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giovedì 28 ottobre 2021

Novecentisti e no

Dunque: l’articolo pubblicato da Cronache Umbre su piazza Birago, Zerocalcare, PopUp e la fine del Novecento (che ci ho messo io) ha suscitato cose. Qui nel mio profilo e altrove. Questa doveva essere una risposta a delle sollecitazioni, in origine, e doveva andare a finire in risposta a dei commenti fatti in questa bacheca facebook. Poi sono andato lungo, e allora ho pensato di farci un post, del tutto inadeguato qui su facebook, e forse inadeguato tout court, infatti per l’occasione ho rispolverato anche il mio blogghettino d’antan.

venerdì 17 ottobre 2014

Odi et amo

Avrei voluto stare a Terni, stamattina. Ma non ho potuto. Però ho avuto la fortuna di poter essere non troppo lontano e non superare il limite di distanza che mi ha consentito di seguire la diretta della manifestazione da una radio locale.

Conosco piuttosto bene la città nella quale sono nato e cresciuto, anche se non ci vivo da decenni. Ne sono intriso, come chiunque ne è del posto dove ha pianto per la prima volta. Così non mi hanno stupito la valanga di persone in strada, i negozi chiusi dei commercianti solidali con gli operai. A sorprendermi stavolta sono state le voci rotte dall'emozione che ho ascoltato in radio e che ho rivisto poi nei tg dell'ora di pranzo. Le persone che iniziavano a parlare e non ce la facevano a finire e si allontanavano con la mano a coprire la bocca. Come succede ai funerali. Tante. Come è difficile vederne e ascoltarne a manifestazioni del genere.

Erano le voci di chi sa anche se non ha studiato. Di chi le cose non le vive sulla pelle ma ce le ha proprio dentro. Di chi ha avuto i nonni costretti alla fabbrica anche con la febbre quando ancora la “malattia” non era pagata e al lavoro c'andavi pure malandato sennò perdevi “la giornata”. E adesso ha i fratelli con la lettera «che te ne devi anna'» che incombe sulla testa.

Avrei voluto stare a Terni, stamattina. Anche se l'ho detestata quando da adolescente eravamo così pochi in strada la sera che la polizia ci chiedeva regolarmente i documenti e ci faceva incazzare. Anche se la musica non arrivava e per ascoltare i dischi che ti interessavano dovevi aspettare che qualcuno andasse a Roma a prenderli. Anche se non c'erano locali in cui suonare e in cui ascoltare qualcuno che suonasse.

Avrei voluto stare a Terni, stamattina. E oggi la ringrazio. Per le mancanze che mi ha dato da colmare. Per le scarpe buone che mi ha dato per camminare. E per avere le cose dentro, non solo sulla pelle.

mercoledì 20 febbraio 2013

La psicanalisi delle tasse

Siamo così suggestionabili, abituati alle monodimensioni e spaventati dagli spazi aperti che a forza di non usarlo ci si sta atrofizzando il cervello. Non ci aiuta certo una delle campagne elettorali più surreali degli ultimi anni. Però questa storia delle tasse è roba da psicanalisi. E' del tutto normale che ci sia chi predica tagli ai servizi e privatizzazioni massicce per finanziare abbassamenti delle aliquote Irpef allo scopo di far restare nelle tasche di chi ce l'ha più soldi possibile. Così chi detiene somme le spende e alimenta la crescita, dicono. Non fa una piega. L'irragionevolezza sta nel fatto che non c'è una, dicasi una forza politica, e non c'è un elettore (almeno di quelli che conosco io) che sostenga invece il contrario. Che cioè quello che ha bisogno di essere finanziato non è l'abbassamento delle aliquote Irpef, ma servizi di qualità almeno al livello della media dei paesi più avanzati d'Europa; diritto allo studio (gratis), a curarsi (gratis), alla maternità e alla paternità; sussidi di disoccupazione per chi viene licenziato e reddito di cittadinanza per chi non ha lavoro; trasporto pubblico degno di nome e competitivo con l'auto privata, città più vivibili e meno claustrofobiche (il che vuol dire investire per formare, e poi retribuire, architetti che vengano impiegati per disegnare strade e piazze, non solo divani). Per fare queste e molte altre cose, che solo la tanto vituperata mano pubblica è in grado di mettere in agenda, servono soldi. Tanti. Che lo stato può certamente ottenere anche tagliando i troppi sprechi che corruzione e incapacità ci hanno lasciato in eredità. Ma che possono arrivare altresì solo dalle tasse. Allora, non può certo stupire che ci sia ci venga abbacinato dalla teoria del "meno tasse più ricchezza" anche se magari ha così poco reddito che pure se glielo lasciassero tutto nelle tasche sarebbe comunque costretto a mangiare patate e cipolle. Quello che lascia di stucco è che non c'è gente che vorrebbe vivere in un paese più somigliante, che so?, alla Danimarca. Dove c'è la pressione fiscale più alta d'Europa (48,6%), ma dove ci sono asili, scuole, ospedali, treni, città, gestione dei rifiuti e sostegni per chi è in difficoltà da fare invidia al mondo. E dove il capo del governo è una donna di 46 anni alla quale non risulta abbiano mai chiesto se viene e quante volte, l'età media dei ministri è di 45 anni e il dicastero per l'uguaglianza ecclesiastica è stato affidato a un 46enne indiano. E dove i 23 ministri il giorno del giuramento si sono presentati in bicicletta. Sembra un altro mondo, eppure esiste. Possibile che a nessuno piacerebbe organizzarsi per viverci, anche se si pagano più tasse che da noi?

