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venerdì 16 maggio 2008

Cambia rotta, cambia stile

Prendi un adolescente d'oggi, quattordici anni o giù di lì. Nato, o meglio, fattosi conoscere dal mondo, il 13 maggio del 1994. Cosa lo accomuna oggi con il neonato che era quasi tre lustri fa? Poco o niente, tranne il fatto di ritrovarsi ancora governato da Berlusconi, ma questo è un altro discorso. Ecco, quell'adolescente lì nel frattempo ha frequentato asilo, elementari e sta finendo le scuole medie. Ora si ritrova quasi a dover scegliere cosa fare da grande. Si nutriva di pappe quando la Pivetti, che lui conosce solo come show girl de noantri, passava il tempo a fare la presidente della Camera; oggi che su quello scranno siede Fini sarà andato almeno una volta da McDonalds; al più, se tende al no global, preferirà kebab. Se sarà stato fortunato avrà già letto il Diario di Anna Frank; forse avrà assaggiato con la sua la lingua di qualcun altro. Ora prendi te, che stai leggendo questo blog: a occhio e croce quattordici anni fa eri più tendenzialmente portato/a all'incazzatura, vigoroso/a, o forse lo stavi per diventare. Poi hai fatto viaggi, letto libri, conosciuto persone, cambiato chissà quante volte espressione, pensiero, canale, città, abito, taglio di capelli, cibo preferito, voto alle elezioni, compagno/a, opinione su qualcuno o qualcosa. Ecco. Sei un'altra cosa rispetto al 1994. Così come, in maniera assai più macroscopica, un'altra cosa è quell'adolescente ex neonato. Ti chiami allo stesso modo ma sei un'altra cosa. Non completamente altro, eppure altro. Con i sedimenti del dna che t'ha scolpito dentro chi ti concepì, delle pappe mangiate e delle incazzature prese e della vigoria acquistata o persa nel frattempo. Ma sei altro. Come te sono cambiati anche i gruppi musicali viventi. I Marlene Kuntz (qui siamo al punto, perché questo post nasce come commento a questo di Adam, ma la cosa m'è venuta troppo lunga e ho riparato dalle mie parti che così non do fastidio a nessuno) rientrano nella categoria, come s'è già accennato da queste parti. Uguali a sé stesse restano solo le mummie, ma lì di vita ce n'è pochina. I Marlene erano il/la neonato/a, l'adolescente, il/la neo laureato/a, il genitore che eri quattordici anni fa, quando Berlusconi governava già e i pochi capelli che aveva in testa erano ancora tutti i suoi. E sono cresciuti splendidamente insieme a te (i Marlene, dico, non i capelli di Berlusconi), dal vomito di onde di parole alla contemplazione di questioni di qualità.
Wikipedia, Madamimadam, Leonardo.it

