Come rispondere all’offensiva dell’Isis arrivato ormai a pochi
chilometri dall’Italia? Se ne è parlato all’ultimo Eurogruppo, che si è
aperto con l’approvazione – al termine di un durissimo scontro tra il
ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e il suo omologo
lituano – di un ferreo programma di dieta per i due cani da compagnia
del primo ministro della repubblica ex socialista, il cui smodato
consumo di cibo, secondo il governo tedesco, potrebbe mettere in
pericolo i conti dell’Unione.
Dopo il chiarimento ottenuto dal ministro dell’Economia bulgaro – cui
è stato spiegato che la ripetizione Is-is viene adoperata per non
discriminare Alfano, che in genere alla prima volta non capisce mai – si
è passati al vaglio delle proposte.
Bocciata l’idea di far volare sopra le zone della Libia occupate dai
miliziani dello stato islamico, aerei per distribuire volantini con la
traduzione in arabo degli insulti che Gasparri indirizza a chi lo
contraddice su Twitter. «Mi risulta che ci ridano già gli utenti
italiani – ha detto un funzionario francese – figuratevi voi i
tagliagole dell’Isis». Anche la delegazione tedesca si è schierata per
il «no» alla proposta dopo aver sottolineato comunque che la Grecia
resta sotto osservazione.
È stata apprezzata, ma giudicata di difficile applicazione, la
proposta di schierare al largo della Sicilia un sistema di
amplificazione che sparasse a tutto volume e in loop una canzone dei
Modà a caso. «Un respingente di sicura efficacia, ma una provocazione
troppo grande», l’ha definita Schäuble, indicando il rischio che in quel
caso i terroristi potrebbero rispondere con le bombe e ribadendo che
secondo fonti dell’intelligence tedesca, Tsipras da ragazzo fosse solito
cibarsi di bambini.
Sono stati analizzati anche i pro e i contro di inviare Brunetta come
mediatore. Dalla sua il capogruppo dei deputati di Forza Italia ha la
tenacia con cui difende le posizioni: è stato ricordato di quando in
gioventù fu visto per ore nei pressi di un palo della luce tentando di
convincere il manufatto che se ci fosse stato il comunismo avremmo
ancora utilizzato le candele e per i lampioni non ci sarebbe stato un
futuro. Di Brunetta sono però note anche le asperità del carattere, che
non ne fanno un buon mediatore: da piccolo ad esempio si era creato un
amico immaginario solo allo scopo di litigarci. E poi, ha aggiunto un
alto funzionario del ministero delle Finanze tedesco, «Atene deve
comunque rispettare gli impegni».
È stato poi chiesto alla delegazione italiana se il premier Renzi
fosse disponibile a creare un hashtag beneaugurante, sul tipo di
#enricostaisereno, da rivolgere agli islamici. La proposta è stata
bocciata a maggioranza dopo che il ministro rumeno ha fatto notare il
danno d’immagine nel caso in cui gli islamici, che non sono creduloni
come gli italiani, rispondessero #vifacciamounculocosì. «E poi secondo
me Varoufakis è frocio», ha sentenziato un cugino acquisito di Angela
Merkel che si era imbucato alla riunione.
Non è passata neanche l’idea di bombardare la Libia mediante le tv
via satellite con la diretta no stop dell’“Isola dei famosi”. «Anche se
le immagini sono eloquenti – ha fatto notare il primo ministro irlandese
– c’è il problema della lingua, gli islamici non capirebbero mai il
livello di abiezione che siamo in grado di raggiungere». «Già. E
comunque sul programma di riforme della Grecia non cederemo», ha
concluso il cognato di Schäuble che si trovava a passare da Bruxelles.
La riunione era arrivata a un punto di stallo quando dal cilindro è
uscito finalmente il coniglio che un autista della delegazione spagnola,
dimagrito di venticinque chili in seguito al programma di austerità
approvato da Lisbona, stava per azzannare, non avendo capito la
metafora. «Mandiamo in Libia gli emissari della Troika – ha detto il
ministro Padoan imbeccato da Renzi via Skype – e sottoponiamo lo stato
islamico a un programma di riforme per abbattere il debito pubblico.
Siamo 28 Paesi in Europa e da noi ha funzionato dappertutto, tranne in
Grecia. Ma lì neanche si vota, quindi non corriamo neanche quel
rischio». L’approvazione è stata all’unanimità. «Li ridurremo come i
portoghesi e gli italiani», ha concluso Franz Sturmundrang, lavapiatti
della delegazione tedesca con contratto a progetto.
martedì 24 febbraio 2015
lunedì 26 gennaio 2015
Syriza
Syriza ha vinto, viva Syriza. Ma Syriza
ha assai poco a che vedere con quello che succede da noi. È bene
saperlo. Syriza non è un'accozzaglia di nomi, sigle, personalismi
vari e comparsate a “Porta a porta” per parlarsi intorno
all'ombelico. Syriza è un animale strano, mai visto da queste parti.
