venerdì 3 agosto 2007

In ritardo

Eravamo in città, non ricordo perché. Strano, di solito in quel periodo dell'anno, dopo essere stati prima al mare, seguivamo le notizie sul maxi esodo dalla piccola tv in bianco e nero che dalla camera dei miei veniva traslocata temporaneamente nella casa di campagna in cui era cresciuto mio padre: erano estati lunghissime e bellissime, da augurare a qualsiasi ragazzino tra elementari e medie. Niente mura intorno, giusto all'ora dei pasti e a notte fonda. E scottature sulla pelle e ginocchia sbucciate e sapore di acqua salata e prosciutto tagliato di fresco e insalate con verdure appena estirpate dall'orto che così buone non le avrei più mangiate e parenti e conoscenti rivisti dopo mesi. Finiva con l'odore della prima acqua che bagna campi e alberi e il rumore delle serrande che si rialzano a versare luce sulla casa chiusa dopo settimane di assenza. Sveglia comoda, quella mattina, come sempre da giugno a ottobre, che non c'era scuola; latte, biscotti e agguantai lo strumento che prediligevo all'epoca, attraversai un paio di strade e raggiunsi il cortile asfaltato che fungeva da campo di calcio o da tennis a seconda dei momenti e dell'affollamento. Ci passai tutta la mattina a sudare prendendo a legnate una pallina lanciandola al di là dello spago teso che faceva da rete e ricevendola a mia volta dall'amico del cuore che stava dall'altra parte. Tornai a casa all'ora di pranzo che avevo una gran sete, il baretto parrocchiale apriva dalle 3 del pomeriggio e lì sotto non c'era neanche una fontanella. Suonai da sotto, feci di corsa i due piani e trovai la porta aperta e mia madre appena rientrata e col viso contratto, pensai a causa del caldo e del peso delle buste della spesa. "Corri, accendi la televisione che a Bologna è successo un macello".

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