sabato 19 dicembre 2020

Umbria, il virus diseguale

Nel suo ultimo aggiornamento sull’economia dell’Umbria pubblicato a novembre 2020 Bankitalia ha rilevato che nei primi sei mesi dell’anno si sono registrati il 2,9 per cento di occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il saldo assunzioni/licenziamenti è stato di –3.700. Il prezzo l’hanno pagato in massima parte i titolari di un contratto a tempo determinato (circa seimila in meno rispetto al 2019), che sono in grande maggioranza giovani sotto i 29 anni.

lunedì 14 dicembre 2020

Perugia, il paradosso della mobilità immobile

«In un periodo particolarmente difficile per l’economia a causa degli effetti dell’emergenza sanitaria da covid 19 questo provvedimento vuole rappresentare un contributo in favore dei commercianti, particolarmente colpiti dalle restrizioni conseguenti alla pandemia. L’obiettivo è di rendere la nostra acropoli maggiormente fruibile favorendo la presenza dei cittadini nel pieno rispetto di tutte le regole poste a tutela della salute collettiva». Sono le parole con le quali Luca Merli, assessore «alla viabilità», come lo definisce il sito istituzionale del Comune di Perugia, ha accompagnato la decisione di abolire la zona a traffico limitato fino al prossimo 31 dicembre.

giovedì 3 dicembre 2020

Un'eretica ante litteram


Per rispondermi al telefono Renata Stefanini Salvati interrompe la lettura mattutina dei quotidiani: «Ne leggo tre al giorno, Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero». Nel corso della chiacchierata mi dirà anche i titoli dei libri che sta leggendo in questo periodo; vale la pena citarli perché aiutano a capire il cuore delle ragioni per cui, almeno dal mio punto di vista, si è acceso l’interesse per questa donna che ha fatto la partigiana prima, la dirigente del Pci ternano poi, e l’imprenditrice di successo in seguito. I libri sono “A scuola di dissenso. Storie di resistenza al confino di polizia”, di Ilaria Poerio; “Sorvegliati speciali. Gli intellettuali spiati dai gendarmi”, di Mirella Serri; e “Un popolo come gli altri”, un volume di Sergio Luzzatto sulla storia degli ebrei. 

giovedì 19 novembre 2020

Per capire come sia saltato tutto

Stamattina ho inviato una email per la richiesta di ritiro domiciliare dei rifiuti per delle utenze di persone che stanno facendo la quarantena in casa e non possono smaltire attraverso le modalità ordinarie.

Nel giro di un’ora mi è stato risposto che la procedura era stata avviata e mi è stato inviato in allegato un opuscolo in pdf con le istruzioni per la gestione dei rifiuti urbani in caso di positività. L’opuscolo è stato fatto in ottemperanza, vi si legge, di un’ordinanza del 1 luglio 2020 del massimo organo esecutivo regionale. La data è importante perché quell’opuscolo è una testimonianza documentale di come nell’arco di quattro mesi sia saltato tutto.

giovedì 12 novembre 2020

Don Leonello

Don Leonello è una di quelle persone che mi aprono una vergogna professionale di una certa profondità. Don Leonello è morto l’11 novembre per covid, leggo. Da tempo non era più sotto i riflettori. La curia, la diocesi, o chi per loro - non mi intendo molto di questioni religiose - aveva contribuito a questa fuoriuscita soft dopo che per anni lui, nel quartiere della Pallotta, a Perugia, si era dato da fare ventiquattr’ore al giorno per dare una mano a chi una mano non la dava nessuno. 

giovedì 29 ottobre 2020

Tamponi agli asintomatici (ripresa)

A oggi la situazione in Umbria è questa. Poniamo che si riscontri un caso di positività al coronavirus in una classe. All’esito del tampone alunni e docenti vengono messi in quarantena.

