martedì 7 luglio 2009

Grazie

Io lo sapevo che qualche persona di buona volontà l'avrebbe fatto. C'ero anch'io lì sotto a godere della sublime e del tutto improvvisata chiusura di un concerto notevolissimo. Ma io godevo e basta, altri riprendevano e poi avrebbero messo in rete. Grazie.

lunedì 6 luglio 2009

Un altro mondo

In rete non trovo il video ma se andate qui parte in automatico quello che, se un altro mondo fosse possibile, sarebbe il tormentone dell'estate.

lunedì 29 giugno 2009

Se la mettiamo così

Michael Jackson era affetto dalla malattia dei visionari e degli artisti, era un rivoluzionario delle forme estetiche e musicali, renitente all'età adulta. (...) La sua metamorfosi continua era un'opera d'arte totale, l'aspirazione a essere tutti e nessuno, né nero, né maschio né adulto. Un "corpo senza organi" secondo Artaud, creatura cangiante in cui ognuno può specchiarsi. (...) Lo abbiamo visto, stralunato, raccontare nel documentario di Martin Bashir del suo grande letto dove si affollavano molti ragazzini per sentire le sue storie, e con i quali scambiava "giochi proibiti", erotismo adolescenziale (nessuna violenza) che gli valse l'accusa di pedofilia. (...) E quando nel giugno del 2005 il tribunale di Santa Maria lo assolse dall'accusa di pedofilia, nessuno gli era accanto, soltanto i fans, accorsi da ogni angolo della terra.
Mariuccia Ciotta, il manifesto 27/06/09, pagina 3
Silvio Berlusconi era affetto dalla malattia dei visionari e degli artisti, era un rivoluzionario delle forme estetiche e politiche, renitente alle costrizioni delle regole. (...) La sua metamorfosi continua era un'opera d'arte totale, l'aspirazione a essere tutti e nessuno: imprenditore, operaio, politico, latin lover. Un "corpo senza età" secondo Giuliano Ferrara, creatura cangiante in cui ognuno può specchiarsi. (...) Lo abbiamo visto, stralunato, raccontare nel documentario di Carlo Rossella del suo grande letto dove si affollavano molte escort per sentire le sue barzellette, e con le quali scambiava effusioni (nessuna violenza) che rischiò di valergli l'accusa di induzione alla prostituzione. (...) E quando nel giugno 2023 il tribunale lo assolse perché i reati ipotizzati erano prescritti, nessuno gli era accanto, soltanto gli elettori di sempre, accorsi da ogni angolo d'Italia".
wizzo, chissacosa, 29/06/09

giovedì 25 giugno 2009

Jihad

So poco dell'Iran e anche della storia di quel paese; quello che si riesce a sapere dai giornali e null'altro. In questi giorni ho ripreso in mano un libro edito in Italia nel 2006 da Pisani e pubblicato l'anno prima negli Usa (occhio alle date), Lipstick Jihad, di Azadeh Moaveni, che ha poco più di trent'anni, è nata e cresciuta in California da genitori iraniani e si è poi trasferita per alcuni anni nel paese d'origine dei suoi, esperienza da cui è nato il libro. Questi sono alcuni passi dell'introduzione, scritta appunto nel 2005, che aiutano a capire come cammina la storia:
"I giovani iraniani stanno trasformando il paese dal basso. Dagli attivisti religiosi, ai consumatori di ecstasy, dai blogger agli studenti universitari che passano da un letto all'altro, saranno loro a determinare il futuro dell'Iran. (...) Quei ragazzi sceglievano di comportarsi 'come se' fosse permesso tenersi per mano in strada, sparare la musica a tutto volume alle feste, esprimere la propria opinione, sfidare l'autorità, prendere la propria droga preferita, farsi crescere i capelli lunghi e mettersi troppo rossetto. Grazie a loro ho appreso come penetrare il mistero dell'Iran - niente sembra percettibilmente mutare, mentre invece tutto cambia. (...) Oggi (...) mentre frugo tra i vestiti, sollevando velo dopo velo, è come osservare gli anelli di un tronco d'albero per raccontare la sua evoluzione. Gli strati più esterni sono una patina di colori, toni contrastanti di turchese e rosa spumeggiante (...) sono i colori della vita in tessuti che respirano. Sotto, scavando nella profondità, ci sono veli scuri e opachi, vesti lunghe e informi nei toni funerari del nero e del blu. Questo è ciò che indossavamo nel 1998. Il Parlamento non ha mai ufficialmente ammesso il colore. (...) Le giovani donne lo hanno fatto da sole, in massa, un lento, deliberato, diffuso atto di sfida. Un jihad, nel senso classico del termine: una lotta".

lunedì 22 giugno 2009

Tristezza cosmica (lo scambista)

