mercoledì 26 aprile 2017

Pornografici

Non ne so abbastanza di come andassero le cose secoli fa. Quindi questo è un post più dubbioso che mai. Però credo che Dante, per dire, sia arrivato fino a noi non tanto perché scrisse roba che funzionava, ma perché le cose che ha composto spaccavano. Vale più o meno la stessa per Tocqueville, Omero (ammesso che sia esistito), Marx, Bakunin, Smith, Zola, e aggiungeteci i classici che più vi piacciono. Vale anche per i Beatles e i Doors, i Pink Floyd e i Rolling Stones; vale, credo, anche per Sartre, Camus e Orwell (anche qui, aggiungeteci chi vi pare). Vale cioè anche per un primo periodo in cui sono cominciati ad affiorare e intersecarsi nel settore della cultura, inteso nel senso più ampio possibile, termini come mercato e pubblico. Cioè: forse sbaglio, ma mi pare che fino a un certo punto ogni epoca abbia trasmesso ai posteri il meglio della sua produzione.
Il punto è: cosa resterà di noi? Il timore è che l'accoppiata mercato-pubblico stia producendo mostri, già da un po'. Voglio dire che il rischio, che è più di un rischio, è che rimanga quello che oggi è acclamato dal pubblico. Gli storici mi diranno, forse, che è sempre stato così. Che anche se le categorie mercato e pubblico (e marketing spintonon esistevano, in qualche modo quella che è stata trasmessa nel futuro è stata sempre la produzione più commerciale di un determinato periodo. Io conservo i miei dubbi. E noto che la nostra epoca, accanto a quelle di Roth e Garcia Marquez, rischia di essere ricordata per produzioni assai meno profonde. Noto come soprattutto, il combinato disposto mercato-pubblico-marketing, rischia di imporre non solo a noi, ma anche a chi verrà dopo di noi, chi oggi funziona e vende. Così, si rischia che il futuro sia più di Mika che di Nick Cave, o più di Moccia che dei Wu Ming; più di Fedez che di Edda, o Paolo Benvegnù, o Cristina Donà, o Gianni Maroccolo. Più dei Backstreet Boys che dei Sigur Ros. Sarebbe l'ennesina stortura procurata dal mercato. Forse una delle peggiori, perché destinata a protrarsi nel tempo. E a dipingerci come non eravamo. A meno di non voler considerare migliore la roba che funziona meglio. Perché allora in quel caso, la pornografia non la batte nessuno.

domenica 5 marzo 2017

I buoni e i cattivi

Vedo persone che seguo e stimo prendere eccessivamente sul serio, almeno dal mio punto di vista, la diatriba tra Grillo e Renzi sul papà di quest'ultimo. Mi pare cioè che la loro lettura del carteggio via blog tra i due, non tenga conto del fatto che Grillo e Renzi si sono scritti sapendo che milioni di persone e tg e giornali avrebbero letto e commentato le loro considerazioni. Si commentano e si analizzano i due scritti come se si trattasse di una cosa privata, genuina. Come se Grillo avesse fatto davvero un'entrata a gamba tesa nell'insondabile e sacro rapporto padre-figlio, o come se fosse stato il primo a farlo nella storia politica di questo paese, e come se Renzi avesse risposto da figlio colpito nel suo nucleo più intimo. E invece post e contropost sono stati prodotti all'interno di una battaglia politica. E la battaglia politica, a quei livelli lì, ha molto a che fare con la fiction.

Le persone che seguo e stimo, stupendomi, attribuiscono i ruoli del cattivo e del buono alcuni a Grillo, altri a Renzi, trascurando completamente che i due stanno solo interpretando la loro parte in commedia, cercando di sfruttare al meglio le circostanze per spostare il pubblico a loro favore. Grillo, al solito, nel ruolo di “cane che abbaia ma non morde” (la definizione è ispirata al ruolo di “diversivo” che i Wu Ming e Giuliano Santoro hanno attribuito al M5S) sfrutta la difficoltà del suo principale avversario politico e ci si tuffa col consueto linguaggio iper aggressivo che gli ha fruttato e frutterà milioni di voti. Renzi approfitta a sua volta della situazione (dopo averne già approfittato in occasione dell'invocazione della famosa "pena doppia" per suo padre) tentando di uscire dall'angolo con un colpo da maestro, giocando sull'universalità del rapporto padre-figlio, portando il pubblico a immedesimarsi con il protagonista ferito nei suoi valori più profondi: colpiscono mio padre per colpire me, anzi, di più: colpiscono il rapporto tra me figlio e mio padre. Giocando su una situazione in cui possono proiettarsi tutti i padri (e madri) e in tutti i figli (e figlie).

