martedì 14 novembre 2017

La balla degli stranieri

Una inesattezza, una calunnia, una bugia, rimangono tali. Anche se ad amplificarle contribuiscono decine, centinaia, migliaia di voci. Una delle panzane che si sta facendo avanti dopo l'eliminazione della nazionale italiana dai prossimi Mondiali, è che ciò sia stato dovuto a causa della «eccessiva presenza di stranieri». Si tratta di una frasetta buttata là che fa sempre effetto. Perché gioca, amplificandola a sua volta, sulla sindrome da accerchiamento della quale soffrono milioni di italiani che privati del diritto al lavoro, con le vite precarizzate e un futuro senza pensione, vengono indirizzati a scaricare le loro frustrazioni su chi possibilmente sta peggio di loro. È l'idea dei cosidetti sovranisti, che hanno preso l'egemonia fino a dettare le politiche scellerate del ministero dell'Interno, al cui vertice siede una persona definita di centrosinistra. Gli stessi sovranisti che sono così virilmente convinti della forza della loro identità, dal vederla messa a repentaglio da meno del 10 per cento della popolazione residente (tanti sono gli stranieri in Italia). Cioè: un decimo della popolazione, peraltro molto eterogenea per etnia, religione, e altro, metterebbe a repentaglio l'italica stirpe. Vabbè.

Comunque, per farla corta, la storiella dei troppi stranieri andrebbe bene se l'Italia avesse perso contro una nazione autarchica, con le frontiere murate. Invece, se gli stranieri residenti in Italia sono l'8,3 per cento del totale della popolazione, in Svezia, la nazione che non ci ha fatto andare al Mondiale, ce ne sono pochi di meno, il 7,9 per cento. E se in Italia giocano il 56 per cento di calciatori stranieri in serie A, in Svezia gli stranieri nella Allsvenskan (la serie A svedese) sono il 33 per cento, non proprio pochissimi. Ancora: la storiella funzionerebbe se gli svedesi avessero messo in imostra fuoriclasse autoctoni da paura. Invece un Bernardeschi qualsiasi dei nostri vale tre dei loro.

Insomma, la storiella dei troppi stranieri, che viene surrettiziamente messa sul piatto quando si parla di scuole, di case popolari, e ora pure di calcio, è una balla enorme. La balla di chi non sa spiegarsi le cose. O forse di chi non vuole spiegarsele, perché capirle equivarrebbe a prendersi la responsabilità di agire contro chi sta sopra e non contro chi sta sotto (e prendersela contro chi sta sopra è più difficile e rischioso, si sa). O forse è la balla messa in giro affinché le cose continuino così. O magari è una miscela di tutto questo, e anche di più. Sta di fatto che è una balla. Enorme. Che si tratti di scuole, di case popolari e pure di calcio.

venerdì 3 novembre 2017

Cose piccole che fanno capire quelle grandi

Nella regione in cui abito, le Asl hanno inviato alle famiglie in cui vivono minori un documento che certifica se si è in regola con le vaccinazioni obbligatorie. La misura è stata predisposta all’indomani dell’approvazione del decreto sui vaccini, che prevede sanzioni per i genitori che non sottopongono i figli alla somministrazione. Si tratta di un foglio A4, che presumo sia la stampa di un documento digitalizzato. L’assessore regionale alla sanità ha prima annunciato l’avvio e poi comunicato la conclusione delle operazioni di invio con toni al limite del trionfalistico, come se fosse stata fatta una cosa davvero innovativa. Probabilmente ne è convinto. E forse ci sono state regioni che hanno lasciato i genitori a se stessi, sballottandoli da un ufficio all’altro in cerca del foglio che certificasse la regolarità delle vaccinazioni dei propri figli da consegnare poi alla scuola. E se così fosse, l’Umbria sarebbe davvero all’avanguardia.

Ma questa vicenda è una metafora dell’ottusità della burocrazia e di chi la sovraintende. In questo l’assessore umbro c’entra poco, perché è uno degli ultimi anelli della catena. Però questa storia spiega come basterebbe poco per evitare di aggravare i cittadini con pesi inutili. E come a volte le cose prendono una direzione sballata. Così sballata da giustificare i trionfalismi quando ci sarebbe da sbattere sconsolati la testa contro il muro per l’arretratezza in cui affondiamo.

Le amministrazioni pubbliche sono spesso protagoniste di convegni estenuanti su “industria 4.0”, “internet delle cose”, “autostrade informatiche”, innovazioni che rimangono sempre più spesso sulla carta e futurismi vari. Ora va anche di moda dichiarare di puntare a far diventare i territori “business friendly” (che poi non si capisce: primo, perché si usa l’inglese per dire una cosa che si può benissimo illustrare in italiano; secondo, perché non si pensi prima a far diventare i territori amici delle persone che li abitano, invece che del business, ma questo è un altro paio di maniche). Insomma, il bla bla regna sovrano. Però, nell’epoca in cui si può progettare un qualsiasi oggetto al computer a Roma, spedire il relativo file mediante lo stesso computer per far stampare l’oggetto da una stampante 3D, che so?, a Seattle, noi stiamo qui ad annunciare trionfanti l’invio di 120 mila fogli A4 a famiglie che a loro volta li dovranno consegnare a scuola.

C’è più di qualcosa che non va. Ed è che nonostante i convegni sulle “autostrade informatiche” e via blaterando, le strutture pubbliche non dialogano fra di loro e comunicano con l’esterno in analogico, come se fossimo ancora negli anni settanta del novecento. Le Asl, invece di inviare decine di migliaia di lettere, avrebbero potuto individuare loro i casi di irregolarità e segnalarli direttamente alle scuole. O meglio, visto che quella dei vaccini è una questione prettamente sanitaria, sbrigare loro, le Asl, la faccenda, convocando le famiglie inadempienti, segnalandole a chi di dovere e, se del caso, avviando l’iter di somministrazione delle sanzioni. Perché coinvolgere le scuole, che avrebbero potuto essere chiamate in causa solo alla fine, quando cioè si fosse acclarato che ci sono minori non in regola con le vaccinazioni per poterle frequentare? Queste comunicazioni avrebbero potuto viaggiare tranquillamente per posta elettronica, e comunque, anche se fossero state spedite in analogico, sarebbero state molte di meno delle 120 mila inviate, la stragrande maggioranza a famiglie in regola con l’obbligo di vaccinazione; si calcola che in Umbria gli irregolari del vaccino siano il 5 per cento del totale, cioè seimila. Avremmo avuto quindi seimila messaggi di posta elettronica invece di 120 mila fogli di carta stampati da documenti digitalizzati, imbustati e spediti al costo di 85 centesimi l’uno. Infine: perché coinvolgere i genitori dei 114 mila alunni in regola? Perché costringerli a recarsi fisicamente nelle scuole frequentate dai loro figli per consegnare un foglio di carta che certifica il loro stare in regola? Perché, per di più, contribuire a 114 mila spostamenti di fatto inutili, molti dei quali in auto, contribuendo così a saturare ulteriormente il traffico delle città? Perché?

Perché la burocrazia è ottusa. E perché le cose prendono una piega così sballata, ma così sballata, che si usano toni trionfalistici quando si dovrebbe sbattere la testa contro il muro alla constatazione di tanta arretratezza. E dire che qui non si trattava di fare cose grandi, riforme o rivoluzioni, ma piccole, come far funzionare meglio le cose.

PS: da quanto mi hanno detto nella scuola frequentata da uno dei miei figli, nel momento in cui la segreteria individua casi di irregolari, deve comunicarlo alla Asl (che è quella che ha inviato le comunicazioni). Un capolavoro.