Ci sono due riscontri, diciamo così, oggettivi, e una considerazione più soggettiva e assai più opinabile intorno alla fase discendente della parabola imboccata da B., che rischia di essere fulminante quanto l'ascesa. Partiamo dai due dati di fatto: il primo è una di quelle coincidenze che se fosse stata ideata per la sceneggiatura di un film e corroborata da un montaggio all'altezza, avrebbe fatto la fortuna del regista. Il secondo è molto più terreno e desolante.
1) Nelle ore in cui negli Stati Uniti si contano i voti che porteranno alla storica elezione del primo presidente nero di quel paese, in Italia il presidente del consiglio fa accomodare una escort nel letto grande di una delle camere della sua residenza (qui la documentazione fotografica emersa fino ad oggi della serata).
2) Alla cena in cui i riflettori si sono puntati sull'invito di B. alla D'Addario ad aspettarlo nel letto grande, invito che ha oscurato tutto il resto, era presente, con un ruolo pare non di secondo piano, uno che è indagato per mazzette nella sanità. Ora, può essere che quell'inchiesta non fosse ancora stata attivata al momento della cena del 4 novembre scorso, giorno dell'invito nel letto grande. E può anche essere che Giampy Tarantini uscirà da quella vicenda più pulito di prima. Sta di fatto che è emerso che uno che è indagato per mazzette nella sanità intrattiene con il presidente del Consiglio rapporti strettissimi, tanto da avere porte spalancate alla sua residenza e da cenarci insieme in un incontro nient'affatto ufficiale, men che mai obbligato.
Rilevato ciò, continuo a rimanere di sasso quando sento gente scandalizzata perché "un presidente del Consiglio deve dare l'esempio" ed evidentemente ritiene che B. non ne fornisca uno all'altezza o, peggio, perché B. è uso a festini che non incrociano il gusto di chi lo giudica. Un presidente del Consiglio deve governare e si sottopone per questo al vaglio del voto, non deve dare esempi. E francamente io mi guarderei dal prenderne da certa gente. Detto ciò, condivido un po' dello stupore per la misura raggiunta da B. Perché dal mio punto di vista di persona normale, credevo che lui fosse al di sopra della qualità, dell'immaginario, delle fantasie che vengono spacciati, solleticati, indotti dalle sue tv. Ho sempre pensato: "Guarda che furbo, fa passare come la svolta della vita il successo effimero e fatuo in tv, ci fa sopra soldi a palate e lui maneggia il potere vero". Invece le donnine di cui si è andato contornando e che cominciano a parlare fotografano di B. un'immagine che è tutta dentro l'orizzonte da Truman show offerto dalle sue tv. Un luogo in cui si vive rigorosamente in superficie, dove si comprano non solo i favori sessuali di gente cui potresti fare da nonno, ma anche la loro compagnia; in cui paghi per avere una platea disposta a sentire le tue barzellette e il tuo cantare. Un luogo in cui sei come dio finché i soldi fanno il loro effetto - come il tossicodipendente sta bene finché la sostanza gli circola nel sangue. Poi, finito l'effetto dei soldi, bruciati i diecimila euro che hai regalato, evasa o inevasa la pratica edilizia che dovevi sbloccare, torni il nulla che eri prima. Un luogo insomma, in cui sei solo in quanto hai. Decenni di successi negli affari, di successi in politica non hanno costruito niente insomma intorno a B.: rimane un poveretto e quello che gli è rimasto - questo pare da quanto emerge - è stato solo in grado di comprarselo, mai di conquistarlo senza dare contropartite in cambio. E' una vita di scambio, quella del povero B.: vieni a cena con me non per il gusto di stare con me ma perché ti pago, come nella più classica delle compravendite; ti invito a cena non perché amo stare con te ma perché poi so che ti accomoderi nel letto grande senza fare troppe storie in vista di un qualche tipo di ricompensa. La ricompensa è sempre esterna, insomma, non è mai nel gusto di starci con le persone di cui ti contorni. La logica degli affari si sovrappone a quella della vita. Ora, che questa tristezza cosmica riguardi un ultrasettantenne miliardario, può stare nelle cose della vita. Il problema, con B., è nel suo essere stato sulla scena pubblica con tanta pesantezza da aver plasmato almeno in parte, anche attraverso i media che possiede, le fantasie, gli immaginari, le aspettative del suo elettorato e non solo, tanto da diventare un fenomeno metapolitico. Ora, lui è rimasto in mutande. Ma il teatro di posa con il set del Truman show è ancora lì, saldo nelle fondamenta, densamente popolato e con gente sta in fila fuori per entrarci. Le persone normali, che vivono davvero e non limitano le loro attività alla compravendita ma sono rimaste infatuate da B. e dal suo Truman show in cui la vita è una ricerca di scorciatoie, avranno una scossa di resipiscenza? Non vi dico qual è la risposta che darei io, sennò v'intristisco ulteriormente.

venerdì 12 giugno 2009

All togheter

So che la rete è il trionfo del just in time, ma ieri l'ho trascorso a tentare di far volare un aquilone insieme a mia figlia, così linko solo oggi l'intervista di Bertinotti pubblicata ieri dalla Stampa perché secondo me lui vola più alto, ma muove dalle stesse esigenze da cui è nato questo post.

