Se
guardiamo al qui e ora (i soldi che si stanno raccogliendo con
l'iniziativa), credo che siamo tutti d'accordo: ben vengano le docce
gelate che portano soldi per la ricerca sulla Sla. Se buttiamo gli occhi
un po' più in là, secondo me questa è un'iniziativa addirittura potenzialmente dannosa almeno per un paio di motivi.
Primo:
la ricerca sulle malattie non dovrebbe poggiare sulla buona volontà dei
singoli, ma su Stati che attraverso politiche fiscali decenti,
prelevino risorse dove ce ne sono per destinarle alle questioni di
pubblico interesse. A me fa un po' ridere (o forse incazzare) il
miliardario che si doccia e dà il suo obolo. Preferirei che fosse tenuto
a un regime fiscale che pur non intaccando il suo benessere e
consentendogli di continuare a produrre ricchezza, lo costringesse a
pagare anche la ricerca per combattere l'artrite dei ragni rossi della
Patagonia, per dire. Non parliamo poi dell'effetto che mi fa vedere un
presidente del Consiglio, cioè colui che in teoria avrebbe in mano le
leve per attivare politiche del genere, farsi la doccia gelata. E qui
veniamo al secondo punto: il marketing.
Perché
al di là del presidente del Consiglio pop - che è in prima fila e si è
fatto la doccia per continuare a starci - e al di là dei miliardari
buoni che staccano l'assegno, anche loro in prima fila, sono emersi via
via personaggi di ottava, nona e decima fila che pur di guadagnare
qualche posizione in termini di visibilità, hanno messo in rete i video
delle loro docce gelate, credo quasi non sapendo neanche cosa fosse
questa catena di sant'Antonio dal nome esotico.
Ecco.
Penso che il combinato di queste due cose renda l'iniziativa, pur
meritoria, potenzialmente dannosa. Perché perpetua il modello che ci
costringe a fare l'elemosina per la ricerca sulle malattie. E
rappresenta anzi in alcuni casi un diversivo per lavarsi la coscienza, o
addirittura un dubbio mezzo per mettersi in evidenza. Con buona pace
della ricerca, tema cruciale.
Ecco perché, quindi, a me l'ice bucket challenge ha rotto i coglioni.
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