lunedì 5 dicembre 2016

Due-tre cose che ho imparato la notte tra il 4 e il 5 dicembre

1) Ieri ha vinto la Costituzione. Presi come siamo dall'ansia di predire il futuro, in molti a urne ancora calde ci siamo ubriacati di scenari politologici parecchi dei quali per forza di cose privi di senso; altri hanno stappato bottiglie pensando di aver vinto loro; altri ancora hanno tentato di sfogare la rabbia della sconfitta. E abbiamo smarrito il senso di quello che è successo. La Costituzione, unico puntello, o quasi, che ha resistito e superato prime, seconde, quasi-terze repubbliche, strategie del terrore, tangentopoli, logge massoniche deviate e miserie di ogni tipo; la Costituzione, unico documento, o quasi, che ci ricorda che veniamo dalla lotta antifascista; la Costituzione, questa sorta di bibbia laica per un paese, ha mantenuto la sua sacralità, che essendo laica non significa intangibilità. Significa che la Costituzione, è materia viva e resiliente, significa che le radici sono salve un'altra volta. Anche se da domani ci sarà chi la Costituzione la ricomincerà a vilipendere. Anche se tra chi l'ha difesa nella campagna elettorale appena finita c'era gente che la disconosce nei fatti. Ma la Costituzione è più grande di tutto questo, l'ha dimostrato un'altra volta. Non è cosa da poco, e confonderla con il destino di qualcuno o anche di un governo, è dimostrato che è cosa insensata.

2) In una democrazia il potere è del popolo. Lo so, la frase è quasi tautologica. Lo sarebbe del tutto. Lo è “quasi” perché le democrazie non sono tutte uguali. Lo è “quasi” perché i poteri che annacquano quello del popolo possono essere, e sono, tanti. E lo è “quasi” soprattutto perché il popolo essendo tante cose anche diversissime tra loro, ha un potere diffuso che si disperde e perde la sua forza. Però ieri sera, nel vedere i politici appesi in attesa del risultato delle urne, parafrasando Giovanni Lindo Ferretti ho percepito quel particolare netto tra il brusio indistinto. Erano loro, quelli dentro il Palazzo, a essere in ansia per quello che il popolo stava sentenziando. Perché il destino di ciascuno di loro dipendeva dal voto. Se il popolo prendesse coscienza del suo potere, se smettesse di piagnucolare alibi contro la casta che dipende da lui, dal popolo, faremmo un passo avanti. Ma queste cose sono complesse, e per il momento ci si può accontentare di percepire particolari in chiaro tra indistinto brusio e metterlo a verbale.

3) Ho il sospetto che la Costituzione, essendo bibbia laica, sia protetta da una provvidenza altrettanto laica. Perché è vano illudersi che milioni siano andati a votare pensando alla Carta. Dentro la valanga di No c'è anche, grande, il malessere contro il governo per una situazione che rende tutti precari, che vede continui sacrifici di diritti sull'altare dei conti, cosa che non è altro che un modo per segare il pubblico e far fare più profitti ai privati. Si tratta di un malessere che si esprime in voti ovunque e sempre contro i governi in carica, da tempo. Qui ha assunto le forme di un No a una riforma voluta dal governo in carica, appunto. Se le forme della politica, se il popolo, non si riprenderanno il loro potere nei confronti di un'economia vorace, ne finiranno divorati. Ma anche in questo caso le cose sono troppo complesse per affrontarle qui, vale la pena però di metterle a verbale.

4) I partiti, tutti, che tentano di appropriarsi della vittoria del No perché avevano invitato a votare No fanno quasi tenerezza: non hanno capito che le cose sono molto più grandi di loro e di conseguenza pensano che li aspetti ora un pranzo di gala. L'erosione dei diritti è una piena che senza argini travolgerà tutti. Come mettere l'argine? Anche qui, questione complessa. Ma una cosa si può dire: l'unica forza che ha portato le ragioni di un popolo al governo ultimamente è stata Syriza, in Grecia. Una forza del tutto inedita. Una forza che ha preso i voti perché si mostrava “toccata” dalle condizioni del popolo greco e si mostrava “toccata” quando tentava soluzioni ancor prima di andare al governo. Una forza che costruiva welfare laddove altri lo distruggevano ancora prima di andare al governo, spendendosi di persona invece di logorarsi in inutili riunioni di vertice. Chiaro? Studiare quello che era Syriza prima che venisse strangolata dall'economia finanziarizzata che ha messo le fauci al sogno europeo potrebbe essere già un buon punto di partenza. Ma studiarla davvero, con umiltà, non scimmiottarla.

