Una inesattezza, una calunnia, una bugia, rimangono tali. Anche se ad amplificarle contribuiscono decine, centinaia, migliaia di voci. Una delle panzane che si sta facendo avanti dopo l'eliminazione della nazionale italiana dai prossimi Mondiali, è che ciò sia stato dovuto a causa della «eccessiva presenza di stranieri». Si tratta di una frasetta buttata là che fa sempre effetto. Perché gioca, amplificandola a sua volta, sulla sindrome da accerchiamento della quale soffrono milioni di italiani che privati del diritto al lavoro, con le vite precarizzate e un futuro senza pensione, vengono indirizzati a scaricare le loro frustrazioni su chi possibilmente sta peggio di loro. È l'idea dei cosidetti sovranisti, che hanno preso l'egemonia fino a dettare le politiche scellerate del ministero dell'Interno, al cui vertice siede una persona definita di centrosinistra. Gli stessi sovranisti che sono così virilmente convinti della forza della loro identità, dal vederla messa a repentaglio da meno del 10 per cento della popolazione residente (tanti sono gli stranieri in Italia). Cioè: un decimo della popolazione, peraltro molto eterogenea per etnia, religione, e altro, metterebbe a repentaglio l'italica stirpe. Vabbè.
Comunque, per farla corta, la storiella dei troppi stranieri andrebbe bene se l'Italia avesse perso contro una nazione autarchica, con le frontiere murate. Invece, se gli stranieri residenti in Italia sono l'8,3 per cento del totale della popolazione, in Svezia, la nazione che non ci ha fatto andare al Mondiale, ce ne sono pochi di meno, il 7,9 per cento. E se in Italia giocano il 56 per cento di calciatori stranieri in serie A, in Svezia gli stranieri nella Allsvenskan (la serie A svedese) sono il 33 per cento, non proprio pochissimi. Ancora: la storiella funzionerebbe se gli svedesi avessero messo in imostra fuoriclasse autoctoni da paura. Invece un Bernardeschi qualsiasi dei nostri vale tre dei loro.
Insomma, la storiella dei troppi stranieri, che viene surrettiziamente messa sul piatto quando si parla di scuole, di case popolari, e ora pure di calcio, è una balla enorme. La balla di chi non sa spiegarsi le cose. O forse di chi non vuole spiegarsele, perché capirle equivarrebbe a prendersi la responsabilità di agire contro chi sta sopra e non contro chi sta sotto (e prendersela contro chi sta sopra è più difficile e rischioso, si sa). O forse è la balla messa in giro affinché le cose continuino così. O magari è una miscela di tutto questo, e anche di più. Sta di fatto che è una balla. Enorme. Che si tratti di scuole, di case popolari e pure di calcio.
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