È miracoloso, don Gallo, perché ricorda a un mondo sfrenatamente distratto dal banale che la vita pulsa dappertutto: in un tossico stremato e nella prostituta sul marciapiede, nel disoccupato con bocche da sfamare e nel migrante che rischia di affogare per sfuggire alla miseria. E che anzi è per quella vita più pesantemente messa alla prova che vale la pena di agire per metterla in grado di sbocciare. Perché gli altri ce la fanno da sé, spesso proprio sulle spalle dei reietti.
Ed è miracoloso che questo suo viaggiare in direzione ostinata e contraria, questo suo stare in minoranza, lungi dal penalizzarlo l'abbia reso pop nel senso più bello che può avere quella parola cui spesso, a ragione, si attribuisce un significato negativo. Lui rende normale, meglio: principesco, stare dalla parte in cui nessuno, o pochissimi, e in genere percepiti dai più come sfigati, scelgono di stare.
È uno specchio magico, don Gallo. Un po' come il suo concittadino De Andrè. Uno specchio in cui guardandoci ci sentiamo meglio. Perché piacendoci persone tanto straordinarie, ci piaciamo un po' di più anche noi. O ci dispiaciamo un po' meno.
Ed è miracoloso, don Gallo, infine, perché l'alibi dello specchio magico svanisce un attimo dopo. Quando la sua figura ti costringe a chiederti se stai facendo tutto il possibile perché le tue convinzioni "pubbliche" innervino il tuo agire privato. Se la voglia di giustizia anima la tua azione o se è confinata solo alle tue parole. Se anche tu non nutri pregiudizi nascosti, perché automatici, verso i reietti. Don Gallo ti costringe a chiederti se ti stai spendendo bene, perché credere ai miracoli è un alibi. I miracoli non esistono: si costruiscono.
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