giovedì 11 giugno 2009

Lo spirito dei tempi

Mariuccia Ciotta sul manifesto:
"Questa idea della politica lontana dalla gente nasconde un'altra verità. La società sta con la Lega, che il territorio l'ha battuto palmo a palmo, sta con la xenofobia e la difesa del proprio recinto di interessi. (...) Dov'è il soggetto del cambiamento? La vita non è altrove. E, a guardare l'Europa vincente, è facile vedere le barricate erette intorno al continente, dal basso verso l'alto, dall'ultimo paese agli stati centrali. L'Europa contro il resto del mondo, localismo, autarchia, difesa dei privilegi. (...) Dunque, più che dare ascolto a questa società impaurita e conservatrice, sarebbe meglio trovare il coraggio di forzarne le barriere mentali, prefigurare un altro mondo che tenga conto delle trasformazioni materiali ed emozionali. L'innamoramento per l'America di Obama sta in questa visione oltre confine, nella sua lingua mista".

mercoledì 10 giugno 2009

Come si cambia

Dirò cose scontate in questo post. Cose che avete già letto negli ultimi quindici anni chissà quante volte. Ma a me è la prima volta che mi capita di pensarle. Le dirò a spanne, niente di definitivo per carità. Ma ne sono sorpreso perché se mi avessero detto solo qualche tempo fa che un giorno le avrei scritte, avrei dato del pazzo a chi l'avesse fatto. Anche perché anni e anni fa cominciai un percorso attivo, accidentato e quasi subito tornato passivo nell'ambito di quella che si chiamerebbe sinistra radicale, attaccando di notte manifesti abusivi sui muri della mia città per convincere a dire no al referendum che avrebbe aperto al maggioritario. Persi, come quasi tutte le volte in vita mia quando c'è la politica di mezzo. Pensavo che attribuire la maggioranza assoluta a chi rappresenta una minoranza fosse una ferita alla democrazia. Lo penso tuttora. Ritenevo che privilegiare la governabilità a scapito della dialettica fosse un segno - negativo - dei tempi. Lo ritengo tuttora. Pensavo che costringere diversi in uno stesso schieramento fosse una forzatura priva di senso. In parte non lo penso più. E' per questo che nonostante solo un mese fa fossi convinto che il referendum del 21 fosse da far saltare e nonostante ogni volta che vedo Mariotto Segni - sarà una sorta di riflesso pavloviano - mi scopro a dire "maaa daaai" dentro di me, da un paio di giorni mi rimbalza tra le tempie un'idea: perché opporsi a un'Italia bipartitica, non bipolare, quando di fatto il nostro è già un paese diviso in due, politicamente parlando. Mi rendo conto di essere giunto a una conclusione del genere principalmente perché, stando dalla parte al di qua di B., noto con crescente disappunto l'atavica tendenza a farsi del male dividendosi nel peggiore dei modi, a spaccare il capello in quattro. Che è un segno di vitalità e di intelligenza, sia chiaro. Ma che se ti riduce all'inazione, alla sconfitta permanente, o, peggio, a pensare che attorno al tuo ombelico giri l'intero pianeta, allora diventa roba da psicanalista. Ho votato alle ultime elezioni per un partito che ha superato a stento il 3 per cento. Ma l'altra sera ho letto i risultati essendo interessato a come fossero andati tutti quelli al di qua di B., anche se per alcuni provo una sincera antipatia politica. Allora, mi sono detto, perché continuare con quest'inutile tiritera del partitone che lascia sempre un po' scontenti e dei cespuglietti intorno tuffandosi nei quali ognuno cerca di trovare uno specchio con la sua identità riflessa? Due bei partitoni con possibilità di dare la preferenza, ecco quello che ci vorrebbe. Così all'interno, domenica scorsa, io avrei trovato il mio Vendola, altri i loro dipietri, dalemi, ferreri, franceschini e via cetopolitichizzando. Lo so che è un sistema che non c'è al mondo e che il bipartitismo prevede una scheda con due nomi sopra tra i quali scegliere. Ma se si volesse, sono convinto che la soluzione la si troverebbe. Lo so che i sistemi elettorali sono un escamotage per evitare il cuore del problema, che sono le idee che mancano o di cui si ha paura. E so anche che se hai idee forti, riesci a imporle e a farti vedere e votare a prescindere dal come si vota. Infatti ribadisco: non si tratta di cose definitive ma di pensieri ad alta voce. La discussione, se volete, anche se mi rendo conto che nella vita ci sono cose decisamente più appassionanti, è aperta.

martedì 9 giugno 2009

Dieci domande

Gra-mel-li-ni.

Microbi e giganti

L'editoriale di Rossana Rossanda sul manifesto di oggi è assai lucido e meriterebbe di essere letto tutto. Ne cito un paio di brani tornando di fatto sul post di ieri, un po' perché mi aiuta a esplicitarlo e un po' per narcisismo provincialotto, ché non è da tutti i giorni vedere un monumento del giornalismo scrivere cose che tu, microbo, hai parzialmente anticipato senza sapere che avrebbero coinciso con le sue.