sabato 23 febbraio 2008

Un'altra cosa che non farò

Ora confesso un disagio. O meglio svelo un obiettivo che raggiungere dipende solo da me ma che non riesco a centrare. Come uno che pur detestando ogni sigaretta che accende non riesce a smettere di fumare; come chi non sa trattenersi a tavola pur sapendo di aver già ingurgitato una quantità di calorie sufficiente a star bene senza mangiare per i tre giorni successivi. Eccolo: quando mi capita di andare su blog altrui che non ho mai visitato prima, una tra le prime cose che vado a guardare dopo l'ultimo post sono - quando ci sono - le preferenze letterarie e musicali. Così mi faccio un'idea, testo le potenziali affinità. E mi ripropongo di volta in volta di farlo anch'io nel mio blog. Così, per dare una traccia di me, mi dico. Poi, quando mi metto a pensarci sopra, mi vengono in mente tante di quelle cose da portarmi alla rinuncia a farne un elenco. E poi se metti insieme - così, per dire i primi che mi vengono in mente - i Primus e Ludovico Einaudi, i Pixies e i Sigur Ros, Keith Jarrett e i Marlene Kuntz, i Subsonica e Giovanni Allevi, i Jane's addiction e Vinicio Capossela, cosa vuoi che capisca la gente di te? Al massimo che sei schizofrenico. Invece no. Pensateci bene: perché in una biblioteca qualsiasi libro può essere accostato a qualsiasi altro (tranne forse i romanzi harmony, ma lo dico per pregiudizio perché non ricordo d'averne mai letti) e in musica se svari in campi diversi rischi di raccogliere insulti? (qui l'ultimo degli esempi in cui sono incappato)? E' che per quanto mi riguarda, andando avanti con l'età ti rendi conto che è assai difficile mettere recinti alle cose umane come riuscivi a fare nella furia giovanile. Ad esempio: quando cominciò a riscuotere successo con roba tipo Gimme five ed E' qui la festa, io bollai Jovanotti e chi ascoltava la sua musica come scemotti da quattro soldi immersi nella plastica degli anni Ottanta. Poi, col tempo, ho imparato ad apprezzare delle cose di Lorenzo Cherubini, pur non diventandone un fan, prendendo a mia volta la mia dose di critiche. Da poco ho anche scoperto che una persona che mi pare dire cose a volte brillanti e spesso ragionevoli è cresciuta col mito di Jovanotti. Allora penso che alcune vicende sono sempre più complesse di come te le immagini, mentre altre sono infinitamente più semplici degli scenari complicati che ti costruisci. E penso che l'obiettivo di piazzare in bella mostra una lista qui a fianco non l'ho mai raggiunto e non lo raggiungerò mai perché non voglio raggiungerlo. Primo perché dimenticherei tanto, secondo perché riuscirei immediatamente antipatico a qualcuno, meno ad altri e complicato ad altri ancora. Farei quest'effetto a prescindere da ciò che scrivo, penso o faccio. Ma semplicemente perché ascolto e leggo. Starò pure in qualche recinto, ma preferisco che chi viene da queste parti si sforzi di cercare da solo il filo spinato invece di fornirglielo.
Hai da accendere, Akille

lunedì 8 febbraio 2016

Gianni Maroccolo e noi

Ero tra i fortunati in platea al Teatro Studio di Scandicci, l'altra sera, per la prima di “Nulla è andato perso”, lo spettacolo in musica che celebra i trent'anni di attività di Gianni Maroccolo. Spettacolo in musica, sì, ché concerto - per quanto uno di concerti bellissimi ne possa aver visti a decine – è riduttivo. Ma non è della qualità dello show che mi preme parlare qui. Una performance che mescola trent'anni di musica, suggestioni, colori, atmosfere partoriti con persone diverse, alcune delle quali entrate nel palco-non palco del teatro (non c'era alcuna differenza di altezza tra musicisti e platea, non per egualitarismo inopportuno tra artisti e pubblico, ma quasi un invito a respirare insieme, o almeno a me piace pensarla così); una performance così, dicevo, che mette insieme tutta questa roba diversa come se fosse un disco uscito ieri, non ha bisogno dell'ennesima recensione che ne esalti la magia. E poi non sarei credibile. Maroccolo è clamorosamente presente in tutta la musica italiana di cui sono tuttora estasiato fruitore. Quella musica che - dipende da come la vivi, ma quando incappi in certi fenomeni a una certa età può capitare - non è esagerato dire che ti cambia la vita. Nel senso che, insieme a mille altre cose che entrano nel tuo frullatore esistenziale, ti porta a guardare le cose da un punto di vista spesso ostinatamente alternativo, a volere altro da quello che ti si propone davanti, a essere insopportabilmente snob, a volte, perché tu non ascolti, non guardi, non leggi quello che tutti hanno a portata di mano. A prendere strade troppo poco battute, a volte; ma proprio per questo a scovare perle, se sei fortunato. Ecco, insomma, uno che ha suonato nei primi tre dischi dei Litfiba, che poi ha dato vita ai Csi, che ha prodotto il primo cd dei Marlene Kuntz, che ha concepito una gemma come Acau, è del tutto plausibile che incarni qualcosa che va anche oltre la musica. E l'altra sera ho capito, o meglio, credo di aver messo meglio a fuoco perché. Che poi è semplice.