mercoledì 17 febbraio 2010

Non solo plastica

Non condivido il giudizio sulla presunta bontà della notizia da cui prende le mosse (Sade prima nelle vendite su iTunes in Italia, Inghilterra e Stati uniti), perché non credo che sia solo dalle vendite che si possa giudicare la musica. Però è vero quello che sostiene Luca Sofri qui: eravamo giovani e forse (anzi, sicuramente) un po' fessi, negli anni Ottanta. Eppure ne siamo usciti vivi. Perché vivevamo dei vent'anni che avevamo. Forse come generazione ci stiamo ancora sotto e per dirla con Agnelli, vivi non ne siamo usciti. Ma individualmente siamo cresciuti bene; conosco diversi esemplari in grado di suffragare questa mia tesi. Personalmente non ascoltavo Gazebo e Howard Jones, e piuttosto che Style Council, Everything but the girl e Working Week, citerei Alarm, Cult e Big Country tra i preferiti. Ma questi sono dettagli, perché il succo è che "gli anni Ottanta sono stati meravigliosi, per noi. Ci siamo divertiti. Siamo cresciuti. Abbiamo imparato un sacco di cose. E sentivamo pacchi di musica", anche se intorno tutto cominciava a diventare di plastica.

lunedì 27 aprile 2009

Un dubbio

E' stato un fine settimana denso. E non ho letto i giornali nazionali. Mi dicono stamattina di Scalfari che ieri su Repubblica ha fatto un fondo sul Berlusconi in salsa 25 aprile. Penso: sì, è una notizia, da quando è "sceso in campo", si è tenuto sempre alla larga dalle telecamere il giorno della Liberazione. Poi ripenso: se non me n'è fregato nulla a me, che pure un minimo d'interesse per queste cose lo conservo, figuriamoci ai più distratti dei suoi elettori, che magari mescolano 25 aprile, I° maggio e 2 giugno. Poi ri-ripenso: ma alla fine, se c'è andato o non c'è andato, che cosa ha detto e che cosa ha omesso, quanto e cosa cambia? Voglio dire: ma siamo così sicuri che giornali, blog e mezzi di comunicazione vari parlino di cose che interessano davvero i milioni di persone che vivono, lavorano, si sbattono là fuori, poi tornano a casa la sera e si spaparanzano davanti al primo reality che passa il convento? Ci sfiora mai il dubbio che ce la cantiamo e ce la suoniamo in un cortiletto che collochiamo presuntuosamente al centro del mondo? Sì, lo so che a seguire questa via si rischia di diventare populisti e tendenzialmente qualunquisti. Conosco bene, o almeno, credo di conoscere, il valore e il potenziale delle nicchie. A patto che le nicchie tendano ad allargarsi, però. E poi, sempre meglio farsi sfiorare dal dubbio che tenersene alla larga, no?