Prima questione: il risultato del tampone della persona risultata positiva arriva a diversi giorni di distanza dall’ultimo contatto con la classe. Quindi per diversi giorni gli alunni che avrebbero potuto contrarre il virus senza presentare sintomi, restano liberi di relazionarsi rischiando di infettare a loro volta.

venerdì 23 ottobre 2020

Però

Sull’importanza delle scuole ci troviamo d’accordo. Sulla amputazione che rappresenta la didattica a distanza pure, soprattutto per gli alunni più piccoli e più fragili. Però. 

domenica 18 ottobre 2020

Boomerang

Ho un parente stretto che vive lontano da me in isolamento fiduciario in attesa di tampone, tre compagni di scuola dei miei figli positivi al tampone, e mi arrivano continuamente notizie di conoscenti o conoscenti di conoscenti positivi o in isolamento a loro volta. È una situazione che non avevo vissuto neanche nei mesi lugubri del blocco totale, quando c’erano morti a grappolo e andavi a fare la spesa e ti guardavi gli uni con gli altri come nemici potenziali. In quel periodo non mi era mai capitato di impattare il virus più o meno direttamente come in queste settimane, che pare la regola. Per questo, così, a naso, temo che il covid sia in circolazione molto di più oggi rispetto a qualche mese fa, al di là di quanto si palesa attraverso i numeri. Di buono c’è che la situazione negli ospedali e quella dei contagiati è mediamente migliore perché, ho letto, si sono aggiustate le cure e si tenta un minimo di tracciamento dei contatti, attività che nei primi mesi era rimasta travolta dall’emergenza.

lunedì 31 agosto 2020

Parliamo di deiezioni canine


Il gioco è piuttosto semplice, e di sicuro effetto. Ha diverse varianti ma il tema è più o meno lo stesso. Si può partire da una delle dichiarazioni strampalate di qualcuno di quelli “de destra”, tipo: «I migranti portano il covid». Oppure si può andare su una delle pagine di fan assatanati di quelli “de destra” e, sotto un post – per dire - contro la Azzolina corredato di fotografia pro-gogna, prendere commenti a caso: «Faccia da...», «Fatti stuprare da un branco di...» e via con amenità del genere. 

martedì 19 maggio 2020

Franceschino



L’ho imparato col tempo quanto era importante Francesco Valli. Fino a un certo punto per me è stato solo un adulto un po’ più grande dei miei che quando lo incrociavo per le scale mi apostrofava con un «ah regazzi!’», seguito da «che fai?» o «do’ vai?». Crescendo, ho scoperto che lo conoscevano praticamente tutti, a Terni, e che per tutti era Franceschino, non come c’era scritto sul citofono, Francesco.

giovedì 26 marzo 2020

Il Pd: salvaguardare i produttori di lana caprina

L’attività di mediazione prima di varare il decreto sulle attività considerate essenziali è stata così estenuante da portare il presidente del consiglio a rivalutare i tempi in cui i ragazzi più grandi di lui lo bullizzavano costringendolo a recuperare il pallone quando finiva in mezzo ai rovi di ortica alti fino all’inguine. Al colmo della disperazione, Conte si è giocato il jolly urlando in videoconferenza: «Basta, decido io, oppure mando Casalino a trattare al posto mio, e voi lo sapete che quello non distingue neanche un palo della luce spento da un deltaplano!».

Fino a quel momento gli industriali avevano insistito per far rientrare tra le produzioni essenziali anche quelle di catene e manette. Il capo delegazione di Confindustria, Alfredo Prigionia, motivava la scelta dicendo che è sempre bene avere in azienda certi strumenti quando c’è da trattare con certi operai riottosi. Lega e Fratelli d’Italia si opponevano però alle catene con la motivazione che le manette sono più che sufficienti. Il Pd derubricava la cosa sostenendo che gli operai non esistono più. Ma a quel punto è stato fatto notare a Paolo Liberal, che stava trattando per il suo partito, di non confondere gli italiani con l’elettorato del Pd.

Momenti di tensione quando Giorgia Meloni ha chiesto di inserire i sacchi di sabbia nell’elenco delle produzioni essenziali. «Stamo in guera», è stata la laconica motivazione, e quando le è stato riferito sottovoce dal suo consigliere Evaristo Nostalgia che il coronavirus si inocula e non ha armi, Meloni ha risposto scandalizzata sgranando gli occhi: «’Sto zozzo! E noi je sparamo lo stesso!».

Flebile la resistenza di Matteo Salvini, che voleva garantire l’apertura alle fabbriche produttrici di felpe. Il leader della Lega ha desistito quando come contropartita gli è stata assicurata la possibilità di circolare indiscriminatamente per le strade di Roma con la mascherina indossata alla cazzo di cane tanto per darsi un tono.