È che Maroccolo è un artista vero. Ce ne sono tanti. Ma seguendo il suo percorso, che si è manifestato in tutta la sua intensità l'altra sera - per le cose suonate, per come le ha suonate, per le persone con cui ha scelto di suonarle, per le cose dette con un filo di voce e con un curioso misto di ritrosia e voglia di manifestarsi - a me questa cosa che ho sempre pensato, è apparsa ancora più nitida e con una sua peculiarità. Ora però occorre chiarirsi sulla locuzione “artista vero”. Ce ne sono tanti, accennavo, di artisti veri. Molti di successo, altri condannati all'oscurità. Maroccolo sta nel mezzo. Non per un malinteso senso di medietà, sia chiaro. Ma perché lui è riuscito ad essere un musicista di un qualche successo senza mai concedere nulla agli affari che girano intorno all'arte. Si percepisce, si respira, ascoltandolo, che Maroccolo crede in tutto quello che fa e che ha fatto. Che non c'è nulla che faccia perché pensa possa piacere ad altri: il primo a cui devono piacere le sue cose è egli stesso. Potrà sembrare una banalità, ma di compromessi al ribasso per allargare il proprio pubblico è innervata la storia di qualsiasi arte. Maroccolo lo sa solo lui, ma credo davvero non ne abbia mai fatti, o se non altro non ne ha fatti di esiziali. L'artistone di successo (non faccio nomi per non urtare sensibilità, non degli artistoni che ovviamente non mi leggono, ma dei loro fan) ha la sua immagine, ha i suoi cliché che consapevolmente o meno riconferma. E fa successo. E tiene alto il mito. Fa successo, ed è un successo basato sulla qualità, per carità, ma che occhieggia anche al compromesso. All'opposto sta l'artista così coriacemente artista, così lontano dal percepire comune e dall'accordo col mainstream, che è magari costretto a fare altro per guadagnarsi da vivere, poiché non riesce a instaurare canali di comunicazione con un pubblico abbastanza ampio da poter vivere della sua arte. Maroccolo appartiene a quella schiera di grandissimi baciati dalla grazia di poter vivere della propria arte pur non avendola mai (mai) svenduta.

Ed è - qui sta il punto - questo stato di grazia ad avergli dato l'importanza che ha per il rock italiano tutto e per la platea piccola o numerosa che lo segue. È avendo fatto emergere da una tale profondità le sue produzioni, è avendole protette dalla corruzione ed essendo stato bene attento a preservarne l'intimità; è avendo scelto ogni volta la sua arte, che Maroccolo ha potuto dare le cose dell'importanza che ha dato. Viceversa sarebbe stato un bassista/musicista come tanti. Magari con un conto in banca più cospicuo, e anche più conosciuto, ma senza alcuna traccia lasciata dietro di sé. Buono per tre minuti di radio. No. È questo dar vita ai sentimenti che ha reso Maroccolo l'artista che è. Uno di spicco, pur essendo rimasto sempre dietro, sulle migliaia di palchi calcati a ruminare note e a consumare la vernice del suo basso (sempre quello, da decenni). Perché quando ascolti le cose che fa, se hai la fortuna di stare in sintonia con lui, sai che quelle cose sono frutto dell'arte, non del compromesso. Quindi autentiche, piene. Ed è per questa autenticità profondissima che si è potuto permettere di dare al suo spettacolo quel titolo: “Nulla è andato perso”. Dalla cantina di via dei Bardi, a Firenze, dove fondeva gli amplificatori insieme a quelli che avrebbero dato vita alla band più importante della new wave italiana fino al viaggio col compianto Claudio Rocchi. Nulla è andato perso per uno che ha sempre curato i canali che s'instauravano con le persone con cui si è messo a suonare. “Perché la musica se non la condividi non ha senso”, dice lui, ma la devi condividere con le persone giuste. Questo Maroccolo l'ha sempre saputo. E ci regala un esempio di fedeltà a se stessi tanto più pregnante in un mondo dove la regola è l'auto-amputazione, il compromesso al ribasso che ricaccia indietro e non consente di guardare lontano, ma al massimo di sopravvivere (e neanche tanto bene). Maroccolo insomma, questa è la sua grandezza che va ben al di là della musica, restituisce non solo la dignità, ma l'importanza ai sogni. Senza il nutrimento dei quali le cose che facciamo sono destinate a perire in fretta, a rimanere in superficie, a non lasciare segni perché prive di anima. Magari più facili e più adatte a piacere di più. Ma deprivate.

