lunedì 3 maggio 2010

Pubblico e privato

A volte la rigidità fa brutti scherzi. E spesso chi ha scoperto (o almeno pensa di averlo fatto) di essere stato eccessivamente rigido in passato, rischia di trovarsi costantemente in mezzo ai flutti. Sballottato nell'oceano dell'incertezza, seppure non senza certezze. La necessità di sottrarre l'acqua agli interessi privati e ai tentativi di farne un mezzo per raggiungere profitto, per esempio, per me è una certezza. Stesso discorso vale per scuola e sanità, materie nelle quali la stella polare deve essere il raggiungimento di obiettivi di eccellenza per la qualità della vita della popolazione. E, poche storie, quando il privato mette le mani su qualcosa, solo un disonesto o un minus habens può venirti a dire che lo fa per il pubblico interesse. Non ho la minima esitazione quindi a schierarmi a favore del referendum per l'abrogazione delle norme che obbligano a immettere  soggetti privati nella gestione dell'acqua. Detto questo però, non riesco a turarmi gli occhi per non vedere che alcune delle società pubbliche che gestiscono l'acqua, vengono considerate come vacche da mungere per appagare gli appetiti di questo o quel candidato trombato da risarcire con l'inserimento in qualche consiglio d'amministrazione, o utilizzate come merce di scambio per appalti e/o affari più o meno torbidi. Qui si è convinti che il referendum contro la privatizzazione dell'acqua sia sacrosanto e anche che su questo si riscontrerà una maggioranza sorprendente e trasversale. Semplicemente perché l'acqua è come l'aria e solo il Pd o l'Idv riescono nell'impresa di non capire che su questo si incontrerà il favore di moltissimi. Sottacere però che accanto alla pubblicizzazione dell'acqua, vanno messi seri paletti affinché gli acquedotti italiani, tanto per fare un esempio, non dissipino tanto liquido quanto quello che portano nelle case, sarebbe un errore. Pubblica sì, l'acqua. Sottratta però, tanto agli appetiti dei privati, quanto a quelli di chi utilizza le società pubbliche per fare affari privatissimi, indebolendo così la gestione pubblica perché la si rende - a ragione - imputabile di sprechi e inefficienze. Se si vuole il pubblico, lo si deve pretendere di qualità e non solo perché è lo strumento che permette di tenere lontano il privato.

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