L’attività di mediazione prima di varare il decreto sulle attività considerate essenziali è stata così estenuante da portare il presidente del consiglio a rivalutare i tempi in cui i ragazzi più grandi di lui lo bullizzavano costringendolo a recuperare il pallone quando finiva in mezzo ai rovi di ortica alti fino all’inguine. Al colmo della disperazione, Conte si è giocato il jolly urlando in videoconferenza: «Basta, decido io, oppure mando Casalino a trattare al posto mio, e voi lo sapete che quello non distingue neanche un palo della luce spento da un deltaplano!».
Fino a quel momento gli industriali avevano insistito per far rientrare tra le produzioni essenziali anche quelle di catene e manette. Il capo delegazione di Confindustria, Alfredo Prigionia, motivava la scelta dicendo che è sempre bene avere in azienda certi strumenti quando c’è da trattare con certi operai riottosi. Lega e Fratelli d’Italia si opponevano però alle catene con la motivazione che le manette sono più che sufficienti. Il Pd derubricava la cosa sostenendo che gli operai non esistono più. Ma a quel punto è stato fatto notare a Paolo Liberal, che stava trattando per il suo partito, di non confondere gli italiani con l’elettorato del Pd.
Momenti di tensione quando Giorgia Meloni ha chiesto di inserire i sacchi di sabbia nell’elenco delle produzioni essenziali. «Stamo in guera», è stata la laconica motivazione, e quando le è stato riferito sottovoce dal suo consigliere Evaristo Nostalgia che il coronavirus si inocula e non ha armi, Meloni ha risposto scandalizzata sgranando gli occhi: «’Sto zozzo! E noi je sparamo lo stesso!».
Flebile la resistenza di Matteo Salvini, che voleva garantire l’apertura alle fabbriche produttrici di felpe. Il leader della Lega ha desistito quando come contropartita gli è stata assicurata la possibilità di circolare indiscriminatamente per le strade di Roma con la mascherina indossata alla cazzo di cane tanto per darsi un tono.
Il Pd ha insistito per tenere aperte le fabbriche di lana caprina. «Sennò noi al nostro interno non sappiamo di cosa discutere», ha detto Giorgio Destri, un ex renziano che si è rifiutato di seguire l’ex leader con la motivazione che “Italia viva” è un nome di merda. Sulla lana caprina però la chiusura di Conte è stata netta: «Se faccio una scelta del genere come motivo a Vito Crimi il no alle fabbriche di liquirizia che gli piace tanto?».
Nelle ore cruciali in cui si stava decidendo infine, è arrivata la minaccia di una serrata del buonsenso da parte del “Movimento dei cittadini onesti e stanchi” che chiedeva di non interrompere la produzione di rabbia e livore. Anche in questo caso la chiusura di Conte è stata decisa: «Rabbia e livore circolano liberamente in abbondanza, mentre la serrata del buonsenso è un’arma spuntata, visto che sono anni che non ce n’è».
Attimi di paura in chiusura di videoconferenza per Evaristo Nostaglia che è dovuto ricorrere alle cure dei medici dopo essere stato colpito al volto dalla giugulare rigonfia di Giorgia Meloni.
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