lunedì 13 agosto 2007

Anni '80

Ricordo ancora il componente di uno di quei gruppi della scena rock cittadina che seguivano il mainstream dell'epoca, pontificare sul fatto che un cantautore molto affezionato alla sua chitarra "non conosceva l'uso delle tastiere". A me - ai tempi scapigliato strimpellatore di provincia, nient'affatto seguace della mode di allora e per giunta molto colpito dal ritratto della città in cui vivevo fatto dal cantautore in questione in una canzone memorabile che purtroppo non trovo in rete - la frase stupì. Mi sarei rifatto con gli interessi qualche anno dopo quando cominciarono a uscire cose tipo Marlene Kuntz e Afterhours, con buona pace degli Spandau Ballet.
Marco Rea

lunedì 18 maggio 2009

Quindici anni, un giorno

"Ci stupisci quasi fossi nuovo
e invece sei vecchio e gommoso: bacia la sposa, bacia"
No, niente, è che, complice il "Best of" che hanno fatto uscire, sto tornando indietro con i Marlene Kuntz anche di quindici anni e quel brano di Festa mesta mi sembra di un'attualità strabiliante.

venerdì 17 dicembre 2010

In ascolto

Interrompo il lungo silenzio dovuto a motivi non dipendenti dalla mia volontà (come si dice in questi casi) ma da cause di forza maggiore, per dire che mi propongo di tornare più di frequente e che ho scritto poco ma ascoltato molto in questi ultimi tempi e mi sono reso conto che gli ultimi cd acquistati sono rigorosamente italiani. Di due, Sud sound system e Africa Unite, mi limito a riferirvi che se non li avete ascoltati e avete voglia di sereno anche quando il cielo è grigio, vale la pena averli a portata di mano. Di altrettanti, Massimo Volume ("Le cattive abitudini") e Marlene Kuntz ("Ricoveri virtuali e sexy solitudini), che il primo è bellissimo, a tratti emozionante, e arriva subito (da avere); che il secondo arriva al quarto-quinto ascolto e poi cresce ogni volta che lo metti su.

martedì 16 settembre 2008

Lieve

C'è una lieve imperfezione di chitarra nell'ultimo pezzo di "Uno" dei Marlene Kuntz. E' una piccola gioia averla scorta, come se si fosse entrati in maggiore confidenza con un'opera che si sta consumando voracemente ancora a distanza di un anno dall'uscita, tanto si fa amare.