"E' certo che gli uomini di Fini non si sono dati troppo da fare per il Cavaliere: se lavorano, lavorano per il loro capo che si sta volenterosamente fabbricando un'immagine di destra presentabile. (...) A Pd, Rifondazione e Sinistra e libertà suggeriamo di mandare i loro dirigenti in congedo al più presto. E se in mezzo a loro ci sono - e sappiamo che ci sono - persone serie e ragionevoli, chiediamo al più presto che riflettano su come correggere i problemi che il 2009 sbandiera alle sinistre".



lunedì 8 giugno 2009

A spanne

Dai risultati delle Europee mi sembra si possano trarre un paio di conclusioni:
1) Leader cercasi. C'è una fascia di elettorato attorno al 43% abbondante (cresciuta di un po' rispetto a un anno fa) che si colloca al di qua di B. e che, al di là dei proclami dei leaderini delle liste che ha scelto, voterebbe per uno schieramento-alleanza-raggruppamento o chiamatelo-come-volete che si candidasse a governare seriamente, se solo si trovasse qualcuno in grado di metterlo insieme. Di Obama ce n'è uno, d'accordo, ma tenuto conto che l'ultimo che è riuscito in un'impresa del genere è stato Romano Prodi, che in quanto a carisma non è proprio un portento, ci sarebbero discrete possibilità di farcela. Avanti, c'è posto. Astenersi perditempo (tipo Rutelli), guastatori (tipo D'Alema e i suoi e Veltroni e i suoi). Necessario anche un minimo di aplomb: Di Pietro non si scaldi, non fa per lei.
2) In fuga da B. C'è un'Italia che al di qua di B. non voterà mai e che per questo ha scelto di nuovo B., nonostante ormai il ridicolo sia la cifra prevalente. Ma è in parte la stessa Italia che laddove ha trovato alternative dal suo punto di vista (vedi Udc, vedi Lega) si è allontanata da B., il cui partitone, che tremare il mondo fa(ceva), si è fermato a una percentuale inferiore alla somma di quelle raccolte da Fi ed An alle elezioni politiche del 2006, che non andarono proprio benissimo per B. e i suoi. Che B. abbia imboccato la fase discendente della parabola? Che il suo faccione e le sue mirabolanti avventure stiano diventando ingombranti per Fini e i suoi?

sabato 6 giugno 2009

A distanza

Ero preso da altre cose e arrivo in ritardo. Ma mi piace mettere a verbale che mentre Obama diceva queste cose al Cairo. Un omino, dalle nostre parti, diceva questo.

giovedì 4 giugno 2009

Voto inutile

Sono stato tentato dal non voto, lo ammetto. Alla fine invece alle urne ci andrò. E sarà un doppio voto inutile, o quasi. Ma dato di gusto. Per le Provinciali, vi rimando al post precedente. Alle comunali, anche se so che la maggior parte di voi sarà indifferente perché voterà (o non voterà) in altri centri, darò la preferenza più convinta che abbia mai espresso per lui, anche se la lista nella quale si presenta, a stento eleggerà consiglieri. Ci sono troppe letture, dischi, concerti, pranzi, cene, bottiglie, attitudini e perfino la scuola materna frequentata dai rispettivi figli in comune per definirlo un voto solo politico, me ne rendo conto. Ma proprio per questo sarà di gusto e per una volta non per il meno peggio. Alle Europee voterò invece per lui. Anche se il progetto politico che sta sostenendo con la sua faccia non credo abbia un futuro. Scriverò sulla scheda il suo nome anche se so che a Strasburgo non andrà mai almeno per due ordini di motivi: primo perché Sinistra e libertà non supererà la soglia di sbarramento, secondo perché anche se dovesse risultare eletto, ha già detto che rimarrà a fare il presidente della Puglia. Ma lo voterò, anche in questo caso, perché non sarà un voto dato al meno peggio ma a uno che sarebbe un buon leader, se solo avesse una formazione politica a sostenerlo. Sarà un doppio voto inutile ma fino a un certo punto. Perché nel caso delle Europee, anche se non servirà ad eleggere nessuno, assottiglierà comunque la percentuale di voto del partito di B., cosa che non avverrebbe se mi limitassi a disertare le urne. Ma soprattutto, sarà un voto dato di gusto.

Intanto

Poi, appena ho tempo, farò la dichiarazione di voto. Intanto abbraccio Gramellini.

mercoledì 3 giugno 2009

Di pancia/2

Con simpatia, ma i Radicali hanno veramente scassato. La prima cosa che vi viene in mente, ma l'hanno scassata.

