giovedì 28 ottobre 2021

Novecentisti e no

Dunque: l’articolo pubblicato da Cronache Umbre su piazza Birago, Zerocalcare, PopUp e la fine del Novecento (che ci ho messo io) ha suscitato cose. Qui nel mio profilo e altrove. Questa doveva essere una risposta a delle sollecitazioni, in origine, e doveva andare a finire in risposta a dei commenti fatti in questa bacheca facebook. Poi sono andato lungo, e allora ho pensato di farci un post, del tutto inadeguato qui su facebook, e forse inadeguato tout court, infatti per l’occasione ho rispolverato anche il mio blogghettino d’antan. Ciao Elvio, e a questo punto, ciao Giovanni e tutti gli altri che mi guardano come un marziano, quando non con antipatia, quando scrivo certe cose. Anche io mi sono formato nel XX secolo e mi trovo oggi a tollerarla, la fluidità dentro cui non sono nato. Nel senso che quando dico che il Novecento è finito, il mio non è un moto di gioia, ma neanche di abbattimento. È piuttosto un invito che rivolgo a me stesso e a chi ha tempo e voglia di leggere a guardare la realtà con lenti da adeguare, se si viene dal Novecento. Perché, se ci guardiamo attorno, cosa accade? Che gli over 50-60 osservano, parlano e ragionano come se fossimo ancora negli anni ottanta del secolo scorso. Da qui deriva quello che mi è capitato di definire il “lamentismo dei reduci”. Gli under 40-50 invece - e man mano che l’età si fa più giovane il fenomeno diventa più marcato - che non hanno vissuto l’esperienza dei “partitoni” e della politica che gli girava attorno (anche quella dei movimenti, per molti versi), prendono strade diverse, che della realtà novecentesca non tengono conto perché: 1) quella realtà non esiste più; 2) di ciò che ne resta loro (gli under 40) hanno assaporato la coda inerziale e più deteriore.

In questo quadro gli over si vedono smarriti perché la realtà non si adegua alle loro lenti e gli under, condannati al precariato che è diventato esistenziale, tentano di battere strade a loro più congeniali se e quando gli rimane il tempo per guardarsi attorno dopo essersi sbattuti tra lavoretti e collaborazioni pagati in maniera indecente.

Tutto questo contribuisce a una divaricazione e a una incomunicabilità che non sono adeguatamente rappresentate, secondo me, ma sono verticali. A certi appuntamenti trovi solo over, ad altri solo under. E occhio, non è la solita questione giovani vs. vecchi: stiamo parlando sia per ciò che riguarda gli under che gli over di persone adulte. Gli over inseguono i bei tempi andati e non trovando coincidenza con la realtà sbattono contro la frustrazione; gli under ci provano, si sbattono, a volte riescono, la maggior parte si trovano davanti porte chiuse derivanti anche dalla ottusità degli over, e a loro volta si fanno prendere dalla frustrazione.

La piazza piena di sabato scorso davanti a PopUp per l’incontro con Zerocalcare e Chiara Cruciati è una metafora di questa situazione – e una speranza – perché in essa si è rappresentata la contemporaneità: i partiti-ectoplasmi-fini-a-se-stessi fuori, le persone autorganizzate dentro (perdonate la semplificazione). C’è insomma “voglia di politica” (chiedo ancora scusa per la retorica insulsa dovuta alla necessità di non allungare troppo il brodo) che si esprime in modi del tutto differenti dal Novecento. Il fatto che tranne eccezioni il personale politico sia composto da over, e quando è under assume le fattezze degli over, testimonierà pur qualcosa. Oggi un under piuttosto che entrare in un partito mette in piedi un’associazione, fa mutuo soccorso, fonda una cooperativa per aprire un cinema, fa riqualificazione urbana, apre una libreria indipendente, prova a scrivere da qualche parte (sto citando tutte cose che accadono a Perugia). In questo senso dico che il Novecento è finito: l’anelito alla trasformazione non passa più per i partiti attuali, che dire inadeguati, e pure dannosi, è poco.

I partiti, dite tu e Giovanni e altri, però; senza partiti non è immaginabile la politica, la trasformazione, dite. Non sono d’accordo: non vedere una cosa, non riuscire a immaginarla, non significa che non possa esistere. E della trasformazione in atto ci sono dei segnali, che non volendo rubare il mestiere ai politologi mi permetto di segnalare.

Le novità più macroscopiche di questi ultimi anni a livello europeo (parlo per quel poco e male che conosco) sono state Podemos in Spagna, Syriza in Grecia e il M5S in Italia. In tutti e tre i casi (diversi tra loro) abbiamo davanti forme lontanissime dai partiti tradizionali. Podemos è un’organizzazione trainata da un gruppo di docenti universitari attivi da anni che ha trovato il suo catalizzatore nel movimento di protesta degli Indignados che ha scosso la Spagna nel 2011. Il M5S nasce sulla base di istanze ambientaliste radicali, prende la forma dei meet-up ed è intriso di una critica verticale ai partiti tradizionali. Syriza è una confederazione di piccole formazioni radicali che a un certo punto della crisi in Grecia trasforma le sedi di partito in centri di mutualismo con distribuzione di farmaci e alimenti. Tutte quelle formazioni hanno conosciuto un momento di successo, in molti vi hanno guardato con interesse; tutte hanno le loro contraddizioni, tutte agiscono e/o hanno agito tenendosi lontanissime dalle liturgie novecentesche. Che voglio dire? Che si tratta di tentativi di uscita dal Novecento, imperfetti ovviamente, che però ci dicono, a me pare, che le forme sono già cambiate, e i Novecentisti non se ne rendono conto.

PS: il guaio è che la voce degli over, ancorché fuori tempo, è pressoché l’unica che si sente: sono gli over che scrivono nei giornali, che vanno nei talk show e che fanno politica in senso tradizionale; sono gli over che parlano degli over e se parlano degli under lo fanno con un misto di paternalismo e incomprensione. E questo contribuisce ad acuire la distorsione con cui gran parte dell’opinione pubblica guarda alla realtà.

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