Ma non ci sono buoni né cattivi, in questa fiction. Ci sono personaggi che interpretano ruoli. E analizzarne i comportamenti come se fossero quelli messi in atto nella vita reale è un po' come credere che Lee Van Cleef era davvero cattivo, invece sappiamo che il ruolo del cattivo lo interpretava soltanto.


mercoledì 25 gennaio 2017

Scivolare giù

C'è un particolare, nella vicenda Trump, in cui si ritrova il senso di scivolamento verso il basso: come avviene, chi lo accompagna, cosa provoca.

Durante la campagna elettorale per le presidenziali degli Stati Uniti, un discreto numero di opinion makers (editorialisti, analisti, imprenditori, politici) che non erano formalmente schierati col candidato repubblicano (anche perché veniva dato per perdente), hanno invitato a derubricare i suoi messaggi politici su donne, migranti, ambiente come altrettante gaffe: non si può giudicare un candidato per una frase, seppure infelice, veniva detto.

Successivamente alla sua elezione, nel periodo in cui Trump non era ancora operativo, alle perplessità di chi vedeva dei pericoli nel suo programma che di lì a poco sarebbe stato attuato, si è risposto, da parte degli stessi opinion makers, di stare tranquilli e distinguere, perché il Trump presidente sarebbe stato ben diverso dal Trump candidato. Una presunta lezione di realpolitik di chi la sa lunga, con la quale, di passaggio, si dava del bugiardo a Trump e si conferiva alla menzogna acchiappa-consensi lo status di standard in politica.

In entrambe le fasi, si ignorava e si invitava a ignorare la sostanza dei messaggi del futuro presidente. Il corollario era che chi si allarmava per le cose dette da Trump era da considerare a scelta: a) estremista; b) incapace di decriptare il linguaggio politico; c) antidemocratico perché non accettava il responso di elezioni democratiche.

Oggi Trump è presidente e comincia ad attuare quel programma che nelle illustrazioni degli opinion makers avrebbe dovuto essere fuffa acchiappa-voti, e lo scivolamento verso il basso è in atto. È verso il basso perché Trump non apre orizzonti ma ci costruisce muri davanti, chiude l'umanità in compartimenti stagni, evoca il perenne ritorno indietro e in tutto quello che dice e fa c'è un senso di difesa che gioca sul disagio di larghe fasce di popolazione non per trasformarlo in riscatto, bensì per assecondare e alimentare il livore che è carburante prezioso per la sua corsa politica.

Trump ha vinto non perché gli opnion makers di casa nostra gli hanno tirato la volata, è chiaro. Però la vicenda delle sue “gaffe” ci dice che lo scivolamento sta nel passare da parole così imbarazzanti da sembrare boutade a fatti conseguenti con quelle parole. Lo scivolamento è accompagnato da ineffabili opinion makers che dietro il paravento della moderazione e dell'accettazione della democrazia, sono più presi a condannare chi protesta rispetto a chi dice cose e prende decisioni che puntano a portare quasi tutti indietro a vantaggio di pochissimi. Lo scivolamento è quando sei costretto a ripartire da zero, o quasi, per spiegare che i migranti sono persone, non residuati di umanità; le donne sono vessate in gran parte del mondo e l'ambiente conviene a tutti preservarlo da appetiti devastanti.

lunedì 5 dicembre 2016

Due-tre cose che ho imparato la notte tra il 4 e il 5 dicembre

1) Ieri ha vinto la Costituzione. Presi come siamo dall'ansia di predire il futuro, in molti a urne ancora calde ci siamo ubriacati di scenari politologici parecchi dei quali per forza di cose privi di senso; altri hanno stappato bottiglie pensando di aver vinto loro; altri ancora hanno tentato di sfogare la rabbia della sconfitta. E abbiamo smarrito il senso di quello che è successo. La Costituzione, unico puntello, o quasi, che ha resistito e superato prime, seconde, quasi-terze repubbliche, strategie del terrore, tangentopoli, logge massoniche deviate e miserie di ogni tipo; la Costituzione, unico documento, o quasi, che ci ricorda che veniamo dalla lotta antifascista; la Costituzione, questa sorta di bibbia laica per un paese, ha mantenuto la sua sacralità, che essendo laica non significa intangibilità. Significa che la Costituzione, è materia viva e resiliente, significa che le radici sono salve un'altra volta. Anche se da domani ci sarà chi la Costituzione la ricomincerà a vilipendere. Anche se tra chi l'ha difesa nella campagna elettorale appena finita c'era gente che la disconosce nei fatti. Ma la Costituzione è più grande di tutto questo, l'ha dimostrato un'altra volta. Non è cosa da poco, e confonderla con il destino di qualcuno o anche di un governo, è dimostrato che è cosa insensata.