Di pancia

Qui si tenta di mantenersi a un livello accettabile. Oggi, sarà che ho poco tempo, la tentazione è di scendere:
1) Uno che paga regolarmente le tasse e vede Apicella scendere da un aereo di Stato tende a incazzarsi.
2) Il problema non è tanto, o non solo, B. che ha l'idea delle donne che ha e non se ne vergogna neanche un po'; sono anche le tante donne che continuano a subirne il fascino, suo e dei tanti cafoni che popolano le nostre città, scuole, uffici, spiagge, bar e via discorrendo.

Rifugio

Snob, incapaci di comunicare e di comprendere l'essenza dei tempi, forse. Ma con ottimi rifugi in cui riparare.

martedì 2 giugno 2009

Gino e la sinistra

Oggi Massimo Gramellini scrive una cosa che in parte centra un problema (la sinistra che non trova più le parole per comunicare) e in parte deraglia nel più vieto dei luoghi comuni perché omette di dire che con i Gini d'Italia è assai difficile comunicare per una montagna di ragioni. Qui la sinistra è stata sbertucciata diverse volte. Una volta ci si è misurati anche con le difficoltà oggettive che la sinistra ha di fronte oggi: ne uscì un pippone. Onde evitare di farne un altro, rimando a Scorfano che ha commentato in maniera assai condivisibile il Gramellini di oggi.

lunedì 1 giugno 2009

L'affaire

Dice: ma che ne pensi dell'affaire Noemi-Berlusconi-Veronica-Repubblica? Per giorni e giorni il "boh" è stata la risposta prevalente. Boh perché io non sono di scuola così anglosassone e il diritto alla riservatezza penso che vada garantito a tutti. Anche al presidente, a meno che alla riservatezza non ci si appelli per coprire malefatte che hanno a che fare col ruolo pubblico che si svolge o patenti violazioni della legge. Per inciso, proprio perché non sono di scuola così anglosassone, penso che il diritto alla riservatezza vada garantito anche ai presidenti che mostrano debolezze, tipo Clinton per capirci. Boh perché l'istinto iniziale è stato, inutile negarlo, quello di godere nel vedere un avversario politico in difficoltà per questioni di letto. Poi però pensi che le questioni di letto hanno il respiro corto, che la politica è cosa di più lungo periodo, che come tangentopoli insegna, le scorciatoie illudono ma sono superficiali e niente affatto efficaci e soprattutto non suppliscono l'assenza di idee alternative. Boh perché uno che organizza feste con decine di vergini pronte ad offrirsi al drago (secondo quanto ha detto la signora Lario sberlusconizzata), va ben oltre le corna e suscita una forma di repulsione anche in chi santo non è. Ma questa è una posizione moralistica, mi sono detto, quindi non vale politicamente. Poi però, a forza di sbatterci la testa i boh si sono diradati ed ecco le conclusioni. Tu puoi fare ciò che vuoi nel tuo privato e andare con una diciassettenne anche se hai settant'anni suonati non equivale ad essere pedofilo. Non ti considero granché, certo, ma non è che la mia idea di te in materia sia grandemente cambiata in peggio da quando dicesti che sei dovuto ricorrere alle tue doti di playboy per persuadere la premier finlandese. Il tuo cattivo gusto, che è anche un'immagine che hai del mondo e dei rapporti tra generi, mi era ben noto. Ma queste sono cose mie. Quello che penso oggi è che Berlusconi sta malamente perdendo in casa. E che questo alle prossime elezioni non si noterà neanche, perché il Pdl di voti ne prenderà, e gli altri di voti ne prenderanno assai meno. Ma per uno che ha mandato nelle case degli italiani "Una storia italiana" (se doveste aver dimenticato guardate qui), l'affaire Noemi-Veronica-Repubblica rischia di costare l'osso del collo, politicamente parlando. Perché non è a me e a quelli come me che B. deve spiegare. Io avrei da chieder conto di decine di altre cose che il suo elettorato non vede neanche e che io reputo molto più gravi perché attengono alla sua funzione pubblica. E' alle comari che lo votano che B. deve spiegare. E' a quelle che "è tanto un bell'uomo e di successo" che deve motivare come la sua vita privata, una delle chiavi del suo successo (a)politico, forse la principale, lungi dall'essere la soap patinata che lui ha accreditato per anni, ha dei buchi neri. A me e a quelli come me del suo privato non frega nulla oggi come non fregava nulla ieri, quando nelle nostre case arrivava l'agiografia del cumenda. Io, con le mie venature tardo-comuniste, sono molto più liberale dei popolani della libertà che lo votano. E saranno loro, gli infatuati e le infatuate da una storia italiana, a voltare le spalle al settantenne che perde la maschera e carica sugli aerei decine di vergini pronte a offrirsi al drago. E non vi illudete, voi di sinistra, perché, come tangentopoli insegna, non sarà una vittoria vostra.

lunedì 25 maggio 2009

Al contrattacco

Pronta la replica di Silvio Berlusconi all'intervista di Gino Flaminio: "Quel ragazzo è mosso solo dall'invidia, ho più capelli di lui, come poteva Noemi restarci insieme?".