giovedì 21 febbraio 2008

I Rem, ehm


Cari Rem, io sono stato un vostro fan. Tanto da associarvi ad alcuni dei ricordi più belli dei vent'anni. Lo sono stato così tanto tempo fa che ancora oggi quando penso a te, Michael Stipe, la prima immagine che riemerge è quella di un cantante coi capelli lunghi; ho ancora impressa in mente l'intervista nella quale spiegasti la decisione di raderli a zero. Calvizie incipiente? No, che a una rockstar non s'addice. "Mi ero rotto le scatole. Ogni volta che salivo su un autobus o camminavo per strada mi sentivo appiccicati gli occhi della gente", c'era scritto più o meno sul mensile di cui a quel tempo non perdevo un numero. Più o meno perché cito a memoria e sono passati diversi anni. Ma a quell'età certe cose ti si conficcano nella testa e ai simboli dai più importanza di quanta ne meriteranno in futuro. Quindi la citazione dovrebbe essere fedele. Sono stato un vostro fan così tanto tempo fa che quando vi vidi in concerto eravamo così pochi che a dieci metri dal palco si stava larghi. Sono stato, dicevo. L'ultima cosa vostra che ho cantato con convinzione è stata Losing my religion, che ha accompagnato diverse serate avvinazzate di universitari ai primi anni con chitarre al seguito. Quella è stata anche la canzone del botto. Da lì in poi stare larghi a dieci metri dal palco a uno dei vostri concerti sarebbe stato impossibile. E io vi ho perso. Un po' per snobismo, ché quando a vent'anni o giù di lì ti consideri un angry young man e una delle tue band preferite diventa tale anche per milioni di altre persone ti senti privato dell'esclusiva e metti su il broncio. Un po' perché voi non avete detto più niente di nuovo. Mi è capitato di sentire alla radio il vostro ultimo singolo: potrebbe stare indifferentemente nella lista di uno qualsiasi dei vostri ultimi cinque-sei dischi, come accade ai Rolling Stones. Oh, non fate come tanti che se non dici "a" intendono per forza "z": in mezzo ci sono diciannove lettere che suonano ognuna in maniera diversa. Per cui sostenere che Supernatural superserious è uguale a tantissime altre cose che avete fatto negli ultimi quindici anni non equivale a dire che quella canzone fa schifo. No, semplicemente non dice niente di nuovo. Ma se mi capita di ascoltarla in radio non cambio stazione. E se vicino a me c'è mia figlia può darsi pure che le prenda la mano e ci inizi a ballare insieme, ché pure lei ha gusti discreti e la musica buona sta imparando a riconoscerla. Quello che voglio dire è che non era scontato che quella band che contribuì a dare un senso alla definizione di "rock alternativo" finisse per mettersi seduta nel salotto delle star senza rialzarsi più. Lo dimostrano gente come Nick Cave, Marlene Kuntz, Gianni Maroccolo (i primi che mi vengono in mente), che cambiano sempre rimanendo sé stessi, cioè sfidando i luoghi comuni. Ecco, per alcuni la coerenza è una stella polare da adattare alle diverse strade che ci si trova a percorrere di volta in volta. Voi invece l'avete resa il feticcio che la trasforma in zavorra. Ecco perché non verrò a vedere il vostro concerto nonostante passerete molto vicini a casa mia la prossima estate. A meno che non mi venga improvvisamente voglia di entrare in un'immaginaria macchina del tempo per riportare l'orologio indietro di vent'anni. Un po' come si fa a quelle feste "anni ...". dove al posto dei puntini si mette di volta in volta la decade per cui si prova nostalgia. Ma comunque vi ringrazio. Per avermi fatto ascoltare Murmur, Reckoning, Fables of reconstruction, Lifes rich pageant. E Document, che ancora oggi quando lo metto sul lettore mi viene voglia di saltare.
Pitchfork, Wikipedia, foto da Retroweb

lunedì 28 dicembre 2009

Wizzo Awards 2009

  • Disco in copyright: Marlene Kuntz - Cercavamo il silenzio
  • Disco in copyleft: Cartavetro - We need time
  • Libro: John Fante, prendetene uno a caso e perdonate se qui è stato scoperto con vent'anni di ritardo rispetto alla media
  • Film: Inglorious basterds