Il Pd ha insistito per tenere aperte le fabbriche di lana caprina. «Sennò noi al nostro interno non sappiamo di cosa discutere», ha detto Giorgio Destri, un ex renziano che si è rifiutato di seguire l’ex leader con la motivazione che “Italia viva” è un nome di merda. Sulla lana caprina però la chiusura di Conte è stata netta: «Se faccio una scelta del genere come motivo a Vito Crimi il no alle fabbriche di liquirizia che gli piace tanto?».

Nelle ore cruciali in cui si stava decidendo infine, è arrivata la minaccia di una serrata del buonsenso da parte del “Movimento dei cittadini onesti e stanchi” che chiedeva di non interrompere la produzione di rabbia e livore. Anche in questo caso la chiusura di Conte è stata decisa: «Rabbia e livore circolano liberamente in abbondanza, mentre la serrata del buonsenso è un’arma spuntata, visto che sono anni che non ce n’è».

Attimi di paura in chiusura di videoconferenza per Evaristo Nostaglia che è dovuto ricorrere alle cure dei medici dopo essere stato colpito al volto dalla giugulare rigonfia di Giorgia Meloni.

mercoledì 18 marzo 2020

Lite a Contursi, Meloni stecca l'inno, xanax per Salvini

Le forze dell’ordine sono dovute intervenire per sedare una lite condominiale in una palazzina di Contursi al termine della quale si sono contati diversi feriti. Il motivo della contesa è stato il mancato accordo sul brano da cantare sui balconi alle 18 di giovedì 19 marzo. La fazione dei tradizionalisti, capeggiata da Mario Rissetti, 48enne con precedenti per vendita di cd abusivi di Gigi d’Alessio, proponeva “L’italiano” di Toto Cutugno, mentre gli autonominatisi “innovatori” volevano fortemente l’ultimo successo sanremese di Elettra Lamborghini. La situazione, già al colmo dell’esasperazione, pare sia precipitata quando un condomino ventenne si è lasciato sfuggire “Ammazza che musica de merda che sentite tutti quanti!”.

Il coronavirus nel frattempo sta costringendo le forze politiche a rivedere le rispettive strategie di comunicazione. Il M5S è quello che si è trovato più in difficoltà dal momento che il leader politico attuale, Vito Crimi, sta cercando di farsi spiegare il significato della parola “strategia”. «Una volta che l’avrà capita la strada sarà tutta in discesa – confidano gli spin doctor del Movimento – perché in due-tre giorni al massimo avrà imparato anche il significato di “comunicazione”».

Il fatto che mezzo Pd si trovi costretto alla quarantena allevia di molto i cronisti, abituati a districarsi tra le differenti posizioni che usualmente caratterizzano le varie anime del partito: ad oggi se ne contano solo 26, anche se Anna Ascani sta per uscire dal periodo di isolamento forzato e contribuirà alla ventisettesima. Si potrebbe arrivare a 28 con l’immancabile “Ce lo chiede l’Europa”, anche se di questi tempi neanche Dario Nardella sembra propenso a farla propria.

In difficoltà Matteo Renzi, il quale è in attesa che la destra faccia la prima mossa per spararla ancora più grossa.

I due leader sovranisti dal canto loro avrebbero già fatto del loro meglio se solo non fossero stati costretti a fronteggiare degli imprevisti per cui la parte più movimentista di Lega e Fratelli d’Italia ha subito proposto la galera, salvo ricredersi quando gli è stato fatto capire che in galera ci possono andare solo le persone e non anche i nomi comuni di cosa.

All’interno di Fratelli d’Italia una fronda, subito ribattezzata demo-pluto-massonico-eccetera-eccetera dalla maggioranza, ha proposto un flash-mob. Su di loro è caduta la scomunica di Giorgia Meloni, la quale ha espulso tutti dal partito con l’accusa di esterofilia e ha però fatto sua l’idea varando un “movimento di un istante”, questo il nome scelto per l’iniziativa da una Meloni che nel presentarla si è lasciata sfuggire “E parliamo italiano, cazzo!”. L’idea era di cantare l’inno di Mameli accompagnati dall’orchestra in tonalità di “sol”, ma quelli di Fratelli d’Italia, timorosi che quella nota potesse rimandare al “sol dell’avvenire” socialista, hanno all’ultimo momento deciso di farla in “do” dando luogo a una terribile cacofonia, parola italianissima utilizzata qui per sostituire un più volgare “figura di merda”.

