non cambia. Così come le analisi che raffigurano gli scontri di piazza, anche le ricette per uscire dalla crisi ripercorrono strade che non portano da nessuna parte. Cioè: nel vortice di un crisi che viene descritta come "unica", si annaspa aggrappandosi a sostegni inservibili. E ciò porta sempre più giù. Le generazioni già a fondo lo sentono e gridano come gli viene la loro disperazione. 
Condannatela pure la violenza, ma senza un cambio di rotta non fate altro che alimentarla. Di questo si dovrebbe prendere coscienza. Invece che continuare a pensare, scrivere e agire come se si fosse in un mondo che non esiste più. 

martedì 30 ottobre 2012

Io e te

Un artista ti riporta alla vita. Alla sua radice inesplicabile. Alla tensione infinita, divaricante e mortale che la sottende. Questo ti può capitare di pensare quando esci dalla sala dove hai appena visto "Io e te". Questo ti può capitare di pensare, soprattutto, se hai preferito il cinema alla tv del "Grande commento", nella sera in cui il caos si è materializzato sotto forma di risultati elettorali. Questo ti capita di pensare quando esci e ti appare nitido quello che normalmente è sfocato. E diventi capace di misurare alla perfezione la distanza tra il reale e l'irreale paccottiglia che lo sovrasta e che scambiamo per realtà. Perché c'è (quasi) tutto quello che conta dentro "Io e te": il singhiozzo della vita e lo spettro della morte che l'accompagna; la tentazione del guscio che ci protegge e ci indebolisce al tempo stesso; il vuoto davanti che si riempie di cose che non capiamo e ci calamitano, il mistero della fratellanza e della sorellanza, e della genitorialità. Tutti ingredienti che rendono il film di Bertolucci "assoluto", sciolto dal tempo in cui è stato partorito. E che ne fanno un'opera all'altezza (e forse di più) del gran libro di Niccolò Ammaniti che l'ha originato. Sarà che nel libro, Ammaniti non ha potuto far cantare David Bowie. Poi esci dalla sala. E torni alla realtà.

venerdì 26 ottobre 2012

Lettera al manifesto (spedita da facebook)


Caro manifesto, in una volta sola compio due azioni che non faccio mai: scrivere di cose private, e per di più farlo sulla bacheca facebook altrui. Ma ne vale la pena, credo. Perché penso che nella sostanza la mia sia una vicenda accomunabile a quella di tanti altri, fatti salvi i miliardi di percorsi personali possibili. E forse sentirla ti può far bene in un momento come quello che stai passando.
Ti ho preso in mano la prima volta che erano gli anni ottanta. Ero un adolescente di provincia che voleva fare il giornalista. Lo desideravo perché convinto che far sapere alle persone cose che normalmente vengono taciute fosse un modo per cambiare il mondo in meglio. Sei diventato, stavo per dire il mio giornale. Invece sei stato molto di più. Dai miei genitori privatamente e da te pubblicamente ho imparato (credo fosse un editorale di Luigi Pintor all'indomani di una delle tante sconfitte elettorali) che quando le cose vanno male la prima azione che devi fare è domandarti dove stai sbagliando. Attraverso te ho saputo che il senso dell'utopia è spostare l'orizzonte avanti e tentare di raggiungerlo, e quindi camminare. Attraverso Pintor ho capito che un articolo si può sempre asciugare, e ne guadagna. E ricordo ancora quando la mia prima lettura mattutina era il mattinale di Norma Rangeri. Mi sono innamorato e nutrito degli affreschi sociali delle cronache delle manifestazioni che faceva Pierluigi Sullo, della lucidità di Rossana Rossanda e Ida Dominijanni; ho fatto tesoro degli inviti alla lettura di Benedetto Vecchi e della capacità di analisi di Marco D'Eramo, godo ancora con Jena-Barenghi, giusto per dirti i primi tra i tanti che mi vengono in mente. Sei stato per anni un compagno con cui andavo d'accordo su quasi tutto. Mi hai insegnato la libertà, il valore del dissenso, altro che socialismo reale (pensa: tu che volevi uscire dall'orbita sovietica e ancora ti dici comunista e gli altri che c'erano rimasti dentro e hanno cambiato tre volte nome!). Ma non ho mai conosciuto personalmente i tuoi giornalisti benché li ammirassi incondizionatamente. Troppo grandi per me, pensavo anche quando li ho avuti a portata di mano. E dire che volevo fare il giornalista da te. Nel frattempo giornalista lo sono diventato. Anche grazie alla cassetta degli attrezzi di cui tu inconsapevolmente mi hai fatto dono, che va bene anche per la provincia nella quale sono rimasto. Nel tempo sono venuto trovando diversi punti di disaccordo con te e da parecchio ormai, ovviamente, non sei più l'unico quotidiano che leggo. Ma, questo voglio dirti, anche se non mi appari più come il “genitore” che eri, continuo a trarre da te spunti introvabili altrove. E, mi perdonino i colleghi che li fanno e i lettori che li comprano, non c'è un giornale come te: libero e dunque credibile. Perché sono libere le persone che ti fanno. Perché ti fanno e ne detengono la proprietà contemporaneamente, questo è il punto. Non so come si metteranno le cose per te. Ovviamente spero il meglio. Ho scritto queste righe perché tu sappia quanto vali. E non posso ovviamente dire al collettivo di smetterla di litigare. Anzi: discutete, liberi. Però fate in modo che la vostra esperienza continui. Sapendo che in molti saranno ben contenti di darvi una mano. E non vi perdonerebbero se le vostre divisioni mettessero a repentaglio una voce come non ce ne sono. E, se sparite, non ce ne saranno.
Ciao, buona vita

