martedì 3 marzo 2009
Le pulci all'opinione pubblica
Sostiene lo scorfano con robuste argomentazioni, che le autobotti d'inchiostro versate con assai poca fantasia e curiosità giornalistiche sulla "pioggia di 5 in condotta" nelle pagelle degli studenti italiani sono un classico esempio di informazione così miope da tendere all'inutilità. Scorfano ha ragione. Ma tralascia l'altra faccia del problema. Perché di qua c'è la stampa ma di là c'è la pubblica opinione. E in mezzo il mercato: drogato, dopato, taroccato, vilipeso da mister tv, ma pur sempre mercato. Il punto è che l'informazione è una merce che viene venduta nel mercato della pubblica opinione - perdonate il bignamismo d'accatto, è solo per fissare il perimetro del discorso. E oltre quattro milioni di quella pubblica opinione, domenica scorsa non hanno disdegnato di seguire l'Arena dell'indignato d'ordinanza Giletti, dove le parole di Giorgio Cremaschi e di Giorgio Fossa sulla crisi economica si mescolavano con quelle di Alba Parietti e Lory Del Santo (cito a caso dall'ultimo esempio della infinita galleria degli orrori che ci si para dinanzi ogni volta che accendiamo la tv). Quattro milioni, capite? Il Corriere della Sera, che è il più venduto dei quotidiani italiani, arriva a stento a vendere seicentomila copie in un giorno. Questo per dire che così come dopo un periodo d'ubriacatura abbiamo imparato (quasi) tutti a intercettare le stonature del coretto società-buona-politici-cattivi, sarebbe il caso di prendere in considerazione anche che la disequazione lettori-bravi-stampa-superficiale va rivista. Non tanto per salvare i giornalisti, categoria cui nessuno può smacchiare le patacche più indelebili: conformismo umiliante, pigrizia paralizzante, e, spesso, perbenismo d'accatto. Ma per capire che se non si parte dalla presa d'atto che oltre a quel tipo di problema lì, c'è anche quello di una pubblica opinione a un livello di maturità e di capacità di concentrazione che se va bene è quello di un preadolescente, non si riuscirà mai ad orientarsi. E siamo davvero sicuri che una bella, seria e approfondita analisi sul fatto che il 72 per cento dei ragazzi italiani ha una pagella con almeno un'insufficienza, venga premiata di più di un bello strillo sui cinque in condotta voluti dal ministro? Sì, lo so bene che a volte è anche l'offerta a nobilitare o deprimere la domanda. E so anche che c'è un pubblico meno di bocca buona, selettivo, sofisticato, che addirittura la tv la lascia spenta per larga parte della giornata e che la carta stampata la setaccia, o che magari viaggia nell'oceano della rete dove molte produzioni di qualità sono a portata di mano. Ma qui si sta parlando dei grandi numeri non delle nicchie. E le nicchie non spiegano, o spiegano poco. I grandi numeri dicono che c'erano oltre quattro milioni a pendere dalle labbra di Alba Parietti ed erano diventati meno di tre, la sera, davanti a Presa diretta.
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2 commenti:
E' tutto vero, infatti. E infatti è il discorso che porto avanti da tempo e per cui sostanzialmente ho aperto il blog: è la scuola che forma (o almeno getta le basi) quel tipo di opinione "pubblica" distratta e superficiale di cui tu parli. C'è un progetto chiaro per ottenere esattamente quel tipo di risultato. Sono quasi stanco di ripeterlo, ti giuro. Però è chiaro che è a sedici o diciotto anni (o anche prima) che va formata la capacità critica di un essere umano. Farlo, da insegnante, è già di per sé difficilissimo (e io sbaglio tantissime cose in proposito); farlo contro la volontà del tuo datore di lavoro (lo stato, se sei un insegnante) è sostanzialmente quasi impossibile.
E' tutto vero, infatti. E infatti è il discorso che porto avanti da tempo e per cui sostanzialmente ho aperto il blog: è la scuola che forma (o almeno getta le basi) quel tipo di opinione "pubblica" distratta e superficiale di cui tu parli. C'è un progetto chiaro per ottenere esattamente quel tipo di risultato. Sono quasi stanco di ripeterlo, ti giuro. Però è chiaro che è a sedici o diciotto anni (o anche prima) che va formata la capacità critica di un essere umano. Farlo, da insegnante, è già di per sé difficilissimo (e io sbaglio tantissime cose in proposito); farlo contro la volontà del tuo datore di lavoro (lo stato, se sei un insegnante) è sostanzialmente quasi impossibile.
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