Salvini invece, era da giorni in giro alla ricerca di cibo italiano da comprare. Aveva optato per una semplice e autarchica pasta al pomodoro, ma poi gli hanno spiegato che il grano per gli spaghetti arriva dall’Ucraina e la polpa di pomodoro la spremono a mano degli immigrati clandestini che prendono 3 euro per ogni quintale raccolto. A quel punto, il leader leghista, preso dal nervosismo, si è acceso una Marlboro, ma quando il capo della “Bestia” Luca Morisi gli ha sussurrato all’orecchio che la Philip Morris, produttrice del tabacco, è americana, ha avuto una crisi di panico per la quale i medici sono dovuti ricorrere a una potente dose di xanax. Una volta riavutosi, Salvini ha voluto sapere dettagliatamente che cosa gli fosse successo, e quando gli è stato riferito che lo xanax è prodotto dalla Pfizer, multinazionale farmaceutica statunitense, ha avuto un nuovo mancamento dal quale si risveglia ogni tanto solo per gridare “Allah akbar”.

venerdì 13 marzo 2020

Coronavirus, una settimana cruciale


La prossima settimana sarà cruciale per capire se riusciremo a uscire indenni dall’epidemia di coronavirus. Questo è lo scenario più probabile.

Giorno 1 – Conte appare in diretta tv per comunicare il divieto di uscita sul balcone; mentre parla, la telecamera coglie un leggero tremore del labbro inferiore del premier che tranquillizza tutti: “È solo un po’ di stress”. Viene divulgato un audio di Rocco Casalino che si lamenta perché il coronavirus gli ha fatto saltare l’appuntamento dal parrucchiere. Salvini non viene invitato a nessun talk show ma appare in diretta su facebook davanti a un gigantesco piatto di impepata di cozze invitando a mangiare italiano. Giorgia Meloni chiede di chiudere i tombini perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. A Castelverrino, in provincia di Isernia, il 77enne Egidio Integerrimi esce di casa dicendo alla moglie: “Vado a comprare le sigarette”. Dopo dieci minuti la moglie ci ripensa e lo chiama al cellulare chiedendo: “Dove cazzo vai che non hai mai fumato in vita tua?”.

Giorno 2 – Conte appare in diretta tv per comunicare l’invito a scegliersi una stanza e restare chiusi lì dentro; la telecamera immortala un battito innaturale delle palpebre del premier che tranquillizza tutti: “Tranquilli, è solo un po’ di stress”. Circola un audio di Rocco Casalino incazzato perché a causa del coronavirus ha dovuto disdire la prenotazione del fine settimana in beauty farm. Salvini non viene invitato a nessun talk show e appare in diretta su facebook, ma dopo dieci secondi si sente distintamente il vicino di casa che grida: “Hai rotto il cazzo”. Giorgia Meloni chiede di chiudere tutte le bottiglie aperte che si hanno in casa perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. A Rondanina, in provincia di Genova, la 65enne Elisabetta Fuita viene sorpresa dal marito mentre tenta di calarsi dal balcone di casa dopo aver trasformato le lenzuola buone del corredo in una fune.

Giorno 3 – Conte appare in diretta tv senza cravatta e con i capelli in disordine chiedendo agli italiani di trovare riparo sotto i rispettivi letti e chiude la comunicazione facendo marameo con la mano ma si scusa subito dopo: “È solo un po’ di stress”. Rocco Casalino viene beccato in un fuorionda che si lamenta perché il ristorante in cui era solito mangiare il tartufo bianco di Alba ha chiuso nonostante potesse rimanere aperto poiché vende anche le sigarette. Salvini non viene invitato a nessun talk show e appare in diretta su facebook in evidente stato di ebbrezza invitando a bere italiano. Giorgia Meloni chiede di individuare tutti i manufatti made in China che si hanno in casa e sigillarli negli armadi perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. A Erba, il 18enne Mauro Cartini scende in cortile con gli amici, si arrotola una canna e inizia a fumarla dicendo: “Mi dispiace, è proprio un peccato non potervela passare”.