lunedì 22 ottobre 2012

Come prima, più di prima

Per chi ha avuto l'opportunità di vivere in diretta la prima tangentopoli di vent'anni fa, la tentazione di fare dei parallelismi con la situazione attuale è troppo forte. E in effetti, fatti salvi un mondo completamente diverso (lì si scongelava la guerra fredda, qui la finanza cancella la politica) e un panorama politico differente (lì la Lega e l'astro nascente Berlusconi, qui il Movimento cinque stelle), la sensazione è di vivere un altro momento che in superficie appare rivoluzionario ma che se vai a guardare un po' più a fondo ha tutte le caratteristiche per diventare l'ennesimo flop. Perché? Perché quello che neanche in apparenza è cambiato è la ggente. Vent'anni fa lo scioglimento dei ghiacciai che avevano diviso i due blocchi faceva da prologo alla globalizzazione di cui la finanza al governo planetario è oggi la conseguenza. Vent'anni fa - potrà apparire un falso storico ai più giovani, ma abbiate fiducia: basta che andiate a leggere i giornali del tempo - la Lega e Berlusconi erano dalla parte dei giudici e reclamavano il "piazza pulita", così come il Movimento cinque stelle oggi. L'unica cosa che non è cambiata, neanche in superficie, è la collera popolare della ggente. Dove ci ha portato quella collera che vent'anni fa sembrava essere il propellente per un passaggio storico lo sappiamo: avevamo Forlani ed è arrivato il bunga-bunga, Craxi ha lasciato spazio a Fiorito. Dove ci porterà la collera attuale è a questo punto immaginabile. Perché la veemenza, a tratti plebea, della protesta è inversamente proporzionale alla capacità di andare alle radici delle questioni. Stiamo dentro una crisi che porta le vendite di auto a percentuali negative a doppia cifra, a Taranto si registrano morti per tumore da far accapponare la pelle; la capacità produttiva ipertrofica e dannosa di un sistema settato solo sulla quantità, insomma, non riesce a trovare sbocchi di mercato; in Europa invecchiamo assai più che negli altri continenti e investiamo meno in innovazione. E in questo tsunami noi ci preoccupiamo della tempesta nel bicchiere d'acqua: le indennità dei parlamentari, quanto rubano questi o quelli. Certo che occorre più morigeratezza nella vita pubblica. Certo che occorre far pagare i ladri. Ma non si può esaurire a quello un programma politico. E se ciò accade, e sta accadendo, la dice lunga sulla profondità di respiro di un'indignazione pronta a incarognirsi sul capro espiatorio di turno senza esigere, mettendosi anche in gioco in prima persona, un cambiamento che premi l'innovazione, la fantasia, il nuovo vero e non le scatole ridipinte con il nulla dentro. L'avremo, il capro espiatorio. Poi torneremo, anzi, continueremo a mangiare e respirare veleni, a produrre l'inutile e a farci togliere servizi perché ci diranno che ce lo chiede qualche entità inarrivabile cui non si può dire di no.