giovedì 21 maggio 2009

Fatto

Ci si è impiegato un po' ma ora la playlist qui a destra dovrebbero vederla anche i muniti di flash player 10.

lunedì 18 maggio 2009

Quindici anni, un giorno

"Ci stupisci quasi fossi nuovo
e invece sei vecchio e gommoso: bacia la sposa, bacia"
No, niente, è che, complice il "Best of" che hanno fatto uscire, sto tornando indietro con i Marlene Kuntz anche di quindici anni e quel brano di Festa mesta mi sembra di un'attualità strabiliante.

martedì 12 maggio 2009

Deo gratias

Benedette le carrette del mare, che portano sulle nostre coste chi ha pagato migliaia di euro per rischiare la vita e vivere da braccato; benedetti voi, vi chiameremo clandestini, che attirate le ire delle vite precarizzate, sazie di pancia e a corto di cervello e monopolizzate i penetranti commenti di chi sa come va il mondo e accusa di snobismo o ipocrisia chi rifiuta di cacciarvi a cannonate; benedetti, ché senza di voi quanti voti in meno prenderemmo.

A proposito

Io, mia moglie e mia figlia siamo nati in tre città diverse. Troppo multietnici?

lunedì 11 maggio 2009

mercoledì 6 maggio 2009

In movimento

La radio sta provando ad assumere una nuova veste per consentire l'utilizzo di un server remoto. La migliore trovata finora è questa, la vecchia verrà utilizzata per le eventuali dirette. Seguiranno prove tecniche.

lunedì 4 maggio 2009

Post irritato

Era prevedibile, ma certi tic di certa sinistra continuano a lasciarmi senza parole: sento in giro più di qualcuno, ma non tutti per carità, che sta eleggendo Veronica Lario a nuova eroina, ma sul serio, non facendo battute. Parafrasando il Nanni Moretti di Ecce Bombo: ve lo meritate, Berlusconi.
Aggiornamento: nella prima versione del post avevo tentato di vilipendere l'italiano, riuscendoci, coniugando il verbo stare al plurale, pur se si riferiva a "qualcuno". Ho provveduto a correggere.

giovedì 30 aprile 2009

Degli anni Ottanta (le domande della vita)

Perché The Edge usava una chitarra da metallaro?

Degli anni Ottanta (libertà)

Non l'avrei mai detto nella temperie degli anni Ottanta. Perché era così, ascoltavo roba di qualità (lo so che rischio di apparire snob, ma la penso tuttora così) e quando mi parlavano di new romantic, la miglior reazione che potevo avere era storcere la bocca. Oggi però, mentre ero sintonizzato su una di quelle stazioni radio su cui non mi soffermo quasi mai, mi è capitato di imbattermi in "Through the barricades" degli Spandau Ballet e non ho cambiato stazione, come avrei fatto vent'anni fa, appunto. Nostalgia canaglia? Forse. Ma non solo. Perché ho riflettuto anche sul fatto che quel pezzo in verità non mi è mai dispiaciuto; neanche vent'anni fa mi dispiaceva. Come Gold, degli stessi Spandau, e come Save a prayer dei Duran Duran, tanto per fare qualche esempio (non spaventatevi, la lista non è lunga). Ma allora non l'avrei mai ammesso che quei pezzi mi piacevano, non solo non l'avrei ammesso di fronte agli altri, ma neanche a me stesso. Li associavo alla plastica di cui quegli anni sono stati ricolmi. Solo che oggi credo di essere meno snob. E anche un po' più libero di testa. Così posso dirlo: ci sono pezzi che non facevano lo schifo che io pensavo facessero.

mercoledì 29 aprile 2009

Secondo voi Veronica Lario

Io non ci sto capendo molto, vi chiedo aiuto. Non un commento, ché magari è troppo impegnativo, ma una preferenza a questo sondaggio. Secondo voi Veronica Lario:
A - E' rincoglionita precocemente (non si spiegherebbe altrimenti come fa a dire queste cose e non chiedere il divorzio).
B - Ambisce al posto di Franceschini.
C - E' in combutta col marito in base a una tecnica di comunicazione di cui a noi comuni mortali sfugge la raffinata logica.
D - Voleva un posto nella lista del Pdl, non gliel'hanno dato e si sta vendicando in maniera scomposta.

La misura

Marco D'Eramo sul manifesto: "Per molti versi Obama non fa che dire ovvietà ('torturare è ingiusto', 'gli alleati vanno consultati') e compiere atti dovuti (chiudere prigioni segrete come Guantanamo, includere l'anidride carbonica tra gli inquinanti). Il fatto che sembrino così rivoluzionari misura l'imbarbarimento, l'involuzione in cui eravamo caduti senza accorgercene".

lunedì 27 aprile 2009

Post del tutto effimero e fuori contesto #2

E comunque, quando hai quarant'anni suonati e la commessa, indicandoti, fa alla collega: "C'è da servire il ragazzo", sono soddisfazioni.

Post del tutto effimero e fuori contesto

Sempre in tema di amenità: mi è tornato in mente, non so perché, che da piccolo non capivo come una donna piacente come Romina Power potesse essersi unita a uno come Al Bano.