Giorno 4 – Conte appare in diretta tv in maniche di camicia chiedendo agli italiani di accendere un cero alla madonna e poi dicendo “piripiripiri”, spiegando poi: “Lo stress non c’entra, mi sono rotto proprio i coglioni”. Rocco Casalino confida in un messaggio audio a una chat di giornalisti che ha dovuto rinunciare al bagno nel latte di capra che aveva appena preparato perché è stato richiamato di corsa a Palazzo Chigi poiché il premier comincia a dare segni di cedimento. Salvini appare in diretta facebook con “You can leave your hat on” come sottofondo mentre con sguardo lascivo si slaccia la camicia dicendo: “È italiana”. Giorgia Meloni chiede di chiudere la galassia agli extraterrestri perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. Il 58enne Michele Vendetti esce di casa e va a starnutire in faccia al coetaneo Eros Minuti, che quarantacinque anni fa si era fidanzato con una sua ex della quale lui era ancora innamorato.

Giorno 5 – Conte manda in diretta tv al posto suo Rocco Casalino che confida agli italiani che a causa del coronavirus ha dovuto rinunciare al torneo di burraco del giovedì. Salvini in diretta facebook risponde al cellulare convinto che sia Bruno Vespa che lo invita a “Porta a Porta”, quando scopre che a chiamarlo è un call center che gli chiede di passare a Vodafone, esce sul terrazzo e minaccia di buttarsi. Giorgia Meloni che si trova a passare da lì lo invita a chiudere la finestra perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. Elettra Scotorni, 22enne influencer esperta nel non saper fare una minchia, chiede i danni a Instagram perché i follower cominciano a diminuire nonostante lei usi l’hashag #coronavirus.

Giorno 6 – Conte manda in tv un vecchio video di Rocco Casalino al Grande Fratello e alla fine appare in t-shirt e con la barba lunga dicendo: “Italiani, se c’è riuscito lui a rimanere chiuso in una casa per mesi, potete farlo anche voi”. Poi comincia a cantare “Brigitte Bardot Bardot” senza accampare la scusa dello stress. Salvini appare in diretta tv con una felpa in cui c’è scritto: “Coronavirus, co’ le mani quanno te pare”. Giorgia Meloni invita a chiudere i libri perché il coronavirus potrebbe arrivare anche da lì. A Forlimpopoli, la 46enne Giuditta Alessandrini entra in un supermercato, va dal direttore e chiede: “Quanto vuoi per tutto quello che c’è qui dentro?”.

Giorno 7 – Conte appare in diretta tv senza dire nulla, solo facendo di corsa da sinistra a destra e da destra a sinistra e salutando con la mano quando passa davanti alla telecamera. Rocco Casalino lo blocca lamentandosi che a causa sua e del coronavirus ha dovuto rinunciare all’ora quotidiana nella grotta di sale. Salvini non viene invitato a nessun talk show e appare in diretta facebook in boxer leopardati con scritto sul torace “Manzo italiano”. Giorgia Meloni chiede la riapertura delle case chiuse per poter avere qualcos’altro da chiudere. A Forlimpopoli, Giuditta Alessandrini dopo aver acquistato il supermercato coi risparmi di una vita ed esservisi barricata dentro, viene immortalata mentre fa il gesto dell’ombrello alla sterminata fila che si è formata fuori.

sabato 29 febbraio 2020

Quello che siamo


Se c’è un dato positivo emerso dal delirio collettivo che si è scatenato nella settimana abbondante scattata da venerdì 21 febbraio, è che c’è stato un contro-delirio nel giro di pochissimo tempo. Il fattore tempo è cruciale in questa vicenda. È successa una cosa simile a quella che accade quando uno va a dormire sbronzo la sera e si rende conto già al risveglio della mattina successiva delle enormità che ha fatto poche ore prima in preda all’alcol. La presa di coscienza è immediata e per questo, si spera, efficace. Un conto è misurarsi con le madornalità commesse una vita fa, un conto è rendersi conto di averle fatte praticamente qui e ora. Serve a prendere coscienza di quanto si è limitati oggi e di quanto occorra fare oggi, non una vita fa.

