martedì 16 aprile 2019

E però (di cose umbre e non solo)

E però, scusate. Due-tre cose che non tornano sulla vicenda sanità in Umbria.

1) Qui sembra che la politica, cioè il Pd, perché alla Regione governa(va) un monocolore Pd, sia tutta uno schifo. Lo schifo c’è. E pure notevole. È appena il caso di far notare però che dall’inchiesta emerge che per ogni politico (o direttore sanitario messo lì da un politico) c’è una pletora di persone comuni che fanno la fila per la raccomandazione: addirittura a un certo punto nelle intercettazioni c’è quel poveraccio di Duca (il direttore generale dell’ospedale, arrestato) che si lamenta perché ci stanno più raccomandati che posti messi a concorso. Se fanno schifo quelli che detengono il potere, è anche perché la gggente gli consente di esercitare il potere in quel modo. O no? Certo che c’è da distinguere tra chi sta sopra e chi sta sotto. Tra chi ha il potere e chi il potere lo subisce. Però, a parte tanto cianciare sulla meritocrazia, pare che la corsa fosse a cercarsi la raccomandazione più sicura, non a fare gli onesti. E a occhio e croce tra i più indignati contro questo “schifo” ci dovrebbero essere anche (ho detto “anche”, non “solo”, facciamo a capirci) quelli che una raccomandazione non ce l’hanno fatta a ottenerla, non solo chi questo sistema lo schifa davvero.

2) Dice: adesso la parte buona del Pd rialzi la testa. Dice anche: adesso i giovani del Pd battano un colpo. Ma santiddio, quello è il partito che in Umbria ha eletto Gianpiero Bocci segretario quattro mesi (4 mesi) fa. E non è questione di guai giudiziari. Bocci ha fatto il sindaco del suo paese natale nel 1985, c’aveva 22 anni. Da lì in poi, uscendo da un palazzo solo per entrare in un altro più grosso, è stato ripetutamente consigliere regionale, parlamentare e sottosegretario. Uno intriso di sistema. Trentaquattro anni di carriera politica senza alcun atto che sia impresso nella memoria di nessuno di noi. Fino a candidarsi alle ultime elezioni da sottosegretario uscente e arrivare terzo su tre nel collegio uninominale in cui si era presentato. A dieci mesi dalla disfatta, è diventato segretario regionale grazie a più di dodicimila persone (la gggente) che sono andate ai gazebo a mettere una croce sul suo nome, e grazie a uno stato maggiore del Pd regionale che lo ha sostenuto a spada tratta; non male per un partito che ha fatto dello slogan “vincere” un mantra fino a perdere del tutto la propria identità. Dice, i giovani. Ma, benedetto il signore, il Pd è un partito che per tre anni e mezzo si è messo in mano a una brigata di quarantenni che l’hanno portato al minimo storico e sono dovuti fuggire. In Umbria è successa più o meno la stessa cosa in miniatura. I giovani? Ma davvero?

3) Il sistema (e qui arriviamo al punto più difficile). Sì. Certo. C’è un problema di sistema. Ma non è quello dei politici cattivi e della gggente buona. Stante che chi è chiamato a governare ha bisogno di personale tecnico-amministrativo coerente per dettare le politiche che ha in mente (è un problema che va al di là della sanità), e stante che la cosa pubblica non è appannaggio di chi la governa pro-tempore, occorrerebbe trovare le soluzioni (cioè le leggi) per salvaguardare il diritto della politica di governare ma non di papparsi tutto, e delle persone competenti di lavorare. Questo è il punto. Ma non lo raggiungeremo mai finché la gggente continuerà a tirarsi fuori, guardare dalla finestra e considerarsi vittima del sistema cui contribuisce senza minimamente metterlo in discussione (disclaimer: solo che mettere in discussione il sistema costa), né finché cercheremo soluzioni improbabili: i giovani, la discontinuità dove regna la palude, l’alternativa dove sta la coazione a ripetere. Per uscire dal pantano occorrono competenza e innovazione. E l’innovazione è un investimento di fiducia che devi fare non solo su te stesso, ma anche su chi ti ascolta, perché devi fargli capire che occorre immaginare qualcosa che adesso non c’è, e spesso non ci riesci. Perché questo crea lo smarrimento che cede alla conservazione. Anche in chi crede di essere progressista. È dura. È già tanto dura di per sé. Non ce la complichiamo con autoassoluzioni e cercando le soluzioni dove non ce n'è traccia.