mercoledì 31 gennaio 2018

Chiarimenti non richiesti

Di questa cosa non pensavo di scrivere. La davo per acquisita. Parlando invece con diverse persone che stimo, mi sono reso conto che vent'anni di sistema elettorale maggioritario hanno lasciato uno strascico inerziale che fa pensare a molti, niente affatto superficiali, che alle prossime elezioni si vada per eleggere qualcuno che vinca.

Non è così. La legge elettorale con cui andremo a votare se ne avremo voglia, oltre che perversa, è di tipo proporzionale. Perversione e proporzionalità di una legge elettorale non è affatto detto che coincidano. Anzi. In questo caso però sì, si sovrappongono. Succede perché la quota di seggi che viene attribuita col maggioritario e il modo in cui fanno finta di interpretarla i partiti più grossi - oltre allo strascico inerziale di vent'anni e passa di maggioritario - spingono a considerare la legge elettorale maggioritaria tout court.

Ma la legge è proporzionale e - qui sta il punto - checché ci vogliano far credere, nessuna delle cosidette coalizioni in campo avrà la forza di formare un governo da sola. Questo loro lo sanno, tutti. Ma si reggono il gioco a vicenda perché sennò finisce il Truman show. Non c'è insomma da "fermare la destra", nè da "arginare il populismo becero". Al governo non andranno né Salvini né Meloni né Di Maio, e la cosa di gran lunga più probabile sarà un governo Pd-Forza Italia.

Tutto questo per dire che si potrà andare a votare seguendo il cuore, cioè dando il voto anche a quelle forze che non hanno né forza né voglia (per ora) di governare, e che magari rischiano di non portare nessuno in Parlamento. Ci si può risparmiare la fatica di turarsi il naso ora, perché probabilmente dovremo farlo dopo il 4 marzo.

Si può anche scegliere di non votare, ovviamente. A patto di non dire di farlo "per protesta", perché l'astensionismo è materia, se va bene, per qualche analisi del giorno dopo. Poi passa in archivio. E perché ogni voto non dato va ad accrescere la percentuale anche del candidato che ci provoca più raccapriccio.

Detto ciò, il voto non è l'unico modo per partecipare. E si può bellamente decidere pure di infischiarsene, di partecipare.

Solo che vale la pena di considerare che  stavolta si è un po' più liberi rispetto agli ultimi vent'anni di votare chi ci piace di più, non chi ci dispiace di meno (ammesso che l'abbiamo mai fatto). Anche se chi ci piace di più al governo non ci andrà mai, perché il governo, in pratica, l'hanno già fatto.

Anche le leggi perverse hanno il loro lato positivo.

giovedì 18 gennaio 2018

Spiegare una battuta di trenta secondi in 4.049 caratteri

Molti battutisti che postano sui social si lamentano del fatto che sotto alle loro battute capita che qualcuno commenti: “Questa te la potevi risparmiare” o “questa non fa ridere”. E sì, sono commenti grotteschi, insensati; perché la battuta ha una grammatica tutta sua, e controbattere col linguaggio ordinario è come rispondere in finlandese a uno che ti ha chiesto “Scusi, dov’è il bagno?” in coreano. E poi, ti può non piacere una battuta, ma anche se eviti di scriverlo nel commento sotto, è assai probabile che il sole sorgerà anche l’indomani, tranquillo.

Ma c’è di peggio di quello al quale la battuta non ha fatto ridere e non riesce a tenere a bada l’istinto di comunicartelo mediante commento (che poi i commentatori in questione sono quelli che non guardano la battuta, bensì chi viene colpito dalla battuta: se è un loro avversario, allora mettono il “mi piace” anche se la battuta è da quinta elementare; se invece simpatizzano per lui, la battuta non gli piace e commentano). C’è di peggio, dicevo: sono quelli che commentano avendo completamente cannato il senso della battuta. E commentano anche in maniera aggressiva, rimanendo al riparo da figuracce perché la battuta il battutista non te la spiega, ché è una cosa vagamente umiliante. E siccome tu non gli rispondi, loro passano il resto della giornata tronfi, convinti di averti messo all’angolo, magari lo dicono anche alla ragazza, all’amico, al cane mentre lo portano a pisciare.