venerdì 19 settembre 2014

Contro le catene

Sì, può sembrare snob criticare le cose che fanno tutti o quasi. Rischi di fare la figura di quello che «mi si nota di più se non vengo». Invece, nel caso di queste interminabili e auto-riproducenti catene di sant'Antonio, a tirarsela sono quelli che fanno la cosa che fanno tutti. Queste classifiche di dischi, film e libri hanno un unico merito: quello di riportarti alla mente "Alta fedeltà" di Nick Hornby (e quant'eri giovane quando lo hai letto). Per il resto sono una inutile (dannosa?) riduzione di complessità in un mondo che ha invece bisogno di riabbracciarla, la complessità, per ritrovare la misura delle cose (qualcuno mi deve spiegare come si fa ad amare la musica e la letteratura e chiuderle in dieci titoli). E sono un modo di tirarsela, di fare i fighi. Per rimanere alla musica, negli anelli di catena che mi è capitato di leggere ho visto solo disconi, unanimemente riconosciuti disconi, ascoltati dalla gente che ascolta buona musica. Ma se devi dire quali sono i dischi che ti hanno cambiato la vita devi fare uno sforzo in più. E ricordarti com'eri, come potevi diventare e come sei diventato. I Radiohead li scrivi per fare il figo, ammettilo. Invece la vita te l'hanno cambiata davvero la cassetta con i greatest hits dei Rolling Stones che rubasti dalla Fiat 500 rossa di tuo zio quando avevi i calzoni corti, quella che iniziava con Jampin' jack flash; o il fulminante "Io che non sono l'imperatore" che tuo padre ti faceva sorbire a quintalate ogni volta che entravi nella Lancia Fulvia col cambio al volante, mescolandolo con dosi più innocue di Lucio Battisti. E dovresti ricordare che prima dei memorabili 1984, Q, Aspetta primavera Bandini e via elencando, risparmiasti per non so per quante settimane per arrivare alle ventimila lire che ti consentirono di acquistare "Nessuno uscirà vivo di qui", la biografia di Jim Morrison senza la quale non sarebbero arrivati gli altri. Così come senza quel meraviglioso Bennato e quei Rolling Stones "dozzinali", saresti stato condannato a rimanere a vascorossi e non avresti mai conosciuto Nick Cave, Primus, Sigur Ros, Smiths, Paolo Benvegnù, Csi, Marlene Kuntz, Deus, Led Zeppelin, Cure, Afterhours e i mille altri con cui hai passato giorni e notti. E non saresti arrivato a un disco sublime, forse unico in Italia, "Conflitto", di Assalti Frontali e Brutopop, che non sono fighi per niente e non finiranno in nessuna classifica di nessuna catena figa fatta da gente che punta ad apparire figa, anche se non lo ammette.

domenica 30 marzo 2008

Roba buona

Poche volte m'era capitato di inanellare l'ascolto di una serie di dischi da me giudicati non belli ma addirittura entusiasmanti, come mi sta accadendo in questo periodo: dall'Uno dei Marlene Kuntz, al Technicolor dreams dei Toy's orchestra; dall'Eclissi dei Subsonica al Dig Lazarus dig di Nick Cave (non è una classifica, l'ordine è rigorosamente casuale). Mi stavo preoccupando. Poi, al di là degli Arcade Fire che hanno rotto l'incantesimo e abbassato la media, ho avuto occasione di confrontarmi con gente che condivide con me una parte degli ascolti e i rispettivi giudizi: non sono io che ho abbassato la soglia di qualità, è che in giro c'è roba buona.
PS Cioccati: so benissimo che chi non condivide i gusti musicali del blog sta meditando una prevedibile battuta sul titolo del post.

martedì 16 ottobre 2007

In ascolto

C'è Cristina Donà che sembra essersi accontentata di quello che ha fatto (bene) l'ultima volta e continua a farlo (bene). Ci sono i Marlene Kuntz che pur dando sempre l'impressione di piacersi un casino cambiano di continuo e fanno una cosa meglio dell'altra.
Myspace