lunedì 15 ottobre 2012

Il vecchio Renzi

Una delle battute più applaudite ai suoi comizi 2.0 Matteo Renzi la ottiene così: fa abbassare le luci in platea e manda un video in cui un ingrigito D'Alema ospitato a "Otto e mezzo" sentenzia che se le primarie fossero vinte dal sindaco di Firenze "finirebbe il centrosinistra". Spento il video, riaccese le luci, Renzi riprende la parola e statuisce: "Se vinco le primarie io semmai finisce la carriera parlamentare di D'Alema". Giù applausi. Bene, nella battuta e negli applausi che la seguono ci sono lo spirito dei tempi, il capovolgimento di senso che ha già fatto strame della parola "riformismo", lo smarrimento cosmico di un popolo che vuole il nuovo ma abbraccia il vecchio. Perché in quelle poche parole Renzi rivela che se diventasse leader del centrosinistra, sarebbe lui a decidere chi far entrare in Parlamento. Esattamente come è avvenuto quattro anni fa con una legge elettorale esecrata anche da lui. Esattamente quello che ha fatto D'Alema, quattro anni fa insieme ai maggiorenti del suo partito. Esattamente quello che hanno fatto quattro anni fa i partiti che si stanno squagliando in questa coda ingloriosa di seconda Repubblica. Che D'Alema non rientri per l'ennesima volta in Parlamento è francamente questione secondaria. Ma la natura del "one man show" che Renzi sta portando in tour nei teatri e nelle tv dovrebbe se non preoccupare, far discutere chi, dopo anni di antiberlusconismo, potrebbe trovarsi a votare un Berlusconi ringiovanito senza bisogno di fare lifting. Il fatto che neanche D'Alema - che da settimane ci estenua ingaggiando un duello al giorno con il suo detrattore - abbia fatto notare la cosa all'opinione pubblica, è sintomatico di come la pratica della cooptazione sia consuetudinaria a quei piani alti della politica. Tanto consuetudinaria da non essere notata. Tanto consuetudinaria che il giovane Renzi c'ha già fatto il callo. Consuetudinaria come i capovolgimenti di senso che stanno inebetendo un'opinione pubblica sempre più debole. Che cerca una scatola nuova purchessia, senza curarsi di quello che c'è dentro.

mercoledì 26 settembre 2012

Il (meno) peggio

Quando vent'anni fa Bettino Craxi fece la celebre chiamata di correità in Parlamento sul finanziamento illecito ai partiti, la cosa creò sconcerto e quella linea di difesa suscitò qualche nota di biasimo. Oggi nel tritatutto di immagini-video-commenti-dichiarazioni-spot, si sta perdendo di vista che la linea difensiva dei protagonisti dello spettacolo indecente che abbiamo davanti - che non va dimenticato, hanno spesso dietro di loro raffinati e ben pagati consiglieri e/o avvocati - è più o meno la seguente: anche gli altri lo fanno, non sono io il/la peggiore, sono stato solo sfortunato che mi hanno beccato/a, e fortunati loro che sono riusciti a nascondere tutto. La linea, al di là dell'eleganza e della sede scelta (Craxi lo fece in Parlamento con un discorso scritto, gli attuali protagonisti lo fanno urlando davanti alle telecamere di programmi di quarta serie) è la medesima. Solo che oggi nessuno lo nota. E al bar, negli uffici, nelle fabbriche e dalle parrucchiere, i teleutenti si accapigliano a discutere sull'agenda dettata da questi arruffapopoli da quattro soldi: "Sì, è vero, lo fanno tutti", "No non è vero, non sono tutti uguali". Ma una politica che non sa più indicare il verso migliore e si ripiega, quando va bene, sul meno peggio, la dice lunga sul peggioramento dei tempi. E un'opinione pubblica che non lo nota e anzi accetta il piano del discorso - annichilita e troppo presa, più che a prendere seriamente e fattivamente le distanze, a covare livore sordo e invidia nei confronti di chi per anni ha svoltato alla faccia degli altri - dà ulteriormente il senso dell'involuzione. E di come sia difficile uscire dal labirinto nel quale siamo ficcati. Perché abbiamo disimparato bene a cercare il meglio.