Un esempio può aiutare a capire. Se uno scrive: “Dietro a ogni uomo c’è una grande donna: pensa quant’è piccola la moglie di Alfano”, può capitare che ti si dia del sessista perché hai offeso una donna, mentre è del tutto evidente che il bersaglio della battuta è Alfano, non la moglie, che viene usata come leva nella battuta, ok?

Con Gene Gnocchi, il maiale e Claretta Petacci questo fenomeno, che in genere rimane nel chiuso di una pagina satirica, ha assunto una dimensione nazionale. E stamattina ci sono anche quelli che si definiscono autorevoli commentatori i quali spiegano con ago e filo perché e per come non si doveva fare quella battuta. Vale la pena scriverci sopra - anche se in qualche modo già l’ha fatto stamattina sulla sua pagina gente che di satira ne sa molto più di me, tipo Luca Bottura - perché il fraintendimento, o meglio la grande difficoltà a capire quello che ci dicono gli altri perché noi pensiamo di sapere quello che gli altri vogliono dirci prima ancora che parlino, è un problema nazionale. E anche perché, faccio notare, nell’equivoco sono caduti anche alcuni di quelli che difendono Gene Gnocchi. Che poi io penso che molti di quelli che commentano equivocando, non hanno visto l’oggetto della querelle, cioè il video in cui Gene Gnocchi pronuncia la battuta incriminata, e quindi parlano a vanvera, altro problema nazionale.

E comunque, tornando a Gene Gnocchi, al maiale, e a Claretta Petacci, in preda all’istinto del commentatore è sfuggito anche ad autorevoli commentatori il niente affatto trascurabile particolare che il bersaglio della battuta di Gnocchi non era Claretta Petacci, bensì Giorgia Meloni. La quale va postando da giorni le foto del maiale che grufola nei rifiuti di Roma e per questo viene messa alla berlina da Gnocchi (primo pezzo di cuore della battuta). Non solo: nostalgica del fascismo nonostante abbia sciacquato i panni in non si sa bene quale fiume per cercare di apparire una sincera democratica (secondo pezzo di cuore della battuta), Meloni ha messo nome al maiale Claretta Petacci, appunto. Insomma, il senso della battuta non è: Claretta Petacci è una maiala; bensì: la nostalgica del fascismo Giorgia Meloni ha un interessamento per il maiale che grufola per Roma degno di miglior causa.

Concludendo: Claretta Petacci è la leva della battuta, il cui bersaglio è la Meloni. Recuperando l’esempio di prima, ricaveremmo la seguente formula:

Moglie di Alfano : maiale a cui è stato dato il nome di Claretta = Alfano : Meloni

Ecco, riguardando il video, forse, ora si capisce meglio.

https://www.youtube.com/watch?v=XOcPdUsO64g

martedì 16 gennaio 2018

Cose piccole, piccolissime

E adesso ti metti a scrivere pure tu di razza, di razzisti, di Fontana, di campagna elettorale? Ma dai, basta: tra battute, litigi da social, editoriali, da ieri pomeriggio, da quando il leghista “moderato” Fontana – che non è mica come quell’“estremista” di Salvini - ha detto che i negri mettono a rischio la sopravvivenza della razza bianca, non si fa che parlare di questo! Che c’hai da aggiungere tu? No, no, niente. Io voglio parlare di cose piccole, piccolissime, ché magari, tutti presi da concetti alti (Darwin, l’antropologia, la zootecnia – pare che l’uso più opportuno della parola “razza” sia associato proprio alla zootecnia) possono sfuggire. Che poi se non avessi letto Zerocalcare sull’Espresso di domenica scorsa, magari non mi sarebbe neanche venuto in mente di scriverle, queste cose. E sia chiaro, la responsabilità di quello che sto per scrivere, ovviamente, è tutta mia: Zerocalcare non c’entra, non c’ho neanche mai parlato.