Calcio parlato

Ieri sera sono tornato a casa tardi e ho acceso la tv su Rai2, dove era in onda la Domenica sportiva (si chiama ancora così, non è solo un mio ricordo di bambino, vero?). Si parlava del posticipo Napoli-Inter. Ho assistito (distrattamente, lo ammetto, mentre trangugiavo qualcosa) a dieci-quindici minuti di trasmissione. Solo stamattina ho scoperto che l'Inter aveva perso, ero andato a dormire convinto che fosse finita 0-0.

Un dubbio

E' stato un fine settimana denso. E non ho letto i giornali nazionali. Mi dicono stamattina di Scalfari che ieri su Repubblica ha fatto un fondo sul Berlusconi in salsa 25 aprile. Penso: sì, è una notizia, da quando è "sceso in campo", si è tenuto sempre alla larga dalle telecamere il giorno della Liberazione. Poi ripenso: se non me n'è fregato nulla a me, che pure un minimo d'interesse per queste cose lo conservo, figuriamoci ai più distratti dei suoi elettori, che magari mescolano 25 aprile, I° maggio e 2 giugno. Poi ri-ripenso: ma alla fine, se c'è andato o non c'è andato, che cosa ha detto e che cosa ha omesso, quanto e cosa cambia? Voglio dire: ma siamo così sicuri che giornali, blog e mezzi di comunicazione vari parlino di cose che interessano davvero i milioni di persone che vivono, lavorano, si sbattono là fuori, poi tornano a casa la sera e si spaparanzano davanti al primo reality che passa il convento? Ci sfiora mai il dubbio che ce la cantiamo e ce la suoniamo in un cortiletto che collochiamo presuntuosamente al centro del mondo? Sì, lo so che a seguire questa via si rischia di diventare populisti e tendenzialmente qualunquisti. Conosco bene, o almeno, credo di conoscere, il valore e il potenziale delle nicchie. A patto che le nicchie tendano ad allargarsi, però. E poi, sempre meglio farsi sfiorare dal dubbio che tenersene alla larga, no?

sabato 25 aprile 2009

Liberi tutti

Più che resistenza, resilienza. Ecco, c'è da augurarsi che i concetti di resistenza e Liberazione abbiano una buona resilienza, visti i tempi.

venerdì 24 aprile 2009

Pezzi

Quando corri in un parco e superi gruppi di persone che stanno camminando cogli frasi smozzicate, pezzi di ragionamento, abbozzi di luoghi comuni. Oggi mi è capitato di udirne un paio. Il primo: "Mourinho parla, fa l'attore, sembra più un politico che un allenatore". Il secondo: "E invece in Italia....". Ecco, c'è proprio un bel pezzo d'Italia in quei due tranci di frasi.

Perfect day

Se esistesse una giornata ideale inizierebbe così quando sei ancora a letto. Proseguirebbe con una robusta colazione a base di zucchero marrone. Poi con una passeggiata al sole e una bella botta d'energia. Il pomeriggio sarebbe quasi onirico, la sera dolce.

A-dichiarazione

A quasi due anni e mezzo dalla nascita del blog ho ceduto alla tentazione e l'ho fatto. Ho inserito qui a destra una di quelle citazioni (è un brano di "A tratti" dei Csi) che come tutte le definizioni, o meglio, i tentativi di definizione di sé e di come la si pensa, aiuta chi guarda a capire qualcosa ma al tempo stesso riduce la complessità che qualsiasi fenomeno umano porta con sé (qui ho già espresso questo concetto in maniera più diffusa e, forse, pesante). Quindi ciò che ho appena fatto potrebbe apparire come un controsenso. Quello che mi conforta è che più che una dichiarazione, quella è un'a-dichiarazione d'intenti. Non è un "farò", ma un'ammissione d'impotenza; non è un "faremo", ché è già impegnativo dire "farò". E, nonostante lo stiate forse già pensando, non è affatto una resa. Per questo mi piace e l'ho appiccicata lì, dove la vedete.

lunedì 20 aprile 2009

Semplicistico

Luca Ricolfi sulla Stampa scrive un pezzo di una certa lunghezza per spiegare alcuni dei motivi per cui la sinistra avrebbe paura di un vero leader. Argomento centrato ma spiegazione lacunosa. Per un motivo abbastanza semplice, forse semplicistico. Al di là della falsa coscienza e del riferirsi alla rappresentazione di valori assoluti e non negoziabili che determinerebbero "il bordello", secondo la citazione di Montanelli fatta da Ricolfi, c'è una difficoltà insormontabile per la sinistra italiana, oggi, a dotarsi di un leader. E' che quel leader non esiste.