5) Renzi si è mostrato un politico pessimo, un abbaglio per un popolo che gli si era affidato in piena crisi di identità, un pericolo per il suo partito già deteriorato da tempo. Ha fatto, sempre, la politica voluta da Bruxelles fingendo in extremis di essere contro la burocrazia europea comandata dall'economia finanziarizzata, si è scavato la fossa da solo scegliendo lui una riforma pessima e chiedendo su di essa un voto di fiducia non al Parlamento, ma all'Italia tutta, non avendo capito minimamente l'aria che tirava. Ha fatto nel cuore della notte un discorso di dimissioni da capo del governo all'altezza della sua fama: tutto apparenza e di sostanza pessima. Ha indossato il sorriso, ha fatto lo sportivo, ma nella sostanza ha detto: ora vado via col pallone, che è mio, e voi se volete giocare sono affari vostri. Questo, in soldoni, è stato l'affondo rabbioso (al di là del sorrisino ruffiano a favore di telecamera, cosa che rende l'affondo ancora peggiore) quando ha affibbiato agli esponenti del No l'onere di fare loro la proposta di legge elettorale. Il fronte del No non era una coalizione che si candidava a governare l'Italia, questo lo si sa tutti, anche se molti fingono di ignorarlo. E lui rimane il segretario del maggior partito nonché il presidente del consiglio che ci ha portato fino qui. Un po' troppo per prendere il pallone e andare a casa arrabbiati perché hai preso gol. Gli rimangono addosso milioni di voti, sì. Ma anche una sconfitta grave, che non ha nulla a che vedere con quella di quando perse contro Bersani: lì era ancora un outsider di belle speranze, qui ha perso da capo del governo.

6) Mentana si dimostra il meno peggio in un panorama televisivo estenuante. Niente di che, in mezzo alle mosche anche un passerotto sembra un'aquila. Però, sentir tentare di ragionare alcuni giornalisti (per carità, il solito giro) da lui, e poi cambiare canale e vedere Fassina e la Carfagna, Fratoianni e Gasparri che si parlavano addosso come sempre, sì, l'ha fatto apparire un'aquila.

venerdì 28 ottobre 2016

Lo sciacallo renziano che è in me e non lo sapevo

La vicenda da cui parto è personale, ma credo possa essere di interesse pubblico, per questo ne scrivo qui. Le considerazioni cui mi ha portato sono diverse, cercherò di essere schematico per illustrarle tutte nel tentativo di non essere dispersivo.

1) L'altroieri ho postato sui miei profili facebook e twitter la seguente frase: “Niente più terremoto. #bastaunsì”.

2) Si tratta ovviamente di una battuta, come capisce chiunque sia in grado di leggere senza ottundimenti.

3) La battuta ha come oggetto della critica un certo tipo di propaganda dei favorevoli alle riforme costituzionali volute dal governo Renzi - tanto da usarne il claim “bastaunsì” in maniera volutamente paradossale e rovesciata - secondo la quale una volta che vincessero i Sì, gran parte dei problemi italiani si risolverebbe automaticamente.

4) La battuta è anche il tentativo di sostenere che non è di riforme costituzionali che l'Italia ha bisogno, bensì di piani di recupero idrogeologico e antisismico, di investimenti per ricerca, innovazione, lavoro buono, eccetera.

5) La battuta non offende minimamente le vittime del terremoto, anzi. Il dramma è usato come una leva per criticare il potere. Non – sia chiaro - per dire che se ci sono stati il terremoto e i danni è colpa di Renzi. Ma per sostenere che le priorità di questo paese sono altre e che se uno vuole cambiare verso non è dalla Costituzione che dovrebbe partire, come ahimé ci ricordano ciclicamente le calamità cui siamo sottoposti.

5b) (Spiegare battute è umiliante per chi parla e/o scrive e per gran parte di chi ascolta e/o legge, ma visti certi tipi di uditorio ho imparato che a volte è necessario).

6) La battuta è stata capita e apprezzata da alcuni. È stata capita e non apprezzata, presumo, da altri, come capita.

7) La battuta è stata clamorosamente non compresa da altri che hanno preso e suppongo stiano continuando a insultarmi su twitter.

8) Cioè. Insultano non me, ma ciò che pensano che io sia. Cioè un sostenitore del Sì, renziano, che ha sfruttato il terremoto per fare una propaganda da sciacallo.

9) Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino qui, starà dicendo tra sé: “Non è possibile”. Invece sì, se volete guardate qui.

