mercoledì 28 novembre 2012

Due vie (almeno)

Lessi in qualche libro tanto tempo fa (mi pare fosse "Impresa e no" di Bruno Morandi) una cosa del genere: alla domanda "perché il figlio di Agnelli deve andare a scuola gratuitamente come il figlio dell'operaio della Fiat?", noi rispondiamo così: "Perché il papà del figlio di Agnelli ha pagato tante tasse da consentire a tutti i bambini di Torino di andare a scuola". In quel ragionamento fatto nel secolo scorso c'è la risposta alla "nuova" tematizzazione in materia di sanità fatta da Mario Monti ieri e ripresa indirettamente dal professor Giavazzi nell'intervista concessa nei giorni scorsi ma mandata in onda solo ieri sera a "Porta a porta". Giavazzi, in maniera assai efficace, sostiene (banalizzo un po' il suo argomentare per esigenza di brevità) che è un'ingiustizia che i ricchi non paghino i servizi. Abolendo la gratuità per chi gode di redditi da un certo ammontare in su, è la tesi, lo stato risparmia risorse, fattore cruciale nei tempi di carestia che stiamo vivendo, e non fa del male a nessuno. Anzi: toglie a chi ha di più per non aumentare le tasse. Sembrerebbe la quadratura del cerchio. E per di più con un ragionamento che sta dalla parte delle fasce deboli. Invece non è così. Perché l'abolizione dell'universalità e della gratuità dei servizi pubblici, non è che l'apertura a un sistema duale in cui l'utente diventa cliente. I clienti di fascia alta sceglieranno, potendosela permettere, l'eccellenza; quelli di fascia bassa si dovranno accontentare della carità del pubblico privato di risorse. Ora: questo tipo di approccio può essere accettato in tema di capi d'abbigliamento; di ristorazione: chi può compra Missoni, chi no va al mercatino; chi può va da Vissani, chi no alla mensa Caritas. Ma quando ci sono di mezzo fattori costitutivi della cittadinanza come la formazione e la prevenzione e cura delle malattie siamo su tutt'altro terreno. Non è una questione di demonizzare il liberismo del professor Giavazzi, mosso sicuramente da principi alti e con molti più argomenti rispetto a quelli modesti e incerti di chi state leggendo. Si tratta solo di esporre senza paure che quella di Monti e Giavazzi è una delle possibili vie da seguire; che consentirebbe di diminuire (forse) la pressione fiscale e al tempo stesso tenere (forse) in ordine il bilancio dello stato. Ma non è affatto vero che ha come stella polare le fasce deboli: persegue semmai - senza voler essere troppo cattivi - la tenuta strettamente ragionieristica del bilancio. E soprattutto non è l'unica, come si sente dire da troppe parti. L'alternativa non è il socialismo reale, ma piuttosto servizi pubblici per tutti a prescindere dal reddito, snelli, sburocratizzati e che perseguano l'eccellenza, finanziati da una tassazione progressiva unita a una messa alla gogna sociale dell'evasore fiscale. In politica le vie devono essere almeno due: quando ce n'è una sola si chiama dittatura. E sì, il figlio di Agnelli, o di Cucinelli o di qualsiasi altro cognome importante, può, deve, andare a scuola gratuitamente, se la sceglie pubblica. Altrimenti il papà si paga la retta privata senza nessuno sconto. Non prima di aver pagato tante tasse da consentire a tutti i bambini della sua città di sedersi su un banco e seguire la lezione di un ottimo e ben pagato insegnante, senza rischiare che gli crolli il soffitto in testa.

martedì 20 novembre 2012

La fuga

Fuori pioveva. Condizionale stava al calduccio e avrebbe fatto volentieri a meno di uscire, tanto più perché sapeva che avrebbe contribuito a storpiare l'ennesima frase. Ma anche stavolta non ci fu verso, fu tirato fuori a forza: "Ma se io farei questo, non sarei degno della fiducia che voi avete in me", scrisse fiero l'uomo. Sulla via del ritorno, Condizionale buttò mestamente l'occhio alla finestra di Indicativo che, svelto svelto, appallottolò un pezzo di carta e glielo lanciò bisbigliando: "Guarda che cosa sono stato costretto a fare l'altro giorno". Tornato a casa dispiegò il foglio accartocciato e lesse: "Permettere che alcuni manifestanti generano violenza non è accettabile". Fu a quel punto che capì che non c'erano più margini per trattare. Consapevole del rischio che correva, inviò un sms a Indicativo. Nella notte, all'ora stabilita, si videro davanti alla baracca in cui era stato costretto ad andare a vivere il loro compagno malridotto. Entrarono, lo svegliarono delicatamente, consapevoli che le sorprese, vista l'ipertensione da stress accumulata negli anni, potevano giocargli un brutto scherzo. Gli spiegarono il piano. Congiuntivo s'emozionò fin quasi alle lacrime: "Finalmente, era ora, sono anni che ve lo dico. Aiutatemi a salire sulla carrozzella e fate attenzione quando spingete, se si va troppo veloci cigola". Uscirono incamminandosi come se stessero a piedi nudi su un tappeto di bicchieri rotti. Sotto al solito lampione spento incontrarono Libero Schiavotti, il consigliere economico dell'uomo che non s'era più ripreso da quando sua moglie era andata a vivere col boss. Lo interruppero mentre stava impartendo l'ormai usuale lezione notturna sul pensiero di Adam Smith al palo della luce. "Tieni, dai questo a chi sai tu", gli disse Condizionale porgendogli un biglietto. Libero Schiavotti sapeva a chi era indirizzato ma non resistette e lesse: "Se tu fossi stato un poveraccio costretto ad andare a lavorare da piccolo, avremmo capito e ti saremmo venuti incontro. Ma non si può tollerare che un professionista col conto corrente a sei zeri, che per di più è eletto dal popolo in un'assemblea rappresentativa, continui a violentare così la lingua italiana. Ce ne andiamo, così sarai costretto a rimanere muto". Schiavotti alzò gli occhi, gettò uno sguardo davanti e li vide che erano diventati tre piccole sagome in fondo al viale. Poi, noncurante, si voltò e riprese: "Allora, la mano invisibile...".