Dunque: dice Zerocalcare che i nazifascisti non sono tanti. Lui sostiene che va fatta una distinzione netta tra i “militanti di organizzazioni neofasciste” e “la barbarie trasversale diffusa in questo paese” perché sostanzialmente (semplifico molto, eh) barbari si diventa dopo essere stati sottoposti a un racconto giornalistico fatto di criminalizzazione sistematica degli stranieri, mentre i nazifascisti organizzati (sull’uso del termine nazifascismo rimando a Zerocalcare sull’Espresso, ché sennò questa cosa diventa troppo lunga) speculano proprio sul pregiudizio xenofobo, lo nutrono, ne fanno un programma politico basato sulla violenza e sul presunto primato della presunta razza bianca. Dice Zerocalcare, allora, che i nazifascisti, o nazisti tout court, “non sono tanti, ma non occorre essere in tanti per fare molto male nell’esistenza delle singole persone, in piccolo. Bastano pochi tagliaforbici storti” (e pure sull’uso della definizione di “tagliaforbici storti”, rimando a Zerocalcare sull’Espresso).

Fanno male i nazifascisti organizzati? Sì. Parecchio. Anche se sono quattro sfigati. Ammazzano, per esempio (Davide Cesare, Renato Biagetti, Nicola Tommasoli, Samb Modou, Diop Mor, Emmanuel Chidi Nnamdi sono i nomi di vittime fatte dal 2003 a oggi, li elenca il solito Zerocalcare). Picchiano “sistematicamente i bengalesi sulla Prenestina”, dice Zerocalcare che a Roma ci vive e la conosce. E fanno raid più o meno quotidiani che solo a stento vanno in cronaca nazionale. Io sulla responsabilità di chi fa e subisce il racconto giornalistico ci vado un po’ più pesante di Zerocalcare, perché penso che la barbarie la riconosci e la puoi evitare, non è detto che tu gli debba proprio andare in bocca, ma non è questo il punto.

Il punto è che stamattina, come tutte le mattine, ho accompagnato i miei due figli a scuola. Sotto casa mia ci sono due istituti superiori, e tutte le mattine mi tocca aspettare nell’auto ferma in fila che gli autobus davanti alla mia macchina scarichino decine di adolescenti che attraversano la strada per raggiungere le scuole. Non ci faccio mai caso, stamattina invece mi sono saltati agli occhi due ragazzetti neri. Quando l’autobus davanti a me è ripartito, e io sono gli andato dietro, stavo pensando a quanti ragazzini di origine straniera c’erano dentro quell’autobus: i neri li vedi, spiccano, quello che ha i genitori nati in Lituania no.

La prima figlia che scarico è la maggiore. Frequenta la scuola media. Mentre la guardavo entrare, ho pensato a Ledana, una sua compagna di scuola che ha i genitori albanesi. E ad Azzurra, la sua amica del cuore, che ha madre e padre di origine napoletana, che se la Lega era quella di qualche anno fa, magari ti capitava un Fontana che diceva che i napoletani mettono a rischio la razza padana. Mi è venuto in mente Marco, un altro compagno di scuola di mia figlia, che ha il nome italianissimo ma la madre e i tratti del viso colombiani.

Poi ho proseguito per un altro chilometro e ho accompagnato il secondo figlio, che frequenta le elementari; all’ingresso ho incrociato la madre di Edward, suo compagno, che è nata in Perù. Ho caricato lo zaino sulle sue spalle (di mio figlio, non della mamma di Edward) e l’ho guardato mentre entrava in classe, dove raggiungeva Adam, figlio di due polacchi: lei vive qui, il marito è stato costretto ad andare in Austria per lavorare e torna quando può; Maria, che nonostante il nome è figlia di due persone nate in Lettonia; Davide, nato dal matrimonio di un italiano e una algerina (scura di carnagione); Luca (padre italiano e mamma marocchina); Adelina, nata dall’unione di due rumeni;. Nadia, di famiglia rom.

Sono tornato a casa e sulle scale ho incrociato Lisa che andava al lavoro. Si fa chiamare così perché sono vent’anni che vive in Italia e qui ha fatto anche due figli, ma è nata in Ecuador. Mio figlio gioca spesso con i suoi, sono coetanei, e io la riaccompagno a casa quando i piccoli (mio e suoi) escono dalla piscina, ché il marito lavora fino a tardi e lei non ha la macchina. E, per dire, oh, non mi sono mai sentito messo a repentaglio nella mia identità di bianco nonostante lei abbia evidenti tratti dei nativi precolombiani.