lunedì 16 marzo 2009

Fattore X

Non sono attendibile perché ho un pregiudizio nei confronti dei palinsesti televisivi e non sono un grande consumatore di programmi tv, quindi neanche in grado di criticarli. E' che però da più parti, non comunicanti tra loro e quindi non influenzate a vicenda, di sinistra, più o meno critiche con i modelli preponderanti dalle nostre parti e amanti del buon rock, anche indipendente, mi si parla positivamente di X Factor. Io davanti alla tv che trasmetteva quel programma ho anche provato a mettermici e confesso di non aver durato più di una trentina di minuti scarsi. Ma come dicevo non sono in grado di criticare, perché appunto non conosco. Ci sono però un paio di cose che stonano nei pareri lusinghieri che la gente che descrivevo prima dà di X Factor: il fatto che lo si consideri un programma buono perché dà spazio a giovani talenti e perché, è il ritornello, rispetto a quello che si vede normalmente, questa è una cosa sicuramente migliore. Ora, sul secondo aspetto, cioè sulla logica del meno peggio non starò a dilungarmi se non per dire che la considero uno dei mali del nostro tempo. Sul primo aspetto ho da dire di più. Perché accettare che un "giovane talento" debba passare attraverso la tv per fare successo è una di quelle cose che non stanno né in cielo né in terra. E non lo dico perché sono pregiudizialmente contrario alla tv generalista così com'è oggi. Riflettete: dagli U2 agli Afterhours, quale bisogno della tv hanno mai avuto i gruppi per - come si dice - sfondare? Il rock è, oserei dire ontologicamente, un fenomeno di strada, da locale buio con birra in mano, da giornale specializzato, da passaparola, da compilation regalata da un amico, amica, fidanzato, fidanzata, dal chitarrista del tuo gruppo; da chilometri fatti su furgoni sbrindellati. Il rock è una cosa nata per spingerti a uscire di casa o semmai a rintanartici con le cuffie in testa per isolarti volontariamente in momenti di particolare paranoia, non per stare davanti alla tv. E poi, per un artista, il passaggio televisivo è semmai un punto d'arrivo. Ecco perché non capisco come chi si è inebriato di concerti in centri sociali, pub piccoli e sudati, parchi e campi in terra battuta possa amare, o semplicemente considerare godibile e/o positivo, X Factor.

mercoledì 26 novembre 2008

Tu chiamala se vuoi rivoluzione

Ammetto di stare per scrivere di una cosa che non conosco: mi sono sintonizzato sul canale che trasmetteva l'Isola dei famosi un numero di volte non più alto di quello delle dita di una mano e quando l'ho fatto ci sono rimasto il tempo utile a trovare il pulsante sul telecomando per cambiare. Niente snobismo: è che, a meno che non abbia voglia di obnubilarmi la mente parcheggiando momentaneamente il cervello, le trasmissioni in cui si scatenano artatamente liti e/o lo spettatore è messo nelle condizioni di sentirsi come se potesse liberamente guardare dal buco della serratura m'interessano poco. Tanto che, visto il successo che riscuotono e la mia contestuale idiosincrasia, sto pensando seriamente di cercare qualche libro utile a capirne le ragioni, poiché credo seriamente che ci sia qualcosa che mi sfugge. Se quindi parlo dell'Isola (è così che la definiscono gli aficionados, mi sembra) è solo perché Luxuria ha vinto l'edizione appena chiusa. Ecco, io ho nutrito perplessità quando Rifondazione decise di far eleggere Luxuria in parlamento. Perché avevo il sospetto che si trattasse di una scorciatoia per affrontare temi pure importanti. Poi mi sono ricreduto perché Luxuria, che non conoscevo, l'ho sentita parlare e ragionare; bene, dal mio punto di vista. E sono giunto alla conclusione che Luxuria non era stata scelta solo come un simbolo ma come un cervello ragionante. Per questo quando ha deciso di andare all'Isola dei famosi, se fossi stato Di Pietro avrei detto: e che c'azzecca? Poi Luxuria all'Isola dei famosi ha addirittura vinto. E ieri, la prima tentazione dopo aver constatato che Liberazione considerava la vittoria come una sorta di segno della rivoluzione imminente (se non addirittura già avvenuta), ho avuto una prima tentazione di scrivere un post sarcastico. Poi mi sono fermato: i cambiamenti passano anche da cose come questa, mi sono detto tra mille dubbi. Oggi poi ho letto Norma Rangeri sul manifesto:
La povera Luxuria è entrata nello show come un volantino stampato ("parlerò dei problemi sociali e politici"), e ne è uscita come una donnetta da ballatoio. Il massimo della popolarità lo ha infatti raggiunto con la spiata di un flirt tra una bella argentina (Belen Rodriguez) e un rubacuori del jet-set (Rossano Rubicondi), marito di Ivana Trump. "Vi siete baciati", svela Luxuria. "Dici questo perché sei invidiosa di me che sono una donna vera", ribatte Belen. Altro che "rottura del tabù dell'eterosessualità", come scrive Liberazione. Semmai l'incoronazione della reginetta del pettegolezzo nazionale, l'apoteosi del meccanismo conformista che spinge la macchina della televisione nazionale. Viceversa dovremmo sostenere che Cristiano Malgioglio o Platinette sono i portabandiere della libertà sessuale, il Costanzo show la barricata della rivoluzione di genere e il Billionaire di Briatore l'avanguardia dell'emancipazione femminile.
E poi, sempre sul manifesto, ho visto la vignetta di Vauro. Prima di leggere Rangeri non conoscevo neanche l'esistenza di Rodriguez, Rubicondi e Trump (oddio come sono passato) ma le cose, pur nel disordine, sono tornate al loro posto.
Liberazione, il manifesto