Ecco, delirio e contro-delirio dell’ultima settimana aiutano a capire quanto siamo limitati, a rischio, appesi a un filo come civiltà proprio, non come individui. Perché ammettiamolo, a queste latitudini siamo tutti intimamente convinti di avere il pieno controllo di noi stessi e dell’ambiente circostante; di saperla lunga, di essere nettamente meglio di chi ci ha preceduto secoli fa che andava a piedi scalzi e comunicava coi segnali di fumo, mica c’aveva Suv e telefonino come noi, no? Ci sarebbe capitato di fare un bagno d’umiltà, se capissimo quello che ci è successo nel delirio.

Già, ma che è successo? Che ci siamo fatti governare dall’irrazionalità esattamente come quando irrazionalmente da primitivi tremavamo di fronte ai lampi sospettando che arrivassero da un altro mondo. Governo, opposizioni, tv, giornali, sindaci, presidenti di regione. C’è stato un tale campionario di bestialità che se solo sapessimo guardarle bene dovremmo vergognarci e cambiare immediatamente pianeta. Non lo faremo, perché siamo sempre quelli dritti che c’hanno Suv e telefonino che li rendono invincibili. Però è successo. È successo che abbiamo chiuso i bar alle 18 come se il coronavirus uscisse per l’aperitivo e fosse quella l’ora a cui andava bloccato. Abbiamo fatto titoli di giornale come se l’Apocalisse fosse a un passo. Abbiamo cambiato i palinsesti delle tv per far parlare del coronavirus gente che non distingue un'oliva da un coccodrillo. Abbiamo pensato che i cinesi, per il fatto di essere cinesi proprio, contenessero in sé il virus; poi ci siamo ricreduti e un presidente di Regione votato da milioni di noi c’ha spiegato che i cinesi c’hanno il virus perché mangiano i topi vivi. Abbiamo fatto incetta di generi alimentari manco se ci fosse un conflitto nucleare alle porte. Abbiamo chiuso i cinema, i teatri, gli stadi, interi comuni. Abbiamo comprato cose a dieci-venti-trenta volte il loro prezzo normale. Ci siamo auto privati della libertà di muoverci, noi che di solito la libertà di muoversi la neghiamo agli altri.

E tutto questo l’abbiamo fatto per un virus assolutamente non letale se non per una percentuale minima di persone colpite. Il che rende le misure apocalittiche prese assolutamente prive di senso; i titoli e le paginate dei giornali inutili e dannosi; gli innumerevoli stand up degli inviati tediosi e ansiogeni. Ma l’abbiamo fatto. E facendolo abbiamo messo un scena uno spettacolo che è la migliore rappresentazione degli invincibili coglioni che siamo. Sì, perché questo siamo: dei coglioni che si sentono invincibili perché c’hanno il Suv e il telefonino, e che invece al primo colpo, peraltro minacciato, vengono giù come pere mature.

Poi siamo rinsaviti. Mica perché abbiamo capito di essere coglioni, ma perché ci siamo resi conto che la nostra paranoia ci faceva trattare da appestati dal resto del mondo. Proprio come noi consideravamo i cinesi all’inizio della storia. E perché, soprattutto, l’isteria stava danneggiando gli affari. E gli affari sono sacri, per quelli si può anche rinsavire.

Il fatto è che ilproblema non sono gli affari. È che in una settimana, se fossimo in grado di capirlo, abbiamo dimostrato a noi stessi quanto siamo manipolabili, ignoranti, irrazionali, impotenti nonostante ci crediamo esattamente l’opposto. Ci siamo fatti immobilizzare da una diceria che man mano che passava il tempo acquisiva l’aspetto di una inconfutabilità per il solo fatto che erano in tanti e non qualificati a crederci: governo, opposizioni, giornali, salumieri, dirigenti e quant’altro.

