lunedì 27 aprile 2009

Calcio parlato

Ieri sera sono tornato a casa tardi e ho acceso la tv su Rai2, dove era in onda la Domenica sportiva (si chiama ancora così, non è solo un mio ricordo di bambino, vero?). Si parlava del posticipo Napoli-Inter. Ho assistito (distrattamente, lo ammetto, mentre trangugiavo qualcosa) a dieci-quindici minuti di trasmissione. Solo stamattina ho scoperto che l'Inter aveva perso, ero andato a dormire convinto che fosse finita 0-0.

Un dubbio

E' stato un fine settimana denso. E non ho letto i giornali nazionali. Mi dicono stamattina di Scalfari che ieri su Repubblica ha fatto un fondo sul Berlusconi in salsa 25 aprile. Penso: sì, è una notizia, da quando è "sceso in campo", si è tenuto sempre alla larga dalle telecamere il giorno della Liberazione. Poi ripenso: se non me n'è fregato nulla a me, che pure un minimo d'interesse per queste cose lo conservo, figuriamoci ai più distratti dei suoi elettori, che magari mescolano 25 aprile, I° maggio e 2 giugno. Poi ri-ripenso: ma alla fine, se c'è andato o non c'è andato, che cosa ha detto e che cosa ha omesso, quanto e cosa cambia? Voglio dire: ma siamo così sicuri che giornali, blog e mezzi di comunicazione vari parlino di cose che interessano davvero i milioni di persone che vivono, lavorano, si sbattono là fuori, poi tornano a casa la sera e si spaparanzano davanti al primo reality che passa il convento? Ci sfiora mai il dubbio che ce la cantiamo e ce la suoniamo in un cortiletto che collochiamo presuntuosamente al centro del mondo? Sì, lo so che a seguire questa via si rischia di diventare populisti e tendenzialmente qualunquisti. Conosco bene, o almeno, credo di conoscere, il valore e il potenziale delle nicchie. A patto che le nicchie tendano ad allargarsi, però. E poi, sempre meglio farsi sfiorare dal dubbio che tenersene alla larga, no?

sabato 25 aprile 2009

Liberi tutti

Più che resistenza, resilienza. Ecco, c'è da augurarsi che i concetti di resistenza e Liberazione abbiano una buona resilienza, visti i tempi.

venerdì 24 aprile 2009

Pezzi

Quando corri in un parco e superi gruppi di persone che stanno camminando cogli frasi smozzicate, pezzi di ragionamento, abbozzi di luoghi comuni. Oggi mi è capitato di udirne un paio. Il primo: "Mourinho parla, fa l'attore, sembra più un politico che un allenatore". Il secondo: "E invece in Italia....". Ecco, c'è proprio un bel pezzo d'Italia in quei due tranci di frasi.

Perfect day

Se esistesse una giornata ideale inizierebbe così quando sei ancora a letto. Proseguirebbe con una robusta colazione a base di zucchero marrone. Poi con una passeggiata al sole e una bella botta d'energia. Il pomeriggio sarebbe quasi onirico, la sera dolce.

A-dichiarazione

A quasi due anni e mezzo dalla nascita del blog ho ceduto alla tentazione e l'ho fatto. Ho inserito qui a destra una di quelle citazioni (è un brano di "A tratti" dei Csi) che come tutte le definizioni, o meglio, i tentativi di definizione di sé e di come la si pensa, aiuta chi guarda a capire qualcosa ma al tempo stesso riduce la complessità che qualsiasi fenomeno umano porta con sé (qui ho già espresso questo concetto in maniera più diffusa e, forse, pesante). Quindi ciò che ho appena fatto potrebbe apparire come un controsenso. Quello che mi conforta è che più che una dichiarazione, quella è un'a-dichiarazione d'intenti. Non è un "farò", ma un'ammissione d'impotenza; non è un "faremo", ché è già impegnativo dire "farò". E, nonostante lo stiate forse già pensando, non è affatto una resa. Per questo mi piace e l'ho appiccicata lì, dove la vedete.

