venerdì 28 aprile 2017

Entrambi

Ci sono almeno due modi per fare gli avvoltoi sui migranti, speculari e odiosi entrambi: uno è quello di chi gli fa pagare fior di quattrini per caricarli su gommoni mortiferi approfittando della loro disperazione; l'altro è quello di chi da quest'altra parte parte del mare, coi piedi al caldo e la giacca sulla camicia senza cravatta (ché ora non va più di moda), gioca sulla pancia di orde di votanti sbandati e arresi al gioco del "prenditela con chi è più debole di te", additando i disperati che vengono qua come il male assoluto per lucrarne alle elezioni. Spesso i secondi ricorrono anche, per dileggiare approcci umani e di buon senso alla questione dell'immigrazione, a parole e locuzioni di recente conio come "buonismo" o "radical chic", approfittando del fatto che chi si contrappone a loro è troppo educato per ricorrere a neologismi come "merdismo" o "radical ignorant".

mercoledì 26 aprile 2017

Pornografici

Non ne so abbastanza di come andassero le cose secoli fa. Quindi questo è un post più dubbioso che mai. Però credo che Dante, per dire, sia arrivato fino a noi non tanto perché scrisse roba che funzionava, ma perché le cose che ha composto spaccavano. Vale più o meno la stessa per Tocqueville, Omero (ammesso che sia esistito), Marx, Bakunin, Smith, Zola, e aggiungeteci i classici che più vi piacciono. Vale anche per i Beatles e i Doors, i Pink Floyd e i Rolling Stones; vale, credo, anche per Sartre, Camus e Orwell (anche qui, aggiungeteci chi vi pare). Vale cioè anche per un primo periodo in cui sono cominciati ad affiorare e intersecarsi nel settore della cultura, inteso nel senso più ampio possibile, termini come mercato e pubblico. Cioè: forse sbaglio, ma mi pare che fino a un certo punto ogni epoca abbia trasmesso ai posteri il meglio della sua produzione.
Il punto è: cosa resterà di noi? Il timore è che l'accoppiata mercato-pubblico stia producendo mostri, già da un po'. Voglio dire che il rischio, che è più di un rischio, è che rimanga quello che oggi è acclamato dal pubblico. Gli storici mi diranno, forse, che è sempre stato così. Che anche se le categorie mercato e pubblico (e marketing spintonon esistevano, in qualche modo quella che è stata trasmessa nel futuro è stata sempre la produzione più commerciale di un determinato periodo. Io conservo i miei dubbi. E noto che la nostra epoca, accanto a quelle di Roth e Garcia Marquez, rischia di essere ricordata per produzioni assai meno profonde. Noto come soprattutto, il combinato disposto mercato-pubblico-marketing, rischia di imporre non solo a noi, ma anche a chi verrà dopo di noi, chi oggi funziona e vende. Così, si rischia che il futuro sia più di Mika che di Nick Cave, o più di Moccia che dei Wu Ming; più di Fedez che di Edda, o Paolo Benvegnù, o Cristina Donà, o Gianni Maroccolo. Più dei Backstreet Boys che dei Sigur Ros. Sarebbe l'ennesina stortura procurata dal mercato. Forse una delle peggiori, perché destinata a protrarsi nel tempo. E a dipingerci come non eravamo. A meno di non voler considerare migliore la roba che funziona meglio. Perché allora in quel caso, la pornografia non la batte nessuno.

domenica 5 marzo 2017

I buoni e i cattivi

Vedo persone che seguo e stimo prendere eccessivamente sul serio, almeno dal mio punto di vista, la diatriba tra Grillo e Renzi sul papà di quest'ultimo. Mi pare cioè che la loro lettura del carteggio via blog tra i due, non tenga conto del fatto che Grillo e Renzi si sono scritti sapendo che milioni di persone e tg e giornali avrebbero letto e commentato le loro considerazioni. Si commentano e si analizzano i due scritti come se si trattasse di una cosa privata, genuina. Come se Grillo avesse fatto davvero un'entrata a gamba tesa nell'insondabile e sacro rapporto padre-figlio, o come se fosse stato il primo a farlo nella storia politica di questo paese, e come se Renzi avesse risposto da figlio colpito nel suo nucleo più intimo. E invece post e contropost sono stati prodotti all'interno di una battaglia politica. E la battaglia politica, a quei livelli lì, ha molto a che fare con la fiction.

