martedì 20 maggio 2008
domenica 18 maggio 2008
Sì, vabbè
sabato 17 maggio 2008
Mah, ehm, bah, ah sì?
venerdì 16 maggio 2008
Cambia rotta, cambia stile
Wikipedia, Madamimadam, Leonardo.it
Perdere la bussola
Repubblica, Corriere, il manifesto
sabato 10 maggio 2008
Aiuto
Il futuro è adesso
Repubblica, Crave
giovedì 8 maggio 2008
Due possibilità
mercoledì 7 maggio 2008
Definizione
De Mauro Paravia
Io lo sapevo che non ero solo
Pesi e misure
martedì 6 maggio 2008
If
La Stampa
C'è il sole
venerdì 2 maggio 2008
La croce sopra (post scandaloso)
lunedì 28 aprile 2008
The niro
The niro
sabato 26 aprile 2008
Tipi
1) Il pessimista apocalittico: si sta seriamente convincendo di essere condannato a essere minoranza a vita e medita l'esilio volontario.
2) Il pragmatico: "Guardate, vanno bene i principi ma sai che vi dico: dovremmo essere un po' più paraculi e fare un po' più di demagogia anche noi, soprattutto quando ci troviamo al governo".
3) L'ottimista: vede ampi margini di manovra perché al di là del voto è convinto che comunque sotto sotto la gente non è contentissima di quello che ha e potrebbe essere quindi permeabile al cambiamento a patto che la sinistra si rinnovi radicalmente.
4) Il pessimista integrato (assomiglia molto da vicino al titolare del blog): pensa che la batosta sia di proporzioni storiche perché ha radici profondissime e non sa proprio che fare ma ritiene che la vita va comunque avanti e che le cose cambiano anche quando meno te lo aspetti, chissà.
Non c'era il rancoroso a prescindere confinante con l'antipolitica e similqualunquista. Ma ho detto che si tratta di persone che innalzano il livello medio di gradevolezza del mondo, appunto.
Dalla culla alla tomba (nota biografica)
Shine a light
mercoledì 23 aprile 2008
Una di quelle
No future
Il punto dal quale è probabilmente più opportuno partire è l'appiattimento progressivo della dimensione del futuro e le conseguenze devastanti che tutto ciò ha avuto per chi politicamente si propone un orizzonte di modifica dello stato di cose presenti. I componenti della gioiosa "macchina da guerra" che nel 1994 cozzò contro l'allora Polo delle libertà si dettero il nome di "Progressisti". Ancora, la campagna elettorale di Veltroni è stata tutta proiettata nel futuro: "cambiate pagina", "mettiamoci alle spalle questi ultimi 14 anni". Sono stati questi i motivi dominanti. Bertinotti addirittura, esortava a votare Sinistra arcobaleno per fare un "investimento per il futuro". Ma è proprio storicamente che la sinistra si è presentata come il futuro, come il miglioramento delle condizioni presenti. E il futuro è stato visto per generazioni, almeno per tutto il Novecento, come un tempo che sarebbe stato migliore del presente e sul quale conveniva investire, appunto. Ora non è più così. Questa cosa di Massimo Gramellini scritta sulla Stampa e linkata da questo blog l'ultimo giorno dell'anno scorso aiuta molto a capire cosa il futuro è diventato per noi occidentali: non più un orizzonte aperto ma una sorta di imbuto in cui si intruppano le paure e i contorcimenti di una civiltà che bada di gran lunga più alla difesa dell'acquisito che alla realizzazione di altro. Ciò accade in parte per la raggiunta saturazione di beni materiali spesso inutili e dannosi (inutensili, come li chiama uno dei protagonisti di "Guerra agli umani"). Ma anche e soprattutto per la scomparsa dall'immaginario collettivo di un qualsiasi anelito a un’esperienza diversa da quella del produci-consuma-crepa (perdonate la semplificazione, ma almeno ci si capisce). Fenomeni questi, in cui si è innestato quel frullatore chiamato globalizzazione di cui le pasciute società occidentali beneficiano materialmente per molti versi, ma che repellono quando vengono messi a repentaglio confini (geografici e non solo) che si vorrebbero immutabili. Mancanza di futuro e paure, rendono il presente e ciò che lo caratterizza come l'età dell'oro da difendere con le unghie e con i denti e contro chiunque. Si allentano i vincoli di solidarietà: non è affatto verosimile che
Se il futuro è una dimensione che più che attrarre incute timore e se la difesa è la sola politica che conta, il presente diventa l’unica dimensione di vita. Avendo smarrito la prospettiva lunga, le decisioni devono essere prese qui e ora, senza discussioni percepite come inutili e dannose. Non ci sono i problemi, risolubili con strategie di ampio respiro, esistono solo le emergenze da stroncare, costi quel che costi, con un’efficienza che viene misurata solo con la categoria del tempo e quasi mai della profondità. Perciò occorre semplificare e ridurre possibilmente ai minimi termini qualità e quantità del dibattito. Anche in questo scenario siamo in un mare ostico per chi è nato storicamente per dare voce alle moltitudini ed è quasi ontologicamente contrario alla voce unica del decisore, divenuta invece una sorta di feticcio delle democrazie.
A tutto ciò, si aggiunge quel trionfo della moltitudine di cui si è parlato qui e che è quindi pleonastico ribadire.
Questi sono parte dei problemi che potrebbero spiegare il tracollo di una parte politica. Che fare per adeguare strumenti al fine di coronare la strategia di chi dovrebbe avere come stelle polari l’allargamento della partecipazione consapevole, l’inclusione, l’orizzontalità piuttosto che la verticalità? E’ questa la domanda a cui al momento non si scorge nessuno in grado di dare risposte convincenti. Di certo, l’ultima cosa da fare è quella predicata da qualche opinionista di grido: quella di seguire, assecondandola, una maggioranza che muore di paura se s’imbatte in un campo rom ma si volta dall’altra parte – tanto per fare due esempi a caso - se gli si racconta che i metodi di coltivazione convenzionali stanno pericolosamente impoverendo il patrimonio genetico della Terra o che comperare acqua, per di più imbottigliata in vuoti rigorosamente a perdere, è un atto autolesionista. E però, non assecondarla, la maggioranza, non vuol dire non considerarla o, peggio, snobbarla. Anche se farci i conti, per di più nel mare che si ha attorno, è di una fatica tremenda.
La Stampa, Wu ming foundation, Bollati Boringhieri