Assomiglia più a un centro sociale decente che a un partito. Avete
mai visto da noi, in Italia, Sel o Rifondazione (il Pd lasciamolo
perdere per definizione) che trasformano una delle loro sedi in mensa
popolare?, li avete mai visti partecipare alla creazione di
ambulatori in cui medici volontari offrono gratuitamente lo loro
professione per curare chi ha perso il diritto alla sanità
pubblica?, li avete mai visti organizzare una raccolta di farmaci?
No, quella è roba da volontariato, in Italia, che non c'entra nulla
con la politica (in Italia). E che anzi la politica della nostra sinistra radicale guarda spesso dall'alto in basso.
Invece la radicalità di Syriza deriva
da qui. È poggiata saldamente sul fare. Per questo Syriza è
credibile al punto di arrivare a governare un paese dopo aver vinto
le elezioni. Quelli che oggi si sentono rinfrancati dal successo di
Syriza sappiano che se c'è una via d'uscita questa passa per il
fare. Cosa che loro non hanno mai praticato negli ultimi decenni.
Quelli che invece ridono sotto i baffi,
quelli che guardano a Syriza come a una botta di folclore, quelli che
pensano irrealizzabile quello che Syriza vuole; i più realisti del
re, insomma, riflettano sul fatto che quel partito non è Tsipras che
dice cose (sacrosante), ma ha ricevuto il mandato di milioni di
persone affamate dalla cura della troyka (che avrebbe dovuto
salvarli: si consultino i dati economici della Grecia prima e dopo
l'intervento europeo) per invertire quella rotta. Si chiamerebbe
democrazia, a meno che non la si voglia trasformare mettendola sotto
la tutela di quattro ragionieri al servizio di eminenze grigie che ci
stanno facendo dannare l'anima. A noi che l'abbiamo fatto i greci
stanno dicendo che no, a loro non sta bene.
mercoledì 7 gennaio 2015
Su Charlie Hebdo
Non è un commento a mente fredda. Invidio chi ce l'ha in questo momento. È un modo per tentare di onorare la memoria di chi è morto. E quando quello che è morto lo stimavi parecchio, la cosa è più difficile e rischia di sfuggirti di mano. Però, pesando le parole - perché chi muore così non può essere sacrificato una seconda volta sull'altare della polemica da bar - qualcosa si può dire.
Ad esempio che uno dei modi migliori per onorare la memoria di chi praticava la libertà è continuare a praticarla; o cominciare, laddove non lo si fosse mai fatto: non è mai troppo tardi. Guardare la realtà sempre da un angolo diverso da quello da cui il potere (qualunque sia il potere) vuole che la guardiamo; giornalisti, impiegati, commessi o disoccupati che siamo. Tentare di tenere sempre a mente che il mondo lo spingono avanti quelli che preferiscono "morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio", come ha riassunto Charb, il direttore di Charlie Hebdo; quelli che s'inginocchiano perché pensano di stare più comodi, al massimo il mondo lo conservano, quando non lo peggiorano. Tenere in considerazione che praticare la libertà è difficilissimo, spesso anche se non si ha un fucile puntato contro, ma che questo non è un alibi per non cercare vie d'uscita.
Così non solo onoreremmo la memoria dei morti oggi. Costruiremmo le premesse per arginare quelli che vogliono zittire gli altri con la forza, li costringeremmo ad articolare pensieri che sfuggano al codice binario ("sì", "no"); a qualsiasi latitudine si trovano, qualsiasi religione professano o dicono di professare.
Ad esempio che uno dei modi migliori per onorare la memoria di chi praticava la libertà è continuare a praticarla; o cominciare, laddove non lo si fosse mai fatto: non è mai troppo tardi. Guardare la realtà sempre da un angolo diverso da quello da cui il potere (qualunque sia il potere) vuole che la guardiamo; giornalisti, impiegati, commessi o disoccupati che siamo. Tentare di tenere sempre a mente che il mondo lo spingono avanti quelli che preferiscono "morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio", come ha riassunto Charb, il direttore di Charlie Hebdo; quelli che s'inginocchiano perché pensano di stare più comodi, al massimo il mondo lo conservano, quando non lo peggiorano. Tenere in considerazione che praticare la libertà è difficilissimo, spesso anche se non si ha un fucile puntato contro, ma che questo non è un alibi per non cercare vie d'uscita.
Così non solo onoreremmo la memoria dei morti oggi. Costruiremmo le premesse per arginare quelli che vogliono zittire gli altri con la forza, li costringeremmo ad articolare pensieri che sfuggano al codice binario ("sì", "no"); a qualsiasi latitudine si trovano, qualsiasi religione professano o dicono di professare.
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