venerdì 21 settembre 2012

Fiorito e noi

Troppo facile e fuorviante soffermarsi sulla stazza der federale de Anagni, al secolo Franco Fiorito; sulla rozzezza basica con cui Renata Polverini ha chiesto al consiglio regionale del Lazio di fare piazza pulita. Il gessato inevitabilmente sgraziato costretto ad avvolgere i quasi due quintali di Fiorito, le amenità ammannite da Polverini e tutto il circo di immagini e parole che ci sta invadendo da giorni sono così abbaglianti da accecare. C'è quasi da compatire Niccolò Ammaniti, il cui genio ci aveva regalato solo tre anni fa un affresco poderoso ("Che la festa cominci") che una realtà assai più veloce della fantasia rischia oggi di declassare da romanzo a cronaca. Troppo facile affondare le unghie affilate dall'indignazione su quell'adipe molle simbolo di decadenza. Facile. Fuorviante. E autoassolutorio. Scrive Michele Serra che Franco Fiorito siamo noi. Non offendetevi. Serra ha ragione. Ma è ottimista. Perché vede uno spiraglio quasi a portata di mano: un paese può cambiare, dice, se il suo popolo migliora, se le persone migliorano la loro cultura, le loro ambizioni. Certo. Non fosse che milioni di persone, a leggere quelle parole mormorerebbero a se stesse: "Riecco la menata del solito trombone di sinistra". Perché cultura rimanda alla locuzione "che due palle". Perché migliorarsi combacia con arricchirsi. Perché l'ambizione è godersela. E godersela equivale a consumare qualsiasi cosa: benzina, risorse, soldi, sesso. Non per tutti, certo. Ma l'immaginario collettivo, il solco nel quale scorre il fiume del nostro tempo, è questo. Non si spiegherebbe altrimenti perché da decenni Fiorito e migliaia di mediocri come lui prendono decine di migliaia di voti, dal più oscuro dei consiglieri di circoscrizione alle cariche più alte. Con le conseguenze, in termini di governo della "cosa pubblica", che abbiamo sotto gli occhi. E allora, di fronte a un'apocalisse del genere, davvero vogliamo rifugiarci nell'autoassoluzione sostenendo che Fiorito e i troppi come lui sono antropologicamente diversi da noi e dal rimpianto Berlinguer, come sostiene Francesco Merlo? No. Al massimo noi siamo i bastardi e Fiorito e i troppi come lui sono i figli legittimi di un tempo che ha perso la dimensione lunga perché ha bandito le parole "costruzione" e "alternativa", perché ha trasformato la critica in crimine e fa un valore dell'obbedienza da caserma. Un tempo piatto in cui non c'è proiezione e vale solo il qui e ora. E se non c'è dimensione lunga non c'è promozione possibile. Non c'è miglioramento. E se non c'è miglioramento si sfibra anche la dimensione collettiva del vivere. Perché è l'attrazione verso un processo di emancipazione che spinge verso gli altri e chiama gli altri a sé. Se manca la prospettiva di andare avanti vale solo la pena di godersela il più possibile. Da soli. Accumulando il più possibile con qualsiasi mezzo per consumare il più possibile. Decontestualizzati dal resto. Dagli altri. Come appaiono decontestualizzati Fiorito e i mediocri che lo circondano, a godersela in una festa in cui per divertirsi servono decine di migliaia di euro mentre quelli che li hanno votati bestemmiano ogni volta che gli arriva una bolletta, ma se potessero si farebbero eleggere consiglieri non per migliorare la loro regione, ma per spassarsela coi soldi pubblici pure loro. Il mors tua vita mea non è frutto di cattiveria, ma la naturale evoluzione della rivoluzione storica ed economica (c'è chi la definisce apocalisse, appunto) in cui ci è toccato di transitare, che ci ha reso atomi e che ha fatto strame del mondo in cui l'alternativa era almeno possibile. E la fantasia e la creatività mezzi per cercarla. Da questa ferita sgorga lo spettacolo penoso, grigio e monotono che abbiamo davanti da decenni: laddove la società sperimentava, ora consuma e basta; laddove la politica era anche mezzo per porre le basi di un vivere diverso, oggi è solo un modo per sistemarsi.
Siamo colpevoli, noi bastardi? Non del tutto. La rivoluzione è passata molto al di sopra delle nostre teste. E costringe oggi molti di noi a vivere a vuoto come criceti sulla ruota. Mostriamo però miopia e respiro corto quando ci soffermiamo sulle volgarità che pur fanno rabbrividire considerando quelle il problema e non l'epifenomeno. Mentre l'antidoto è tentare di imporre un ragionare lungo. Questo è l'unico, difficilissimo, modo per ribellarsi a questi tempi claustrofobici. Oltre a tentare di scendere dalla ruota su cui giriamo a vuoto.