lunedì 20 aprile 2009

Semplicistico

Luca Ricolfi sulla Stampa scrive un pezzo di una certa lunghezza per spiegare alcuni dei motivi per cui la sinistra avrebbe paura di un vero leader. Argomento centrato ma spiegazione lacunosa. Per un motivo abbastanza semplice, forse semplicistico. Al di là della falsa coscienza e del riferirsi alla rappresentazione di valori assoluti e non negoziabili che determinerebbero "il bordello", secondo la citazione di Montanelli fatta da Ricolfi, c'è una difficoltà insormontabile per la sinistra italiana, oggi, a dotarsi di un leader. E' che quel leader non esiste.

mercoledì 15 aprile 2009

Rigidi

A me pare già stucchevole l'ennesimo dibattito sulla legge elettorale: se ne parla da lustri, come se da una eventualmente buona (?) legge elettorale dovesse discendere la panacea per i mali d'Italia; se ne sono cambiate, di leggi elettorali, non so più quante da quando è crollata la prima repubblica; ne abbiamo una, di legge elettorale, per ogni livello di governo (centrale, regionale, provinciale e comunale). E noi ancora qui a dilaniarci su uno strumento, ribadisco, uno strumento, manco se all'ordine del giorno ci fosse la scelta tra suffragio universale e ristretto. In secondo luogo, propendendo per il proporzionale, sarei tra quelli che punterebbero a renderlo innocuo, il referendum su cui si sta avvitando il dibattito nazionale, anche perché, detto per inciso, una legge che attribuisce la maggioranza assoluta dei seggi a chi prende anche una percentuale risibile di voti è roba da far arrossire la legge truffa. Ma non è questo il punto. Il punto è che i referendari della prima, seconda e terza ora mi sembrano più rigidi del più rigido dei materiali. E dire che l'esempio è sotto i nostri occhi. Stiamo andando a una elezione per il parlamento europeo per la quale, allo scopo di superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, i simboli dei partiti si stanno trasformando in collages di più partitini. I filo-maggioritari diranno: ecco la prova della bontà aggregante della nostra teoria: non più tanti partitini, ma due soli grandi partitoni che si battono per arrivare alla maggioranza assoluta. Sbagliato: perché la soglia del 4 per cento sta ai microrganismi come il 50 per cento sta ai partiti che ambiscono a governare. Quindi, nel caso ci trovassimo con lo scenario che uscirebbe da una eventuale vittoria dei "sì" al referendum, avremmo di fronte due grandi simboli-collage (Pdl+Lega+varie-ed-eventuali da una parte; Pd+Di Pietro+varie-ed-eventuali dall'altra), pronti a scomporsi un minuto dopo la chiusura dei seggi. E' che il bipartitismo sul modello angolsassone, questo i rigidi filo-maggioritari non capiscono, non lo si introduce per legge. E dire che ci stanno sbattendo la testa da anni. Eppure niente, non si rassegnano, vedono la realtà non per come è ma per come vorrebbero che sia: rigidi, appunto.

martedì 14 aprile 2009

Questione di spazio

Su questa casa oggi il Corriere della Sera ha fatto una fotonotizia a pagina 5. Ecco, senza starla a fare troppo lunga, perché la sintesi è un dono, specialmente in certe occasioni, forse la cosa meritava uno spazio maggiore.