Stavolta c’è stato il contro-delirio a farci svegliare, ma c’è da temere che sia solo per gli effetti, perché le cause stanno tutte lì. Continuiamo a credere che ci sia in atto un’invasione nei confronti dell’Italia e votiamo di conseguenza; i più attrezzati argomentano addirittura che ci sia un disegno di sostituzione etnica, quando i migranti sono in rapporto di uno a dieci. Ci allarmiamo per il clima ma continuiamo a prendere l’auto privata anche per andare a sparare cazzate al bar e a tenere il termostato a 25 gradi. Ma siamo invincibili, noi, abbiamo Suv e telefonino, mica siamo nel Medioevo! E invece la settimana scorsa abbiamo fatto più o meno la figura di quelli che davano la caccia alle streghe perché c’era qualche coglione più furbo di loro che indirizzava le loro paranoie verso qualche obiettivo facile. Questo siamo. Questo abbiamo dimostrato. Ma non l'abbiamo capito. E da domani torneremo convinti che con Suv e telefonino si va in paradiso, che c’è chi minaccia le nostre frontiere e che il clima sì, ma col cazzo che faccio qualcosa. Daje.

venerdì 14 febbraio 2020

Di giornali e opinione pubblica




(POST VERY UMBRIA ORIENTED)
In questa regione è rimasto un solo giornale con il suo nome scritto nella testata: il Corriere dell’Umbria. Ce n’era anche un altro, il Giornale dell’Umbria, ma quella è diventata da anni materia per il giudice fallimentare. Il Corriere dell’Umbria peraltro è anche più antico del suo collega mandato al macero, e nei primi due-tre decenni della sua vita è riuscito non senza ragioni ad accreditarsi come “il giornale della regione”. Una capillare rete di collaboratori e tanto spazio dato alle cronache anche dei centri più piccoli, e comunque tante pagine dedicate alla vita di un posto la cui vita non era mai stata raccontata da nessun mezzo di comunicazione l’hanno fatto diventare un punto di riferimento. Tutto questo ha però contribuito alla costruzione di una credenza del tutto irrazionale, cioè che quel giornale fosse di tutti: tu c’avevi la polisportiva che vinceva la medaglia? Mandavi il comunicato e il Corriere pubblicava (nelle pagine sportive credo lo faccia tuttora). Tu ti candidavi a sindaco con le stesse probabilità di farcela che ha Sgarbi di rimanere tranquillo nel corso di un dibattito in tv?, il Corriere ti garantiva il tuo momento di gloria dedicandoti un’intervista. Così al Corriere dell’Umbria la gente si è affezionata. E quando ci si affeziona si comincia ad aspettarsi cose, si alzano le aspettative, che spesso tracimano fino a diventare pretese. Ma soprattutto così si è alimentata la costruzione di un falso storico: il giornale di tutti. Perché il giornale è sempre di qualcuno. Sempre.

E qui arriviamo a oggi. A quando cioè, dopo tutta una serie di cambi di proprietà e di direzioni che ne hanno fino a un certo punto perpetuato l’immagine di giornale pacioccone, di tutti, arriva un proprietario, Angelucci, che sceglie di usarlo, il giornale. Di usarlo in maniera diretta, intendo dire, non soffusa, come avviene in qualsiasi giornale; senza infingimenti. Così Angelucci, che deve le sue ricchezze molto più alle cliniche private che ai giornali che detiene, mette il Corriere al servizio del suo core business, la sanità privata. Con tutto quello che ne consegue: appoggio alle destre (più sensibili al richiamo della sanità privata rispetto ai loro competitori) in sede di campagna elettorale, e, una volta vinta la campagna elettorale, via all’altra di campagna, quella per la sanità privata: la ciccia vera. Cosa c’è di male in tutto questo? Niente. Niente di niente. Tu la tua macchina la fai arrivare dove vuoi tu, non dove vorrebbero gli altri.

Di sbagliato semmai c’è quello che sta avvenendo ormai da mesi, anni, nel campo avverso. Le grida di scandalo sul Corriere che signora mia non è più quello di una volta; le accuse di lesa maestà e via scandalizzandosi. Fino ad arrivare a questi giorni, in cui l’ex candidato sindaco del centrosinistra di Perugia e il Corriere hanno ingaggiato una battaglia come se l’Apocalisse fosse alle porte l’uno, l’ex candidato, rinfacciando la campagna pro sanità privata al Corriere dell’Umbria; l’altro, il Corriere dell’Umbria, attaccandosi a una presunta gaffe dell’ex candidato sul numero di palme nelle Marche. Roba forte, eh. (Ed è questa la scaturigine della cosa che, eroici, siete se non altro riusciti a leggere fino qui).

