sabato 24 febbraio 2007

Lo scontentismo

Che l'Italia del centrosinistra non sia (stata?) il migliore dei mondi possibili è fuori discussione, ma da questa parte della barricata c'è una corrente trasversale, lo scontentismo, in cui sono immersi tanto gli elettori cosidetti riformisti quanto i cosidetti radicali. E' il sentimento che attanaglia chi, una volta arrivato al governo, si aspetta che le cose cambino con un tocco di bacchetta magica. Come se un paese in cui ai tempi di internet la pubblica amministrazione funziona ancora col lapis, si diventa docenti universitari solo in possesso di pedigree e buona parte delle piccole e medie imprese stanno ancora rimpiangendo la cara vecchia svalutazione grazie alla quale vendevano all'estero si possa riformare dall'oggi al domani. Come se un mondo in cui la guerra è la regola possa risentire fulmineamente dei benefici influssi di qualche ministro pacifista di una non potenza. Non è così. I processi sono lenti e ne vedi il movimento solo se ti posizioni alla distanza temporale necessaria. Come? qui da noi i movimenti sono impercettibili? Certo, Prodi e i maggiori leader del centrosinistra non sono, oserei dire costituzionalmente, fulmini di innovazione. Però solo dopo il crack ci si è accorti che tutto sommato un governo in cui l'evasore fiscale non veniva più citato come modello sociale e in cui le parole pace e guerra avevano ricominciato ad assumere il loro significato originario, non era in fin dei conti il peggio che potesse capitare. Ma questo è un paese strano, dove se grazie a un sistema elettorale improponibile vinci con uno scarto minimo in una delle due Camere, la colpa è la tua che hai vinto.