giovedì 25 giugno 2009

Jihad

So poco dell'Iran e anche della storia di quel paese; quello che si riesce a sapere dai giornali e null'altro. In questi giorni ho ripreso in mano un libro edito in Italia nel 2006 da Pisani e pubblicato l'anno prima negli Usa (occhio alle date), Lipstick Jihad, di Azadeh Moaveni, che ha poco più di trent'anni, è nata e cresciuta in California da genitori iraniani e si è poi trasferita per alcuni anni nel paese d'origine dei suoi, esperienza da cui è nato il libro. Questi sono alcuni passi dell'introduzione, scritta appunto nel 2005, che aiutano a capire come cammina la storia:
"I giovani iraniani stanno trasformando il paese dal basso. Dagli attivisti religiosi, ai consumatori di ecstasy, dai blogger agli studenti universitari che passano da un letto all'altro, saranno loro a determinare il futuro dell'Iran. (...) Quei ragazzi sceglievano di comportarsi 'come se' fosse permesso tenersi per mano in strada, sparare la musica a tutto volume alle feste, esprimere la propria opinione, sfidare l'autorità, prendere la propria droga preferita, farsi crescere i capelli lunghi e mettersi troppo rossetto. Grazie a loro ho appreso come penetrare il mistero dell'Iran - niente sembra percettibilmente mutare, mentre invece tutto cambia. (...) Oggi (...) mentre frugo tra i vestiti, sollevando velo dopo velo, è come osservare gli anelli di un tronco d'albero per raccontare la sua evoluzione. Gli strati più esterni sono una patina di colori, toni contrastanti di turchese e rosa spumeggiante (...) sono i colori della vita in tessuti che respirano. Sotto, scavando nella profondità, ci sono veli scuri e opachi, vesti lunghe e informi nei toni funerari del nero e del blu. Questo è ciò che indossavamo nel 1998. Il Parlamento non ha mai ufficialmente ammesso il colore. (...) Le giovani donne lo hanno fatto da sole, in massa, un lento, deliberato, diffuso atto di sfida. Un jihad, nel senso classico del termine: una lotta".

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