martedì 19 agosto 2008

Fab six

I post languono d'agosto e un blog è anche una questione di quantità. Allora in mancanza d'altro si è deciso di fare una cosa che cozza un po' con quanto detto qui, ma neanche troppo, in fondo. Tra l'altro è una cosa che svela in parte l'età del titolare o dalla quale si arguisce almeno che si è entrati in decadi alte. Ma ne vale la pena, soprattutto se chi si imbattesse in questa roba svelasse attraverso un commento la sua personale classifica dei migliori concerti visti finora, come si sta per fare ora, che è anche una sorta di biografia, per certi versi. E' una cosa che a chi ha una certa età può dare anche un gusto dal sapore strano, tipo cercare su internet testimonianze di eventi accaduti in tempi in cui web erano semplicemente tre lettere messe lì a caso.
1) U2 - Roma - stadio Flaminio, 27/5/1987. Loro stavano ascendendo nell'empireo del rock, io li amavo (il termine non è esagerato) da almeno tre anni. Partenza avventurosa senza biglietto all'ultimo momento salendo su un pullman organizzato da una radio della città di provincia nella quale frequentavo il penultimo anno di liceo. Trentamila lire in tasca, nei dintorni dello stadio mi misi alla ricerca del tagliando. Trovai un tipo che quella cosa preziosa l'aveva ed era disposto a venderla. "Quanto mi dai?", mostrando uno spiccato senso degli affari, dissi: "Ho trentamila lire in tasca". "Va bene". Affare fatto. Biglietto in tasca e neanche una moneta per comprare acqua o cibo. Niente birra né canne. Un lucido delirio. Ricordo come fosse ora le tastiere dell'attacco di "Where the streets have no name" quasi soffocate dal boato e subito dopo il riff lancinante di "I will follow" sul quale feci un salto in avanti di cui mi stupisco tuttora. Finì con qualcuno che mi offrì un panino e la testa piena di cose che sarebbero state raccontate a chi non era venuto.
2) Nick Cave - Arezzo wave, 6/7/2001. Reduce da un consumo compulsivo dell'appena uscito "No more shall we part", era uno di quei concerti a cui vai affamato. Alle due del pomeriggio già sotto al palco. In tre in avanscoperta, aspettando gli altri con i quali si riuscì a vedersi solo poi. A turno la spola per le birre. Cave lo si era già visto diversi anni prima a Roma, ai tempi di Tender prey, ma non era stata una gran serata né per me né per lui. Uscì sul palco che sembrava un gigante, vestito nero e camicia bianca, magro e bello a vedersi. Rese le ballate dense e mistiche dell'ultimo disco, tese e grondanti come solo lui e i Bad seeds sanno fare. Uscimmo ubriachi di musica e la serata continuò con gli altri prima di ripartire verso casa quasi all'alba. La grandezza della serata mi è stata confermata anni dopo, quando parlando con una persona che ai tempi non conoscevo dei migliori concerti visti, convenimmo che questo sarebbe stato nelle rispettive personali classifiche. "Ma dai, c'eri anche tu", "Sì, stavo davanti, in mezzo", "Io di poco spostato a destra", ecc...
3) Rem - Perugia, maggio o giugno 1989 - Bellissimi loro, carichi noi che stavamo sotto e belli dei nostri vent'anni. Eravamo in pochissimi. Fu stupendo in particolare un pezzo fatto durante il bis nel quale si raccolsero a cantare vicinissimi, spalle al pubblico, intorno alla batteria.
4) Afterhours - Arezzo wave, giugno 1993 - Una rivelazione: in tre sul palco, il cantante-chitarrista coi capelli fino a metà schiena che urla sul microfono con una voce da paura. Una versione di "Mio fratello è figlio unico" da torcersi le budella. "Oh, ma chi sono questi", "Boh, si chiamano Afterhours ma sono italiani", "Mammamia".
5) Sud Sound System - Località imprecisata del Salento, 1999 - In tanti a casa loro. Energia da vendere: fatte le debite proporzioni, come vedere Bob Marley a Kingston.
6) Modena City Ramblers - Imola, Festa di Cuore, luglio 1993 - Mai stati tra i gruppi preferiti, concerto sotto un tendone con una trascinante versione di Bella Ciao che la fece quasi diventare la loro canzone, si comprò la cassetta e la si spacciò in lungo e in largo: erano tempi di impegno politico.
Poi ci sono altre cose sparse: i Csi a Firenze (gennaio 2000, se non sbaglio), la tre-giorni di Pistoia Blues dell'88 (Stevie Ray Vaughan e Johnny Winter nella stessa sera non è proprio roba da tutti i giorni): sacco a pelo, chitarra e pochi soldi, quasi da romanzo di formazione; più in qua Cristina Donà al Bloom di Mezzago (2002, credo) e Marlene Kuntz e Marco Parente in diversi posti, sempre gradevoli. E poi altre cose ancora, alcune delle quali finite irrimediabilmente nel dimenticatoio
Kalporz, Elevation tour