martedì 28 ottobre 2008

Ecco, diglielo tu

Avete presente quando uno comincia ad irritarsi davanti alla tv perché vede imbastire dei servizioni di finto approfondimento giornalistico intorno a quella banalità del ritorno del '68 in occasione di una protesta studentesca? Ecco, per fortuna poi c'è la ragazza dell'86 che spiega al cronista di turno: "Certo che lo conosco il '68, ma lì la protesta era contro un certo tipo di società, mentre noi siamo contro un decreto legge e basta".

giovedì 28 febbraio 2008

Compa'

Io vi conosco. O forse no. Vi conosco come si conosce sé stessi, quindi poco, tutto sommato. Però vi conosco anche come si conoscono gli altri che siete diventati nel frattempo per me. Non eccessivamente altro. Ma quanto basta per vedere difetti e tic che da troppo vicino non riesci a scorgere. Un po' come quando ti guardi in fotografia e ti sorprendi di scoprirti diverso dall'immagine che ti rende lo specchio tutte le mattine, hai presente? No, non è come pensate, non ho messo su la pancia del commendatore. Anzi. Sono decisamente più in forma di quando mi capitava di abbuffarmi alle cene sociali che mi piacciono tuttora ma che ho sempre meno occasione di frequentare. Vi conosco. Quel tanto che basta per avercela con voi. Perché so quanta cultura, quanto pensiero critico, quanta attenzione vera a chi non riesce a soddisfare i propri bisogni, quanta passione autentica, quanta politica davvero altra ci sono nelle cose che fate. Perché alcuni dei luoghi che contro (quasi) tutto e tutti vi ostinate a tenere aperti rappresentano tra le officine culturali più laboriose e avanzate che questo paese possiede. Perché senza di voi le città sarebbero più grigie. Perché senza di voi ad aprire la pista, alcuni temi che magari dopo qualche anno diventano di pubblico dominio non si toccherebbero mai. Perché disobbedire è il primo passo per modificare le cose e voi disobbedite. Perché il vostro anticonformismo è ossigeno sociale. Fino a quando non non lo consumate tutto compiacendovi di rimanere da soli dentro le vostre stanze. Fino a quando disobbedire diventa l'unico passo che siete in grado di muovere. Ecco perché ce l'ho con voi. Perché riuscite come pochi a disperdere un patrimonio rifiutandovi di contaminarlo con qualcosa di buono che pure fuori di voi esiste. Questo post forse non sarebbe nato se l'altro giorno non avessi ricevuto una telefonata a metà: diretta al professionista che sono e proveniente dalle conoscenze maturate quando vi frequentavo. L'obiettivo era darmi la notizia che nella regione nella quale lavoro "ci sarà il simbolo della falce e martello" (il virgolettato è una citazione). E giù contro Rifondazione che rinuncia a bla bla bla. E giù contro i trotskisti - detentori dell'altra falceemartello - che sono settari. Ma come? E il movimento dei movimenti? E le belle parole sulla contaminazione tra diversi? Ecco, in molti, troppi forse, siete fatti così. E di questo passo finirete soli, davanti allo specchio. Anzi in parte lo siete già. Senza neanche qualcuno a fianco che vi possa metter davanti la vostra fotografia, così da vedere particolari che presi dalla routine di tutti i giorni non si scorgono. Soli. Contro tutto ciò che si muove appena fuori dalle vostre coordinate. Soli. Con le verità rigide da contestare ma solo quando non sono le vostre, che non vi rendete neanche conto di quanto le consideriate immodificabili. Con il vostro conformismo speculare a quello di chi contestate. E con il furore, indispensabile per mettere in piedi quello che costruite, ma ostacolo per parlare anche a chi potrebbe ascoltarvi, se solo usaste le parole giuste e foste più disponibili a compromettervi.

martedì 27 febbraio 2007

Così, per dire

Conosco una persona che ha fatto da un anno la richiesta di permesso di soggiorno e deve ancora ricevere risposta.