Salendo le scale ripensavo a Ledana, Marco, Edward, Adam, Maria, Davide, Luca, Adelina, Nadia. Mi sono ritornate in mente le facce dei due adolescenti neri che avevano attraversato la strada davanti a me dieci minuti prima. E ho pensato a Larisa, cinquantenne moldava che fa la pulitrice ed è riuscita a portare qua i figli per fare il ricongiungimento dopo anni di sacrifici. Ora loro due lavorano in provincia di Milano, e lei è riuscita a vederli per le feste solo perché è andata su lei (vive a Perugia) poiché i due, che lavorano in uno di quei posti che vendono mobili la cui “forza è il prezzo”, avevano libero solo il giorno di Natale, essendo costretti dai turni a lavorare sia la vigilia che il giorno di Santo Stefano, che io poi vorrei vederlo uno che va a scegliere i mobili o se li fa montare in casa il giorno della vigilia o quello di Santo Stefano.

Alle ultime due rampe, ho pensato che la democrazia, se la interpreti in senso riduttivo, è a misura della maggioranza e se ne infischia delle minoranze (questa non è roba mia, ci sono stati scritti sopra diversi libri, anche se magari Fontana e quelli come lui non lo sanno). E gli spiriti animali dei tantissimi Fontana da cui siamo contaminati, inseguendo l’addome della maggioranza, fanno male. Non picchiano, non uccidono. Ma fanno male a Ledana, Marco, Edward, Adam, Maria, Davide, Luca, Adelina, Nadia. Che sono bellissimi, come tutti i bambini, ma ieri hanno avuto occasione per sentirsi diversi in maniera brutale perché qualcuno ha detto che loro mettono a rischio la razza bianca (credo che per Fontana anche moldavi, lettoni e rumeni siano da classificare come negri contaminanti). Fanno male, i Fontana, ai due adolescenti neri che magari oggi avranno a che fare con qualche compagno di classe un po’ più coglione degli altri che si sentirà autorizzato a bullizzarli. Fanno male alle tante coppie padane e bianchissime che adottano figli nati in altri continenti.

Pensavo a tutte queste cose, mentre infilavo la chiave nella toppa. Zerocalcare, Fontana, Larisa, i bambini, gli adolescenti. E ho pensato che la democrazia non può tollerare che ci sia qualcuno che la usa per fare male ad altri. Pochi o tanti non importa, perché sono comunque sufficienti a “fare molto male all’esistenza delle singole persone”, come dice Zerocalcare. Ora ci saranno lo storico e il politologo di turno che storceranno la bocca, avvertiranno un’irresistibile puzza sotto il naso e saranno pronti a categorizzare, osservare le grandi tendenze, invitare a non generalizzare, a non “farsi prendere dalla passione”. Sottovalutando la carne e il sangue delle persone, ascrivendo tutto alla campagna elettorale, minimizzando “perché non è da queste cose che si giudica un movimento politico”, e considerando le parole dei Fontana alla stessa stregua delle promesse farlocche da campagna elettorale. No. Perché la democrazia o è per le persone o non è. E i Fontana, come i nazifascisti, vanno isolati, messi in una riserva, indicati come il male perché fanno male. Ché sennò non ci si capisce più, non si capisce più a che serve, la democrazia, se non riesce a difendere chi non deve subire il male gratuito, che sia inferto per programma politico o per ignoranza.

giovedì 11 gennaio 2018

Un pippone per addetti ai lavori. Anzi, no

Io me li leggo questi articoli pieni zeppi di nomi in cui si dice che Tizio verrà forse candidato nella tal lista perché Caio, che è il suo padrino politico a Roma, sta perorando con forza la sua causa. E che però c’è Sempronio che lo minaccia perché Guidubaldo da Amelia, che ha fatto il sottosegretario e ha stretto un sacco di rapporti, lo tiene in grande considerazione (a Sempronio) e potrebbe riuscire a imporlo al partito (che poi, il partito, dove stanno i partiti?, ce ne sono?). Io me li leggo, dicevo, questi articoli, e devo averne scritto anch’io qualcuno, in passato, di mala voglia.