2) In una democrazia il potere è del popolo. Lo so, la frase è quasi tautologica. Lo sarebbe del tutto. Lo è “quasi” perché le democrazie non sono tutte uguali. Lo è “quasi” perché i poteri che annacquano quello del popolo possono essere, e sono, tanti. E lo è “quasi” soprattutto perché il popolo essendo tante cose anche diversissime tra loro, ha un potere diffuso che si disperde e perde la sua forza. Però ieri sera, nel vedere i politici appesi in attesa del risultato delle urne, parafrasando Giovanni Lindo Ferretti ho percepito quel particolare netto tra il brusio indistinto. Erano loro, quelli dentro il Palazzo, a essere in ansia per quello che il popolo stava sentenziando. Perché il destino di ciascuno di loro dipendeva dal voto. Se il popolo prendesse coscienza del suo potere, se smettesse di piagnucolare alibi contro la casta che dipende da lui, dal popolo, faremmo un passo avanti. Ma queste cose sono complesse, e per il momento ci si può accontentare di percepire particolari in chiaro tra indistinto brusio e metterlo a verbale.

3) Ho il sospetto che la Costituzione, essendo bibbia laica, sia protetta da una provvidenza altrettanto laica. Perché è vano illudersi che milioni siano andati a votare pensando alla Carta. Dentro la valanga di No c'è anche, grande, il malessere contro il governo per una situazione che rende tutti precari, che vede continui sacrifici di diritti sull'altare dei conti, cosa che non è altro che un modo per segare il pubblico e far fare più profitti ai privati. Si tratta di un malessere che si esprime in voti ovunque e sempre contro i governi in carica, da tempo. Qui ha assunto le forme di un No a una riforma voluta dal governo in carica, appunto. Se le forme della politica, se il popolo, non si riprenderanno il loro potere nei confronti di un'economia vorace, ne finiranno divorati. Ma anche in questo caso le cose sono troppo complesse per affrontarle qui, vale la pena però di metterle a verbale.

4) I partiti, tutti, che tentano di appropriarsi della vittoria del No perché avevano invitato a votare No fanno quasi tenerezza: non hanno capito che le cose sono molto più grandi di loro e di conseguenza pensano che li aspetti ora un pranzo di gala. L'erosione dei diritti è una piena che senza argini travolgerà tutti. Come mettere l'argine? Anche qui, questione complessa. Ma una cosa si può dire: l'unica forza che ha portato le ragioni di un popolo al governo ultimamente è stata Syriza, in Grecia. Una forza del tutto inedita. Una forza che ha preso i voti perché si mostrava “toccata” dalle condizioni del popolo greco e si mostrava “toccata” quando tentava soluzioni ancor prima di andare al governo. Una forza che costruiva welfare laddove altri lo distruggevano ancora prima di andare al governo, spendendosi di persona invece di logorarsi in inutili riunioni di vertice. Chiaro? Studiare quello che era Syriza prima che venisse strangolata dall'economia finanziarizzata che ha messo le fauci al sogno europeo potrebbe essere già un buon punto di partenza. Ma studiarla davvero, con umiltà, non scimmiottarla.

5) Renzi si è mostrato un politico pessimo, un abbaglio per un popolo che gli si era affidato in piena crisi di identità, un pericolo per il suo partito già deteriorato da tempo. Ha fatto, sempre, la politica voluta da Bruxelles fingendo in extremis di essere contro la burocrazia europea comandata dall'economia finanziarizzata, si è scavato la fossa da solo scegliendo lui una riforma pessima e chiedendo su di essa un voto di fiducia non al Parlamento, ma all'Italia tutta, non avendo capito minimamente l'aria che tirava. Ha fatto nel cuore della notte un discorso di dimissioni da capo del governo all'altezza della sua fama: tutto apparenza e di sostanza pessima. Ha indossato il sorriso, ha fatto lo sportivo, ma nella sostanza ha detto: ora vado via col pallone, che è mio, e voi se volete giocare sono affari vostri. Questo, in soldoni, è stato l'affondo rabbioso (al di là del sorrisino ruffiano a favore di telecamera, cosa che rende l'affondo ancora peggiore) quando ha affibbiato agli esponenti del No l'onere di fare loro la proposta di legge elettorale. Il fronte del No non era una coalizione che si candidava a governare l'Italia, questo lo si sa tutti, anche se molti fingono di ignorarlo. E lui rimane il segretario del maggior partito nonché il presidente del consiglio che ci ha portato fino qui. Un po' troppo per prendere il pallone e andare a casa arrabbiati perché hai preso gol. Gli rimangono addosso milioni di voti, sì. Ma anche una sconfitta grave, che non ha nulla a che vedere con quella di quando perse contro Bersani: lì era ancora un outsider di belle speranze, qui ha perso da capo del governo.

6) Mentana si dimostra il meno peggio in un panorama televisivo estenuante. Niente di che, in mezzo alle mosche anche un passerotto sembra un'aquila. Però, sentir tentare di ragionare alcuni giornalisti (per carità, il solito giro) da lui, e poi cambiare canale e vedere Fassina e la Carfagna, Fratoianni e Gasparri che si parlavano addosso come sempre, sì, l'ha fatto apparire un'aquila.