mercoledì 20 febbraio 2013
La psicanalisi delle tasse
Siamo così suggestionabili, abituati alle monodimensioni e spaventati dagli spazi aperti che a forza di non usarlo ci si sta atrofizzando il cervello. Non ci aiuta certo una delle campagne elettorali più surreali degli ultimi anni. Però questa storia delle tasse è roba da psicanalisi. E' del tutto normale che ci sia chi predica tagli ai servizi e privatizzazioni massicce per finanziare abbassamenti delle aliquote Irpef allo scopo di far restare nelle tasche di chi ce l'ha più soldi possibile. Così chi detiene somme le spende e alimenta la crescita, dicono. Non fa una piega. L'irragionevolezza sta nel fatto che non c'è una, dicasi una forza politica, e non c'è un elettore (almeno di quelli che conosco io) che sostenga invece il contrario. Che cioè quello che ha bisogno di essere finanziato non è l'abbassamento delle aliquote Irpef, ma servizi di qualità almeno al livello della media dei paesi più avanzati d'Europa; diritto allo studio (gratis), a curarsi (gratis), alla maternità e alla paternità; sussidi di disoccupazione per chi viene licenziato e reddito di cittadinanza per chi non ha lavoro; trasporto pubblico degno di nome e competitivo con l'auto privata, città più vivibili e meno claustrofobiche (il che vuol dire investire per formare, e poi retribuire, architetti che vengano impiegati per disegnare strade e piazze, non solo divani). Per fare queste e molte altre cose, che solo la tanto vituperata mano pubblica è in grado di mettere in agenda, servono soldi. Tanti. Che lo stato può certamente ottenere anche tagliando i troppi sprechi che corruzione e incapacità ci hanno lasciato in eredità. Ma che possono arrivare altresì solo dalle tasse. Allora, non può certo stupire che ci sia ci venga abbacinato dalla teoria del "meno tasse più ricchezza" anche se magari ha così poco reddito che pure se glielo lasciassero tutto nelle tasche sarebbe comunque costretto a mangiare patate e cipolle. Quello che lascia di stucco è che non c'è gente che vorrebbe vivere in un paese più somigliante, che so?, alla Danimarca. Dove c'è la pressione fiscale più alta d'Europa (48,6%), ma dove ci sono asili, scuole, ospedali, treni, città, gestione dei rifiuti e sostegni per chi è in difficoltà da fare invidia al mondo. E dove il capo del governo è una donna di 46 anni alla quale non risulta abbiano mai chiesto se viene e quante volte, l'età media dei ministri è di 45 anni e il dicastero per l'uguaglianza ecclesiastica è stato affidato a un 46enne indiano. E dove i 23 ministri il giorno del giuramento si sono presentati in bicicletta. Sembra un altro mondo, eppure esiste. Possibile che a nessuno piacerebbe organizzarsi per viverci, anche se si pagano più tasse che da noi?
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