Il fatto è che stracciandosi le vesti per quello che il Corriere è a differenza di quello che si vorrebbe che fosse, si alimenta in se stessi e si contribuisce ad alimentare in quelli che stanno dalla tua stessa parte che il giornale, quel giornale che era così pacioccone e sembrava di tutti, “debba” essere a tua immagine. Che tu lo possa usare come una bacheca su cui attaccare il tuo volantino, che siccome a te la sanità privata non piace il Corriere non ne debba parlare. Nossignori. Il giornale – qualsiasi giornale - ha delle sue logiche e, soprattutto, ha una proprietà che ne decide la linea più o meno direttamente, più o meno a gamba tesa, più o meno spregiudicatamente. Gli esiti sono gli stessi, anzi, spesso le proprietà apparentemente più liberali sono quelle col pugno più duro nei confronti delle redazioni, se ci sono dei dissenzienti. A questo fraintendimento si prestano anche i giornalisti, che dissimulano per ragion di stato i rospi che si ingoiano nelle redazioni, se si ha un pensiero, e preferiscono sbandierare una libertà che è solo parziale e sempre più ridotta, visto lo scadimento del potere contrattuale della categoria. La questione semmai non è la libertà, ma la trasparenza nei confronti dei lettori (ma questo è un altro file, non opportuno da aprire qui).

Ciò che è in ballo qui non è solo il contribuire a una falsa verità, pur essendo in buona fede. Ci sono un altro paio di conseguenze non da poco in questa crociata contro il Corriere dell’Umbria reo di essere diventato “de destra”. Si dimentica infatti che un giornale (cioè chi lo edita e, se ci riesce, chi ci lavora) è libero; può scrivere quello che vuole, imbracciare le battaglie che crede, rivolgersi a chi desidera. Il pluralismo – e qui arriviamo al cuore del problema – non lo si può cercare in un solo mezzo. Il pluralismo lo garantisce il sistema dei media nel suo complesso, se è sano. E sottolineo se. Ma per farlo diventare sano, occorre che la platea dei fruitori sia avvertita di ciò che maneggia quando si parla di informazione. Pretendere che il Corriere torni pacioccone è come chiedere a un leone di diventare vegano: senza senso. Inoltre, nel caso di specie, sostenere che sia scandaloso che un giornale faccia campagna per la sanità privata equivale a spostare il problema su un piano che non conviene proprio a chi vuole che la sanità resti pubblica, universalistica e di qualità. La battaglia va condotta sul piano delle idee. Come?

Già, come? Cominciando a ragionare sull’errore madornale che si fa quando si vorrebbe a propria immagine un giornale che di immagine ne ha un’altra, quella dell’editore e dei suoi interessi. Cominciando a pensare di finanziare la stampa di qualità o che si ritiene utile all’affermazione dei propri principi. Praticando cioè il pluralismo, non pretendendolo. Il punto non è vietare che il Corriere parli di sanità privata; lo scandalo è semmai che non ci sia in ambito di informazione chi perora la causa della sanità pubblica e universalistica che ha fatto la fortuna di questo paese e di questa regione. Certo, tutto questo è assai più complicato e dispendioso di stracciarsi le vesti e gridare allo scandalo. Ma gridare non serve a nulla. E per di più in questo caso è pure sbagliato, nel senso che non serve alla causa. Perché mentre si menano scandali inesistenti la stampa e il pluralismo muoiono, questo è lo scandalo vero. E la colpa non è di quelli che fanno i giornali (editori in primis e direttori e giornalisti più o meno allineati o che tengono famiglia e non possono permettersi troppe speculazioni filosofiche). La responsabilità è di quelli che sbagliano diagnosi e prognosi. E dovrebbero cominciare a pensare di costruirselo, il giornale che vogliono, se lo vogliono; pagandola, sostenendola l’informazione che si vuole, come si paga un bel film, un buon libro, l’entrata al museo, un hamburger decente; spingendo affinché il pluralismo del sistema diventi punto dell’agenda pubblica. Questo andrebbe fatto, più che gridare allo scandalo sbagliato.