martedì 30 ottobre 2012

Io e te

Un artista ti riporta alla vita. Alla sua radice inesplicabile. Alla tensione infinita, divaricante e mortale che la sottende. Questo ti può capitare di pensare quando esci dalla sala dove hai appena visto "Io e te". Questo ti può capitare di pensare, soprattutto, se hai preferito il cinema alla tv del "Grande commento", nella sera in cui il caos si è materializzato sotto forma di risultati elettorali. Questo ti capita di pensare quando esci e ti appare nitido quello che normalmente è sfocato. E diventi capace di misurare alla perfezione la distanza tra il reale e l'irreale paccottiglia che lo sovrasta e che scambiamo per realtà. Perché c'è (quasi) tutto quello che conta dentro "Io e te": il singhiozzo della vita e lo spettro della morte che l'accompagna; la tentazione del guscio che ci protegge e ci indebolisce al tempo stesso; il vuoto davanti che si riempie di cose che non capiamo e ci calamitano, il mistero della fratellanza e della sorellanza, e della genitorialità. Tutti ingredienti che rendono il film di Bertolucci "assoluto", sciolto dal tempo in cui è stato partorito. E che ne fanno un'opera all'altezza (e forse di più) del gran libro di Niccolò Ammaniti che l'ha originato. Sarà che nel libro, Ammaniti non ha potuto far cantare David Bowie. Poi esci dalla sala. E torni alla realtà.

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