venerdì 16 novembre 2012

Ma lasciate stare Pasolini

Non essendo stato in piazza, tendendo a rifuggire dalla trappola della tv e volendo sottrarmi da immagini sempre uguali a se stesse, non ho visto nulla degli scontri nelle piazze europee del 14 novembre. Noto però che la calamità, pardon, la calamita dei luoghi comuni non cessa di attrarre il grosso dei commentatori il cui pigro pensiero (quasi) unico non sarà certo scalfito da modeste considerazioni che però non rinuncio a esporre.
Perché mi pare che ci siano almeno due fattori, se non tre, che non solo quasi tutta la stampa, ma anche tanta gente di buon senso, come vedo dai social network, tiene fuori dal dibattito. Ciò porta a considerazioni inattuali, che fanno leva sul riutilizzo di usurati cliché: Valle Giulia, il Pasolini che stava con i poliziotti e contro i manifestanti; i pochi violenti che pregiudicano la riuscita di una grande manifestazione, eccetera. E che a mio avviso ci portano in un vicolo cieco. Provo a uscirne.
Primo: non c'entra niente il '68. E neanche il '77. Di più: anche Seattle '99 e il massacro di Genova 2001 sono lontanissimi. Lì si andava in piazza per fare la rivoluzione o perché si riteneva che un altro mondo fosse possibile. Lì c'erano movimenti che sapevano di avere una pars construens da affrontare, perché si vedeva il futuro. Qui c'è una generazione (ormai forse anche due o tre) con le spalle al muro che il futuro non lo vede proprio. E a battagliare con i proletari delle forze dell'ordine di pasoliniana memoria l'altro giorno non c'erano i figli dei borghesi che potevano permettersi l'Università nel '68 e che strada facendo hanno dimenticato che volevano fare la rivoluzione. C'era gente che vive (a stenti) di precariato, che non avrà una pensione, che vede lo stato sociale sgretolarsi sotto i cannoneggiamenti dei pareggi di bilancio messi in Costituzione. 
Gli scontri, e qui veniamo al secondo punto, non sono stati ingaggiati perché si vuol fare la rivoluzione, ma per sfogare la rabbia di anni di umiliazioni; di stage non pagati, di studi che non danno qualità della vita, di sorrisetti beffardi (magari da parte del dirigente d'azienda che nel Sessantotto faceva a botte coi poliziotti), di co.co.co e co.co.pro, di "tempi determinati" incompatibili col tempo della vita. Non c'è un'ala militare organizzata. Perché si organizza chi ha uno scopo. Questa è una generazione costretta a misurarsi con problemi che stanno ben più in basso: ha da pensare alla propria vita, altro che rivoluzione. E' per questo che in piazza non ci sono gli stereotipi del violento e del bravo ragazzo. Meno che mai i rivoluzionari di professione, non foss'altro perché manca la rivoluzione da fare, appunto. Ci sono persone portate a un tale livello di stress sociale per le quali la piazza può diventare - neanche regolarmente, ma solo a volte - valvola di sfogo, difesa disperante. Il violento e il bravo ragazzo sono insomma tipi intercambiabili, come spiega bene qui Marco Bascetta.
Terzo: il fatto che non si capisca tutto questo, spiega almeno in parte il perché della violenza disperante. Le generazioni cui si sta amputando il futuro sentono di stare toccando il fondo. Eppure il mainstream non cambia. Così come le analisi che raffigurano gli scontri di piazza, anche le ricette per uscire dalla crisi ripercorrono strade che non portano da nessuna parte. Cioè: nel vortice di un crisi che viene descritta come "unica", si annaspa aggrappandosi a sostegni inservibili. E ciò porta sempre più giù. Le generazioni già a fondo lo sentono e gridano come gli viene la loro disperazione. 
Condannatela pure la violenza, ma senza un cambio di rotta non fate altro che alimentarla. Di questo si dovrebbe prendere coscienza. Invece che continuare a pensare, scrivere e agire come se si fosse in un mondo che non esiste più.