Però, una volta finito, mi sento come se avessi letto dell’ultimo flirt di Valeria Marini, o di quanto fa dimagrire l’ananas preso alle otto di mattina ma solo se condito con succo di mirtillo biologico proveniente dalla Valcamonica. Come se avessi fumato una sigaretta, che per fortuna ho smesso. Che ti dà una sigaretta? Niente. Ma proprio niente. Eppure tu te la fumi convinto che ti faccia calmare, che ti faccia andare al bagno, che ti rilassi, che ti aiuti a concentrarti, che ti faccia addormentare meglio. Tutte cazzate. Però tu non lo vuoi ammettere perché c’hai il vizio, solo che il vizio lo devi giustificare. E allora, giù cazzate.

Non dicono niente, questi articoli. Soprattutto considerando che alla fine di questo mese sapremo quali saranno i candidati ufficiali, quelli veri, che potremo andare a votare, se lo vorremo. Ma nel frattempo leggiamo ‘ste cose che non dicono niente, però soddisfano la voglia recondita di ognuno di noi di guardare dal buco della serratura. Sì, perché sapere che Gedeone Acchiappavoti (forse) ha telefonato a Giovane Vecchio e che insieme si sono messi d’accordo contro Anselmo Parrucconi, ci fa sentire più importanti, come se fossimo messi al corrente di un segreto, anche se il segreto è farlocco, anche se ciò non aggiunge niente alla nostra capacità critica di discernimento del candidato da votare.

Vengono inseriti sotto la categoria politica, questi articoli, quando andrebbero classificati come gossip, che almeno uno lo saprebbe quello che va a leggere. Invece no, ci si dà un tono, una scusa: “politica” (vedi alla voce “la sigaretta mi fa digerire”), anche se non c’è scritto niente che sia politica, cioè costruzione di cose che interessano alla comunità. Però, appunto, li leggiamo, anche se non ci lasciano nulla. E chi li scrive spesso si sente importante perché lui è il propalatore del segreto, che tra venti giorni non sarà più segreto.

Uno dei suggerimenti che Peter Laufer, docente all’Università dell’Oregon e fautore delle slow news, dà nel suo libro che s’intitola proprio “Slow news”, è questo: “Le non notizie presentate da notizie sono ancora più importanti da ignorare”. Ecco, questi pastoni sono non-notizie, presentati però come rivelazioni imprescindibili. E tenuto conto che tra venti giorni avremo sotto gli occhi gli elenchi dei candidati veri, quanto senso ha dedicare tempo alla lettura di questi articoli? Non sarebbe meglio leggersi, che ne so, “La Luna e i falò”, di Pavese?, uno qualsiasi dei libri di John Fante? Non sarebbe meglio andare a vedere “Corpo e anima” al cinema? Roba che la sera quando stai per addormentarti ci ripensi, e la mattina quando prendi il primo caffè ci ripensi ancora, che è segno che è roba che ti è entrata dentro. Invece, diciamoci la verità, ma chi ci pensa ad Anselmo Parrucconi, a Giovane Vecchio, a Gedeone Acchiappavoti, a Guidubaldo d’Amelia? E però leggiamo, gli diamo importanza, guardiamo dal buco della serratura convinti di entrare nella ristretta cerchia degli iniziati che sanno i segreti. E però ci lamentiamo dei giornali e dei giornalisti. Ma dei lettori mai. Che certi articoli, se non venissero letti, alla fine si smetterebbe pure di scriverli.


martedì 9 gennaio 2018

Scivolare con lentezza

Se cadi, cadi. Senti la botta, è difficile che non te ne accorga. Ma se scivoli è diverso. Puoi superare in scioltezza la cosa. O addirittura non rendertene conto; succede quando lo scivolamento è lento e continuo da diventare un moto percepito come naturale.
È successo quindi che, scivolando scivolando, le scuole sono diventate supermercati che offrono le loro mercanzie negli "open day" per attrarre più studenti-clienti possibile. I posti dove si viene ricoverati quando si sta male o si deve partorire sono stati trasformati in "aziende ospedaliere". E i supermercati sono diventati posti in cui si partorisce.
Si può essere d'accordo, intendiamoci. Si può perorare anche con qualche successo la causa della mercantilizzazione dell'umano e della umanizzazione del mercantile. A patto che lo si faccia tra esseri che si rendono conto di quello che succede e aderiscono convinti al "nuovo". Invece qui si scivola - si fa scivolare - con lentezza inesorabile. E così chi scivola non percepisce il movimento né la direzione verso cui sta andando. E ritiene il "nuovo" naturale.