venerdì 24 agosto 2012

Alla rovescia

Nel mondo alla rovescia che abitiamo, siamo abituati a sentir abbaiare dalle nostre parti di volta in volta che per garantire maggiore sicurezza occorrerebbe armare: i vigili urbani, i portieri di notte, quelli di giorno ma solo dei condomini da un certo livello di reddito medio in su, gli arbitri di partite importanti e i proprietari di villette isolate, non quelli dei villoni ma solo perché lì ci sono i bodyguard con cannone d'ordinanza. Stupisce sentire il sindaco di New York dire che ci sono troppe armi in giro, da quelle parti. Hai visto, a volte il mondo si capovolge.

venerdì 29 giugno 2012

Tifo o ragione


Da una parte undici ragazzotti cui hanno fatto ripassare l'inno nazionale in fretta e furia per poi costringerli a cantarlo a squarciagola in favore di telecamera. Dall'altra sono lo stesso in undici, alcuni cantano, la maggioranza no, come è normale che sia. Con chi staresti? Con i secondi, ovvio, anche perché gli inni nazionali t'hanno sempre dato l'orticaria. Da una parte uno che fa il portiere e in conferenza stampa se la prende con giudici e giornalisti perché è stato divulgato che scommette forte. Dall'altra uno che fa il portiere e basta, senza voler sembrare per forza l'ex presidente del Consiglio. Con chi staresti? Con il secondo, ovvio. Da una parte uno in odore di essere indagato per il calcio-scommesse, dall'altra tutti al di sopra di ogni sospetto. Staresti ancora con i secondi. Poi cominciano. Giocano. Anzi, i primi giocano. Bene. Molto bene. Gli altri ci provano. I primi fanno gol. Esulti. Rifanno gol. Riesulti. Essendo conscio che insieme a te lo stanno facendo un mare di evasori fiscali che detesti. Ma esulti. No, il tifo non ha niente a che vedere con la ragione.

martedì 26 giugno 2012

Per Federico, per sua madre (e per noi)

Ora apriranno inchieste, procedimenti disciplinari e chissà cos'altro. Ma la peggiore punizione, l'agente di polizia condannato per l'omicidio di Federico Aldrovandi che ha vomitato in rete insulti contro le sue vittime (Federico e sua madre Patrizia, protagonista di una battaglia legale da medaglia al valore civile), se l'è inflitta da sé. Denudando se stesso in maniera che tutti potessero vedere come ragiona una testa che pensa che una divisa indosso attribuisca più diritti di quelli in dotazione a un comune mortale. Dimostrando la rozzezza che gli ha impedito perfino di prendere in considerazione l'idea di rifugiarsi nell'ipocrisia per nascondere sentimenti che in pochi (ammesso che li provino) avrebbero il coraggio di esprimere in maniera tanto pornografica. Si faranno inchieste, si apriranno procedimenti, certo. Ma la faticaccia che nessuno vuol prendersi in carico, da Genova in qua, è quella di capire la radice del motivo per cui le forze dell'ordine vengano permeate troppo spesso da sentimenti così sprezzanti del prossimo di cui dovrebbero prendersi cura. Certo, la divisa ha in sé il germe della violenza. Costituzionalmente ne detiene il monopolio, della violenza. Per cui la questione è di quelle radicali, appunto. Ma non ci si può arrendere al fatto che l'ordine pubblico sia in mano a gente così, che mette in costante pericolo la gente comune. E che magari, essendo appena un po' meno rozza del collega che ha dato lo spunto per questo post, è intelligente quel tanto che basta a sfruttare l'ipocrisia per non esprimere pornograficamente la sua rozzezza, ma opera ogni giorno contro la Costituzione. E il buon senso. E la vita.

venerdì 18 maggio 2012

Da Gigi D'Alessio a Cristina Donà (contro Grillo)