10) Ora. Chiunque non sia ottuso, capisce che solo una persona fuori dalla realtà potrebbe pensare di propagandare una riforma costituzionale attribuendole il potere di bloccare i terremoti. E se non sei ottuso, una persona fuori dalla realtà la lasci lì, o se la vuoi aiutare la porti da un buon medico.

11) Invece i flamer del No su twitter si sono concentrati su questo presunto sostenitore-sciacallo del Sì, nonché coglione, coprendolo di insulti.

12) La stragrandissima maggioranza di loro non si è premurata minimamente di andare a vedere i tweet precedenti, così da approfondire la conoscenza virtuale dello sciacallo-coglione. Alcuni hanno compiuto, sì, lo sforzo di andare sul profilo, ma vinti dalla fatica si sono fermati sul fatto che lo sciacallo si definisse “giornalista” e hanno usato il residuo di energia per ironizzarci sopra.

13) Pochissimi hanno invece tentato di approfondire e dopo aver affrontato l'immane sacrificio di leggere alcuni dei tweet precedenti hanno realizzato, dopo ore, che il presunto sciacallo non è in realtà né un sostenitore del Sì, né renziano.

14) Ma la fiamma dei flamer non si è spenta. Il coglione-sciacallo rimane tale. Difficile inserire la retromarcia quando il piede è sull'acceleratore schiacciato. Così, da sostenitore sciacallo del Sì, l'autore della frase è diventato uno che dovrebbe stare comunque zitto e/o uno che da giornalista non si dovrebbe permettere certe cose o di ironizzare sui terremotati (il tutto, si badi, senza aver mai letto una riga di quello che il giornalista scrive).

15) Insomma: la gran parte dei flamer che ho involontariamente attirato si dividono tra chi tuttora crede che l'autore di “Niente più terremoto. #bastaunsì”, sia un agit prop renziano e chi ne ha capito la reale identità ma non ammette che gli insulti erano mal riposti perché è venuta meno la presunta causa che li ha generati.

16) I flamer si sono concentrati su twitter. Su facebook si è capito che la frase voleva essere una battuta. O comunque non si sono accesi incendi di insulti. Perché? Se avete pazienza e fate uno sforzo, siamo alle conclusioni.

17) Perché su twitter, che passa per il social più “intellettuale”, c'è un anonimato di fatto che fa scattare la psicologia del branco. Su facebook, per quanto virtualmente, si è amici, difficilmente si vedono insulti diretti sulle bacheche altrui. Gli insulti ci sono, ma vengono scambiati nei cosidetti “gruppi”, dove si scontra gente che non è amica neanche virtualmente. Su twitter questa dinamica è la normalità: chiunque può insultare chiunque. E il fatto di non essere “amici” o “follower” e poterlo fare amplifica a dismisura il fenomeno.

18) Non sto dicendo che twitter e i social sono “il male”. Anzi. Sono, possono essere, strumenti preziosi e io ne faccio uso anche per lavorare. Il male è là fuori, lo sappiamo, e la rete è uno degli strumenti attraverso cui si manifesta. Però l'anonimato virtuale fa scattare una psicologia da branco dentro il cui vortice ci si sente in diritto di dire qualsiasi cosa. E i social questa dinamica la moltiplicano. La riprova è che io (o lo sciacallo renziano per cui mi hanno scambiato) in tutta la mia vita vera e non virtuale non ho mai preso direttamente - in faccia, dico - la caterva di insulti che mi è stata e mi continua in queste ore ad essere riservata.

19) Che utenza è quella che da un tweet, peraltro non capito, non si premura di tentare di approfondire, non lascia perdere, al limite, ma si precipita ad insultare? Non sto parlando di un singolo, ma di decine e decine di individui, cosa che tratteggia un fenomeno sociale. Insomma: quanto stiamo diventando (o siamo già diventati) marci? Quanto ci rifiutiamo di capire? Quanto siamo pigri? Quanto il web incentiva la pigrizia? Quanta frustrazione, disagio, fastidio ci sono dietro questo schermarsi e insultare?

20) Voterò No, convinto, al referendum. Ma gli ottusi flamer di twitter ieri mi hanno ricordato, qualora ce ne fosse stato bisogno, che non sto dalla parte del bene. E che dalla parte del Sì non sta il male. Che con me voterà No gente che io ritengo contribuisca a rendere invivibile l'ecosistema nel quale stiamo tutti. Ecco, la vicenda di ieri mi ha ricordato che è tutto molto più complicato di come appare, e a volte più semplice. Che è un'ulteriore complicazione. Ma che comunque bisogna tenere aperta la porta alla complessità. E lasciare i manicheismi rassicuranti ai flamer già stanchi dopo aver letto una riga.

E niente, se siete arrivati fino qui, siete degli stoici.