Le persone che seguo e stimo, stupendomi, attribuiscono i ruoli del cattivo e del buono alcuni a Grillo, altri a Renzi, trascurando completamente che i due stanno solo interpretando la loro parte in commedia, cercando di sfruttare al meglio le circostanze per spostare il pubblico a loro favore. Grillo, al solito, nel ruolo di “cane che abbaia ma non morde” (la definizione è ispirata al ruolo di “diversivo” che i Wu Ming e Giuliano Santoro hanno attribuito al M5S) sfrutta la difficoltà del suo principale avversario politico e ci si tuffa col consueto linguaggio iper aggressivo che gli ha fruttato e frutterà milioni di voti. Renzi approfitta a sua volta della situazione (dopo averne già approfittato in occasione dell'invocazione della famosa "pena doppia" per suo padre) tentando di uscire dall'angolo con un colpo da maestro, giocando sull'universalità del rapporto padre-figlio, portando il pubblico a immedesimarsi con il protagonista ferito nei suoi valori più profondi: colpiscono mio padre per colpire me, anzi, di più: colpiscono il rapporto tra me figlio e mio padre. Giocando su una situazione in cui possono proiettarsi tutti i padri (e madri) e in tutti i figli (e figlie).

Ma non ci sono buoni né cattivi, in questa fiction. Ci sono personaggi che interpretano ruoli. E analizzarne i comportamenti come se fossero quelli messi in atto nella vita reale è un po' come credere che Lee Van Cleef era davvero cattivo, invece sappiamo che il ruolo del cattivo lo interpretava soltanto.


mercoledì 25 gennaio 2017

Scivolare giù

C'è un particolare, nella vicenda Trump, in cui si ritrova il senso di scivolamento verso il basso: come avviene, chi lo accompagna, cosa provoca.

Durante la campagna elettorale per le presidenziali degli Stati Uniti, un discreto numero di opinion makers (editorialisti, analisti, imprenditori, politici) che non erano formalmente schierati col candidato repubblicano (anche perché veniva dato per perdente), hanno invitato a derubricare i suoi messaggi politici su donne, migranti, ambiente come altrettante gaffe: non si può giudicare un candidato per una frase, seppure infelice, veniva detto.

Successivamente alla sua elezione, nel periodo in cui Trump non era ancora operativo, alle perplessità di chi vedeva dei pericoli nel suo programma che di lì a poco sarebbe stato attuato, si è risposto, da parte degli stessi opinion makers, di stare tranquilli e distinguere, perché il Trump presidente sarebbe stato ben diverso dal Trump candidato. Una presunta lezione di realpolitik di chi la sa lunga, con la quale, di passaggio, si dava del bugiardo a Trump e si conferiva alla menzogna acchiappa-consensi lo status di standard in politica.

In entrambe le fasi, si ignorava e si invitava a ignorare la sostanza dei messaggi del futuro presidente. Il corollario era che chi si allarmava per le cose dette da Trump era da considerare a scelta: a) estremista; b) incapace di decriptare il linguaggio politico; c) antidemocratico perché non accettava il responso di elezioni democratiche.

Oggi Trump è presidente e comincia ad attuare quel programma che nelle illustrazioni degli opinion makers avrebbe dovuto essere fuffa acchiappa-voti, e lo scivolamento verso il basso è in atto. È verso il basso perché Trump non apre orizzonti ma ci costruisce muri davanti, chiude l'umanità in compartimenti stagni, evoca il perenne ritorno indietro e in tutto quello che dice e fa c'è un senso di difesa che gioca sul disagio di larghe fasce di popolazione non per trasformarlo in riscatto, bensì per assecondare e alimentare il livore che è carburante prezioso per la sua corsa politica.

Trump ha vinto non perché gli opnion makers di casa nostra gli hanno tirato la volata, è chiaro. Però la vicenda delle sue “gaffe” ci dice che lo scivolamento sta nel passare da parole così imbarazzanti da sembrare boutade a fatti conseguenti con quelle parole. Lo scivolamento è accompagnato da ineffabili opinion makers che dietro il paravento della moderazione e dell'accettazione della democrazia, sono più presi a condannare chi protesta rispetto a chi dice cose e prende decisioni che puntano a portare quasi tutti indietro a vantaggio di pochissimi. Lo scivolamento è quando sei costretto a ripartire da zero, o quasi, per spiegare che i migranti sono persone, non residuati di umanità; le donne sono vessate in gran parte del mondo e l'ambiente conviene a tutti preservarlo da appetiti devastanti.