lunedì 6 aprile 2009

Inutile

Sto per scrivere una cosa inutile, ma tra il bello di avere un blog c'è anche questo privilegio. Ascolto la linea diretta di Radio Uno sul terremoto. Ci sono notizie tragiche, aggiornamenti di morte, avvisi e suggerimenti per chi vive o viaggia nelle zone colpite. Poi la pubblicità, di cui mai come in questi casi si apprezza il tono stoltamente giulivo, inutilmente enfatico, fastidiosamente finto-entusiasta. La mescolanza tra i toni drammatici dei conduttori e delle dirette dai luoghi colpiti e "il piacere di fare la spesa", le fighissime penne triplus, l'"io ringrazio il cielo, fortuna che tu esisti" rivolto a un supermercato, provoca uno stordimento dal quale si rinviene con un pensiero fisso: solo la nostra civiltà sa raggiungere punte così incivili. Non si potrebbe prevedere che in momenti del genere, di emergenza nazionale, gli investitori pubblicitari e i loro contratti milionari cedano il passo alle notizie nude e crude? E poi, investitori che non leggerete mai questo post, siete così sicuri di avere ritorni in termini di affari con entrate a gamba tesa in una tragedia del genere? Fossi in voi chiamerei io la Rai e ordinerei: per oggi i nostri spot non passateli, che è meglio.

mercoledì 25 marzo 2009

S'è ripresa

La radio, intendevo, dopo mezza giornata di bizze.

Interruptus

Per me il professor Antiseri era una realtà quasi sovrannaturale, avendo studiato sul suo manuale di filosofia al liceo. Così, quando ieri l'ho visto a Ballarò che articolava un pensiero interrotto da Floris: "Professore, ce lo dice dopo la pubblicità", non ho resistito: ho spento la tv.

Le domande della vita#5

Ma quando si legge un libro di un autore straniero e lo si trova scritto davvero bene, quanto del merito deve andare al traduttore?

Ma cos'è questa crisi?

Non lo dico per amor di controcorrente, ma io alla crisi non ci credo. Non nel senso che non ci sia. E non nel senso che una diminuzione della produzione e dei fatturati non possa portare, alla lunga, a un peggioramento delle condizioni generali. Non credo alla crisi dipinta dai politici e, a cascata, dai media avvizziti e pigri. Non credo alla crisi della quarta settimana, alla spesa alimentare che cambia "perché non ce la si fa più" e a tutte le indicazioni che ci fanno credere che solo da qualche mese siamo vicini al precipizio mentre prima eravamo tanti Adami e tante Eve che non avevano ancora mangiato la mela. Non credo alla crisi perché se il precipizio c'è allora noi ci balliamo vicino da anni, da decenni anzi. O no. La crisi c'è. Ma c'è per chi perde il lavoro e/o è costretto alla cassa integrazione. In questi casi sì che devi rimodulare i consumi, affidarti agli ammortizzatori sociali costituiti da genitori, nonni, zii e chi più ne ha più ne metta visto che lo stato, alla faccia del welfare e dei relativi ministri, ti dà ben poco per campare dignitosamente. Ma qualcuno deve spiegarmi cos'è cambiato per un impiegato pubblico o uno privato o per un precario, o per commercianti e professionisti se, come dice Bankitalia, il reddito delle famiglie è rimasto lo stesso dal 2000 al 2006. Ecco, appunto: se il precipizio c'è, noi ci balliamo da anni a pochi centimetri. Solo l'altroieri, nel 2005, i prezzi delle case erano alle stelle eppure il 61% delle famiglie italiane (delle famiglie dico, non degli individui) tirava avanti con meno di 2311 euro al mese; il 50% addirittura con meno di 1.800. C'erano tutti 'sti titoli sulla crisi? Non mi pare. Oggi se ti capita il pdf di un giornale a portata di pc e fai una ricerca digitando la parola "crisi" rischi di ottenere una decina di risultati. I problemi ci sono, eccome, ma c'erano già. Solo che politici, media e i vari maestri di pensiero non ce lo dicevano e così facevamo finta di non accorgerci di nulla. Nell'agosto 2008, quando la crisi era conclamata, i mutui variabili erano al loro massimo, per un pieno di carburante si spendevano diversi euro in più rispetto a oggi e le bollette di gas ed energia avevano raggiunto l'apice. La crisi era conclamata, ed era originata di là dall'oceano proprio dai mutui insolventi le cui rate continuavano a spennare, di qua, chi si stava pagando la casa. Ma ancora non c'era. O era una crisetta, o era reversibile. Poi è diventata grave: e giù licenziamenti, giù casse integrazioni e giù mancati rinnovi di contratti ai precari strutturalmente appesi a un filo. Viene da riflettere insomma, su questa crisi per anni sotto al tappeto che in un baleno diventa la questione. Viene da riflettere sulla nevrastenia dei tempi e sulla mancanza di ragionare in profondità che può portarci alla malora. Viene da riflettere sulla messa al bando di qualsiasi pensiero che non sia quello della corrente maggioritaria, anche se questa sbaglia in maniera marchiana. E viene da riflettere sulle ricette messe in campo (è così che dicono i giornalisti bravi, no?) anche oggi, che ci dicono ci troviamo nell'occhio del ciclone. Misure che denotano quanto pericolosamente continuiamo a muoverci vicino al precipizio. Per di più convinti di allontanarcene. Fino alla prossima crisi, quando quello che per anni non sarà stato un titolo di giornale, un argomento di discussione, un oggetto di una norma di legge, diventerà la questione. E l'affronteremo così come oggi, in maniera avvizzita e pigra, senza risolvere nulla, solo rimandando.

