Temo che criticare la giunta regionale dell’Umbria perché siamo nel caos nella gestione del Covid non colga il punto. Nel caos c’è più o meno tutta l’Italia, non solo l’Umbria. E infatti il punto non è quello. La questione è che nel programma della attuale presidente della regione, nel capitolo sanità, si leggeva questo: «Sarà strategico potenziare il tasso di coinvolgimento del privato, che in Umbria è pari a meno di 1/3 di quello della Lombardia».
L’emergenza covid da parte sua ha dimostrato quanto sia fondamentale la presenza pubblica nei settori strategici. Questo è il punto, che la critica a Coletto e Tesei limitata solo alla loro goffaggine nella gestione della pandemia rischia di non far emergere adeguatamente. Anzi, potrebbe diventare per loro un alibi, sotto l’adagio: tutta l’Italia è in difficoltà.
Il punto invece è che la pandemia sta dimostrando che senza il pubblico saremmo in braghe peggiori rispetto a quelle in cui ci troviamo. E il pubblico che abbiamo oggi è stato pesantemente ridimensionato dall’ideologia del “più mercato meno stato” e spolpato da un personale politico che non di rado ne hanno fatto carne di porco per diversi lustri.
Coletto e Tesei sono squalificanti non perché oggi ci sono le code per i tamponi, ma per quella frase in un programma elettorale che ha appena due anni ma ne dimostra duecento. E quella frase, identificativo di un’ideologia anacronistica, va rispolverata sempre, come il fantasma di Fontana, per dire che il pubblico non dev’essere né ridimensionato né spolpato, ma ne va fatta un’eccellenza inedita, mai vista.
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