Dice: che hai contro Grillo? Pochi argomenti. Il primo è di pelle. Non mi piace la gente che urla. E non mi piace l'idea che sta passando sottotraccia, cioè che la radicalità debba esprimersi urlando. Che poi non è solo pelle. Perché l'urlo è la scorciatoia per farsi ascoltare dai timpani meno avvezzi alla complessità. E se invece vogliamo trovare una via d'uscita dal pantano planetario in cui siamo finiti occorre tenere conto di una molteplicità di variabili che l'urlo non contempla. Dovremmo semmai affinare ancora di più i timpani nostri, e tentare quelli di chi ascolta Gigi D'Alessio se non con i Sigur Ros almeno con Cristina Donà, per dire, piuttosto che proporre un D'Alessio iperproteico con qualche chitarra distorta in più. Con l'urlo invece, non si fa che rendere più solida la catena della superficialità, la prima da spezzare, la più spessa di quelle che ci tengono legati alla politica del qui e ora che cancella l'orizzonte. E che ci ha portato qui, miopi, grassi e incapaci di un guizzo per portarci fuori dal fango che ci cinge le vite. E poi, altro che antipolitica: confrontate non tanto i candidati grillini o il Movimento 5 Stelle, ma il personaggio Grillo (senza cui non esisterebbero né candidati né movimento) di quattro-cinque anni fa, quello delle energie rinnovabili, della qualità della vita, del riutilizzo e del riciclaggio, della biodiversità, con quello di oggi: quello delle sparate sui migranti e sulle tasse. Quello che guarda al potenziale di voti in libera uscita del centrodestra e ne carezza le viscere più oscure anche spingendo sull'acceleratore del "sono tutti uguali". Sofisticato, a suo modo; mediaticamente (ed elettoralmente) parlando efficace. Ma niente che ci possa far uscire dal pantano. Perché è proprio la politica delle viscere, dell'attaccamento alla terra senza più alzare gli occhi al cielo, dello spot (urlato) che ci ha portati dove siamo. Servirebbe una ribellione di massa alla semplificazione delle complessità, invece; che sappia contrapporre il lungo al breve, il profondo al superficiale. Cosa che Grillo non fa.

lunedì 7 maggio 2012

La furbata della terza stella

Forse in questa rivendicazione della terza stella sulla maglia da parte dei tifosi della Juventus e della stessa società c'è molto della goliardia che circonda il calcio. E forse questa storia dovrebbe rimanere confinata al capitolo "Bar Sport", soprattutto in un giorno che la storia (chissà?) ricorderà come quello in cui l'Europa riprese in mano se stessa. Però, nella rivendicazione dei due scudetti che la Figc (l'organo di governo del calcio) ha revocato a causa della vicenda di calciopoli (sentenza che riduce da 30 a 28 i campionati vinti riconosciuti alla Juventus e che quindi nega il diritto alla terza stella sulla maglia) è forte la tentazione di vedere gran parte dei difetti nazionali: l'inflessibile richiamo della legalità solo quando il rispetto delle regole dev'essere onorato dagli altri; il vittimismo del "così facevano tutti ma hanno colpito solo noi"; la sindrome del complotto che ne segue; la mala educazione che s'impartisce ai tanti bimbi che seguono il calcio ai quali si comunica: sì, c'è stata una sentenza, ma chi se ne frega; la difficoltà a riconoscersi nelle istituzioni - Corte costituzionale o Figc che siano -, cioè nei soggetti che ci siamo dati per uscire dal dominio della legge della giungla. Beninteso, la storia dell'umanità è storia di rotture, di disconoscimenti di autorità che non avevano diritto ad esserlo; di volontà di superare leggi che cristallizzavano rapporti superati dal tempo. Insomma, le rivoluzioni, e anche le riforme, che ci hanno portato dove siamo oggi sono sempre nate dalla presa di coscienza che lo stato di cose presenti è insopportabile, o che è almeno da cambiare un po'. E quindi dalla presa di responsabilità che va superato, anche in maniera traumatica. Ma giocare un campionato - vincerlo addirittura - essere immersi nel sistema che regola le cose del calcio fin nel midollo, e volersi al tempo stesso cucire addosso una stella che quello stesso sistema ha giudicato illegale, farlo prendendo la scorciatoia della caciara e prescindendo dall'assunzione di responsabilità di condurre una battaglia - legale o "rivoluzionaria" che sia - sa tanto di furbata. Nazional-popolare. E per questo detestabile e da contestare. Ben al di là della saracinesca del Bar Sport.

