lunedì 14 dicembre 2020

Perugia, il paradosso della mobilità immobile

«In un periodo particolarmente difficile per l’economia a causa degli effetti dell’emergenza sanitaria da covid 19 questo provvedimento vuole rappresentare un contributo in favore dei commercianti, particolarmente colpiti dalle restrizioni conseguenti alla pandemia. L’obiettivo è di rendere la nostra acropoli maggiormente fruibile favorendo la presenza dei cittadini nel pieno rispetto di tutte le regole poste a tutela della salute collettiva». Sono le parole con le quali Luca Merli, assessore «alla viabilità», come lo definisce il sito istituzionale del Comune di Perugia, ha accompagnato la decisione di abolire la zona a traffico limitato fino al prossimo 31 dicembre. Parole che già alla luce di quanto è successo nel pomeriggio di domenica 13 dicembre, coi vigili urbani costretti a proibire la salita di auto nell’acropoli dove alle 17 si era già creato il caos, con macchine parcheggiate ovunque, come testimoniano le immagini qui sotto, assumono una venatura paradossale. Ma non si tratta solo di questo, perché la questione è assai più ampia.

La premessa, a costo di sfidare il ditino alzato degli esperti di taglio dei problemi con l’accetta, è terminologica, e quindi di sostanza: Merli è assessore alla viabilità, non alla mobilità. E viabilità e mobilità non sono sinonimi. Il primo termine rimanda allo scorrimento dei mezzi sulle strade; il secondo evoca il muoversi delle persone. Se li si considera sinonimi sfugge come la mobilità sia una questione di sistema, che coinvolge una serie di fattori: tempi e modi di utilizzo degli spazi, produzione di inquinamento, investimento in politiche e mezzi pubblici, sperimentazione di soluzioni innovative: nella mobilità insomma si riflette un’idea di città nel senso più alto e articolato del termine. La viabilità è invece operatività, rimozione di eventuali ostacoli, scorrimento regolare del traffico. La riduzione della mobilità a viabilità produce i frutti che abbiamo sotto gli occhi.

Il sindaco attualmente in carica governa la città di Perugia ormai dal 2014, gli assessori sono cambiati, ma le politiche di mobilità e per il centro storico, le posizioni in campo e i problemi da affrontare sono stucchevolmente rimasti gli stessi, in una sospensione temporale e coazione a ripetere che rischiano di rendere stucchevole anche questo articolo. Non una azione innovativa è stata tentata in questi sei anni, nonostante il centro storico e la microcriminalità ad esso in parte connessa siano state materie di fortunata contesa per il sindaco che strappò la città ai rossi.

Dalle parole dell’assessore in carica trasuda una visione monodimensionale che è causa del problema. Il centro storico è visto in quanto contenitore di commerci, e le persone che lo popolano sono appiattite in un sistema binario nei ruoli di consumatrici o venditrici. Di conseguenza le politiche che lo devono governare devono avere quella priorità come stella polare: il commercio. L’acropoli e la città tutta cioè, non sono percepite come ecosistema complesso, interdipendente nelle sue varie parti, nel quale far stare bene le persone; la fortuna dei commerci non è vista come conseguenza di quella premessa, bensì come premessa essa stessa, e ciò determina un capovolgimento di senso che genera a sua volta il malessere di tutti: commercianti, residenti, persone comuni, bambini, uomini e donne con disabilità.

Il commercio e l’accessibilità dei luoghi – si fanno carico di esprimere quelle parole a una dimensione – si aiutano con il traffico veicolare, unico modo per muoversi («L’obiettivo è di rendere la nostra acropoli maggiormente fruibile favorendo la presenza dei cittadini»). Ne deriva un’accelerazione verso la privatizzazione degli spostamenti che deresponsabilizza il potere e illude il cittadino con una libertà posticcia che è la maschera di file interminabili, scocciature, estenuanti ricerche di parcheggio, nonché di inibizioni di fruizione di spazio pubblico per chi cammina, vive, gioca, conversa e, infine, magari, consuma.

Le maggiori città europee stanno andando in direzione opposta, con la chiusura dei centri storici – e non solo – alle auto e la previsione di servizi pubblici adeguati per la mobilità delle persone e il loro benessere in spazi liberi da traffico e inquinamento. Anche Federalberghi, organizzazione associata a Confcommercio, in un suo studio rivela come la maggior parte dei suoi associati non sia affatto contraria alle pedonalizzazioni e alle zone a traffico limitato, smontando così un luogo comune molto in voga tra certi amministratori e certi commercianti che vorrebbe gli operatori a favore del traffico libero. Solo nelle aree meno vivaci e più ripiegate su se stesse il dibattito e le politiche che ne conseguono rimangono appesi a concetti ormai vecchi di decenni.

La reiterazione di concetti usurati e l’immobilismo delle politiche pubbliche stanno rendendo questa città sempre più piccola e autoreferenziale, e stanno diventando una zavorra in cui quello della mobilità è solo uno degli aspetti. La questione, se possibile, è aggravata dal fatto che si tratta di concetti e convinzioni che non reggono neanche la prova della realtà, come dimostra il ricorso ai vigili urbani di domenica pomeriggio per richiudere in tutta fretta una ztl che si vorrebbe sempre aperta. Eppure tutto (o quasi) continua a tacere.

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