Caro manifesto, in una volta sola
compio due azioni che non faccio mai: scrivere di cose private, e per
di più farlo sulla bacheca facebook altrui. Ma ne vale la pena,
credo. Perché penso che nella sostanza la mia sia una vicenda
accomunabile a quella di tanti altri, fatti salvi i miliardi di
percorsi personali possibili. E forse sentirla ti può far bene in un
momento come quello che stai passando.
Ti ho preso in mano la prima volta che
erano gli anni ottanta. Ero un adolescente di provincia che voleva
fare il giornalista. Lo desideravo perché convinto che far sapere
alle persone cose che normalmente vengono taciute fosse un modo per
cambiare il mondo in meglio. Sei diventato, stavo per dire il mio
giornale. Invece sei stato molto di più. Dai miei genitori
privatamente e da te pubblicamente ho imparato (credo fosse un
editorale di Luigi Pintor all'indomani di una delle tante sconfitte
elettorali) che quando le cose vanno male la prima azione che devi
fare è domandarti dove stai sbagliando. Attraverso te ho saputo che
il senso dell'utopia è spostare l'orizzonte avanti e tentare di
raggiungerlo, e quindi camminare. Attraverso Pintor ho capito che un
articolo si può sempre asciugare, e ne guadagna. E ricordo ancora
quando la mia prima lettura mattutina era il mattinale di Norma
Rangeri. Mi sono innamorato e nutrito degli affreschi sociali delle
cronache delle manifestazioni che faceva Pierluigi Sullo, della
lucidità di Rossana Rossanda e Ida Dominijanni; ho fatto tesoro
degli inviti alla lettura di Benedetto Vecchi e della capacità di
analisi di Marco D'Eramo, godo ancora con Jena-Barenghi, giusto per
dirti i primi tra i tanti che mi vengono in mente. Sei stato per anni
un compagno con cui andavo d'accordo su quasi tutto. Mi hai insegnato
la libertà, il valore del dissenso, altro che socialismo reale
(pensa: tu che volevi uscire dall'orbita sovietica e ancora ti dici
comunista e gli altri che c'erano rimasti dentro e hanno cambiato tre
volte nome!). Ma non ho mai conosciuto personalmente i tuoi
giornalisti benché li ammirassi incondizionatamente. Troppo grandi
per me, pensavo anche quando li ho avuti a portata di mano. E dire
che volevo fare il giornalista da te. Nel frattempo giornalista lo sono
diventato. Anche grazie alla cassetta degli attrezzi di cui tu
inconsapevolmente mi hai fatto dono, che va bene anche per la
provincia nella quale sono rimasto. Nel tempo sono venuto trovando
diversi punti di disaccordo con te e da parecchio ormai, ovviamente,
non sei più l'unico quotidiano che leggo. Ma, questo voglio dirti,
anche se non mi appari più come il “genitore” che eri, continuo
a trarre da te spunti introvabili altrove. E, mi perdonino i colleghi
che li fanno e i lettori che li comprano, non c'è un giornale come
te: libero e dunque credibile. Perché sono libere le persone che ti
fanno. Perché ti fanno e ne detengono la proprietà
contemporaneamente, questo è il punto. Non so come si metteranno le
cose per te. Ovviamente spero il meglio. Ho scritto queste righe
perché tu sappia quanto vali. E non posso ovviamente dire al
collettivo di smetterla di litigare. Anzi: discutete, liberi. Però
fate in modo che la vostra esperienza continui. Sapendo che in molti
saranno ben contenti di darvi una mano. E non vi perdonerebbero se le
vostre divisioni mettessero a repentaglio una voce come non ce ne
sono. E, se sparite, non ce ne saranno.
Ciao, buona vita
2 commenti:
Non so bene perchè ma io mi sono quasi commosso....
Su fb, dove è circolata parecchio grazie al manifesto che l'ha linkata, hanno fatto lo stesso commento in tanti. Questo siamo.
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