venerdì 27 aprile 2012

Quando gli mp3 erano le cassette

Qui si ha un'età sufficiente per ricordare che questo è l'anno in cui compiono venticinque anni il disco d'esordio dei Jane's Addiction, quello d'addio degli Smiths, The Joshua Tree degli U2 e Document dei Rem. E per concludere che se il 2012 ricordasse almeno la metà dei dischi di quella potenza variegata sarebbe, musicalmente, un anno da ricordare.

giovedì 1 dicembre 2011

La realtà

Non è una novità ma leggendo in questi giorni i cenni biografici su Lucio Magri e sulla gente che gli è stata accanto nella sua parabola, emerge in maniera definitiva come la politica fosse per quella generazione innervata con la vita: ci s'innamorava tra compagni e i compagni erano anche amici con cui andare a cena, al cinema, eccetera. Tanto che Magri ha annunciato ai suoi compagni-amici del manifesto una cosa così interna a sé come l'intenzione di farla finita. Tanto che nell'ultimo viaggio ha avuto accanto una compagna, Rossana Rossanda. E una che ti sta accanto nel tuo ultimo viaggio è un po' riduttivo derubricarla a compagna in senso strettamente politico. Ma fin qui, poco di nuovo, appunto. La novità, almeno per me, sta nell'aver corretto, grazie alle letture di questi giorni, due parzialità che insieme disegnano uno scenario nuovo. La prima: avevo sempre ritenuto che questa comunanza di sensibilità politiche ed esistenziali fosse appannaggio di una certa sinistra e in qualche modo legata a una prospettiva rivoluzionaria. Sbagliavo. Magri nasce democristiano e capire da Giuseppe Chiarante (democristiano poi passato al Pci pure lui) quanto fosse stato stretto il rapporto tra i due anche quando erano nella Dc, mi ha spalancato le porte di un mondo: anche quella era una comunità. Anche i bianchi erano compagni-amici, allora. La seconda: avevo sempre considerato un privilegio dell'intellettualità il fatto che la politica si potesse innervare con la vita. Sbagliavo anche qui. E l'errore era ancor più grossolano. Perché io ho avuto la fortuna di vederle con i miei occhi, seppure erano quelli di un bambino, le sezioni del partito piene di gente; le riunioni di operai, impiegati, quadri appena usciti da una giornata di lavoro; le diffusioni militanti di chi la domenica si alzava presto lo stesso perché c'era da portare nelle case dei compagni il giornale del partito; le piazze piene per un comizio; la voglia di esserci nelle scuole come rappresentanti d'istituto, nei posti di lavoro come sindacalisti. Eccolo lo scenario nuovo: non solo per i "rivoluzionari di professione", ma anche per la gente comune, dall'una e dall'altra parte della barricata, c'era la convinzione che la politica potesse cambiare la vita; che la realtà non è un dato a sé stante ma la si può costruire, plasmare attraverso scelte, e che scelte diverse producono risultati differenti. Oggi, assieme a quella politica lì è morta  non dico l'idea di un'alternativa, ma addirittura quella di possibilità diverse. La realtà è una e una soltanto: quella data. E le decisioni sono presentate sempre come ineluttabili, inesorabili; impossibile prenderne altre. E' tutto "impossibile": inquinare meno, tassare i patrimoni, lavorare meno e meglio, migliorare la scuola, investire in ricerca, pensare a una società di eguali e (quindi) liberi. Questo il messaggio che arriva dall'alto. E dal basso, questo è stato il cambiamento antropologico, non solo della sinistra ma della società tutta, si è introiettata l'idea disumana che l'azione umana non sia in grado di cambiare la realtà. Che la realtà è un dogma. Così si vive di comandi e di esecuzioni, come in un'immensa caserma. Così non solo la politica si limita a "gestione più o meno efficiente dell'esistente", come annotano tra gli altri, De Rita e Galdo in L'eclissi della borghesia, ma l'orizzonte non esiste più e si rischia di morire di claustrofobia nella realtà angusta che ci viene costruita intorno.