lunedì 16 marzo 2009

Fattore X (reprise)

Poiché sto notando che molti cultori di rock non l'hanno ancora saggiato, mi permetto di consigliare l'ascolto di Il paese è reale (il cd intendo), che vale molto più dei dieci euro scarsi che servono per farselo spedire dalla Fnac. Eccolo il rock italiano, perdonate l'accesso intollerante, altro che X Factor.

Fattore X

Non sono attendibile perché ho un pregiudizio nei confronti dei palinsesti televisivi e non sono un grande consumatore di programmi tv, quindi neanche in grado di criticarli. E' che però da più parti, non comunicanti tra loro e quindi non influenzate a vicenda, di sinistra, più o meno critiche con i modelli preponderanti dalle nostre parti e amanti del buon rock, anche indipendente, mi si parla positivamente di X Factor. Io davanti alla tv che trasmetteva quel programma ho anche provato a mettermici e confesso di non aver durato più di una trentina di minuti scarsi. Ma come dicevo non sono in grado di criticare, perché appunto non conosco. Ci sono però un paio di cose che stonano nei pareri lusinghieri che la gente che descrivevo prima dà di X Factor: il fatto che lo si consideri un programma buono perché dà spazio a giovani talenti e perché, è il ritornello, rispetto a quello che si vede normalmente, questa è una cosa sicuramente migliore. Ora, sul secondo aspetto, cioè sulla logica del meno peggio non starò a dilungarmi se non per dire che la considero uno dei mali del nostro tempo. Sul primo aspetto ho da dire di più. Perché accettare che un "giovane talento" debba passare attraverso la tv per fare successo è una di quelle cose che non stanno né in cielo né in terra. E non lo dico perché sono pregiudizialmente contrario alla tv generalista così com'è oggi. Riflettete: dagli U2 agli Afterhours, quale bisogno della tv hanno mai avuto i gruppi per - come si dice - sfondare? Il rock è, oserei dire ontologicamente, un fenomeno di strada, da locale buio con birra in mano, da giornale specializzato, da passaparola, da compilation regalata da un amico, amica, fidanzato, fidanzata, dal chitarrista del tuo gruppo; da chilometri fatti su furgoni sbrindellati. Il rock è una cosa nata per spingerti a uscire di casa o semmai a rintanartici con le cuffie in testa per isolarti volontariamente in momenti di particolare paranoia, non per stare davanti alla tv. E poi, per un artista, il passaggio televisivo è semmai un punto d'arrivo. Ecco perché non capisco come chi si è inebriato di concerti in centri sociali, pub piccoli e sudati, parchi e campi in terra battuta possa amare, o semplicemente considerare godibile e/o positivo, X Factor.

lunedì 9 marzo 2009

Su coraggio

Che poi chissà cosa c'è dietro il rifiuto di De Bortoli all'inutile presidenza della Rai. Però, il fatto che oggi in Italia c'è chi dice no a una poltrona tanto prestigiosa quanto effimera e pilotata infonde coraggio.