mercoledì 15 aprile 2009

Rigidi

A me pare già stucchevole l'ennesimo dibattito sulla legge elettorale: se ne parla da lustri, come se da una eventualmente buona (?) legge elettorale dovesse discendere la panacea per i mali d'Italia; se ne sono cambiate, di leggi elettorali, non so più quante da quando è crollata la prima repubblica; ne abbiamo una, di legge elettorale, per ogni livello di governo (centrale, regionale, provinciale e comunale). E noi ancora qui a dilaniarci su uno strumento, ribadisco, uno strumento, manco se all'ordine del giorno ci fosse la scelta tra suffragio universale e ristretto. In secondo luogo, propendendo per il proporzionale, sarei tra quelli che punterebbero a renderlo innocuo, il referendum su cui si sta avvitando il dibattito nazionale, anche perché, detto per inciso, una legge che attribuisce la maggioranza assoluta dei seggi a chi prende anche una percentuale risibile di voti è roba da far arrossire la legge truffa. Ma non è questo il punto. Il punto è che i referendari della prima, seconda e terza ora mi sembrano più rigidi del più rigido dei materiali. E dire che l'esempio è sotto i nostri occhi. Stiamo andando a una elezione per il parlamento europeo per la quale, allo scopo di superare la soglia di sbarramento del 4 per cento, i simboli dei partiti si stanno trasformando in collages di più partitini. I filo-maggioritari diranno: ecco la prova della bontà aggregante della nostra teoria: non più tanti partitini, ma due soli grandi partitoni che si battono per arrivare alla maggioranza assoluta. Sbagliato: perché la soglia del 4 per cento sta ai microrganismi come il 50 per cento sta ai partiti che ambiscono a governare. Quindi, nel caso ci trovassimo con lo scenario che uscirebbe da una eventuale vittoria dei "sì" al referendum, avremmo di fronte due grandi simboli-collage (Pdl+Lega+varie-ed-eventuali da una parte; Pd+Di Pietro+varie-ed-eventuali dall'altra), pronti a scomporsi un minuto dopo la chiusura dei seggi. E' che il bipartitismo sul modello angolsassone, questo i rigidi filo-maggioritari non capiscono, non lo si introduce per legge. E dire che ci stanno sbattendo la testa da anni. Eppure niente, non si rassegnano, vedono la realtà non per come è ma per come vorrebbero che sia: rigidi, appunto.

martedì 14 aprile 2009

Questione di spazio

Su questa casa oggi il Corriere della Sera ha fatto una fotonotizia a pagina 5. Ecco, senza starla a fare troppo lunga, perché la sintesi è un dono, specialmente in certe occasioni, forse la cosa meritava uno spazio maggiore.

lunedì 6 aprile 2009

Inutile

Sto per scrivere una cosa inutile, ma tra il bello di avere un blog c'è anche questo privilegio. Ascolto la linea diretta di Radio Uno sul terremoto. Ci sono notizie tragiche, aggiornamenti di morte, avvisi e suggerimenti per chi vive o viaggia nelle zone colpite. Poi la pubblicità, di cui mai come in questi casi si apprezza il tono stoltamente giulivo, inutilmente enfatico, fastidiosamente finto-entusiasta. La mescolanza tra i toni drammatici dei conduttori e delle dirette dai luoghi colpiti e "il piacere di fare la spesa", le fighissime penne triplus, l'"io ringrazio il cielo, fortuna che tu esisti" rivolto a un supermercato, provoca uno stordimento dal quale si rinviene con un pensiero fisso: solo la nostra civiltà sa raggiungere punte così incivili. Non si potrebbe prevedere che in momenti del genere, di emergenza nazionale, gli investitori pubblicitari e i loro contratti milionari cedano il passo alle notizie nude e crude? E poi, investitori che non leggerete mai questo post, siete così sicuri di avere ritorni in termini di affari con entrate a gamba tesa in una tragedia del genere? Fossi in voi chiamerei io la Rai e ordinerei: per oggi i nostri spot non passateli, che è meglio.

mercoledì 25 marzo 2009

S'è ripresa

La radio, intendevo, dopo mezza giornata di bizze.

Interruptus

Per me il professor Antiseri era una realtà quasi sovrannaturale, avendo studiato sul suo manuale di filosofia al liceo. Così, quando ieri l'ho visto a Ballarò che articolava un pensiero interrotto da Floris: "Professore, ce lo dice dopo la pubblicità", non ho resistito: ho spento la tv.

Le domande della vita#5

Ma quando si legge un libro di un autore straniero e lo si trova scritto davvero bene, quanto del merito deve andare al traduttore?

Ma cos'è questa crisi?

Non lo dico per amor di controcorrente, ma io alla crisi non ci credo. Non nel senso che non ci sia. E non nel senso che una diminuzione della produzione e dei fatturati non possa portare, alla lunga, a un peggioramento delle condizioni generali. Non credo alla crisi dipinta dai politici e, a cascata, dai media avvizziti e pigri. Non credo alla crisi della quarta settimana, alla spesa alimentare che cambia "perché non ce la si fa più" e a tutte le indicazioni che ci fanno credere che solo da qualche mese siamo vicini al precipizio mentre prima eravamo tanti Adami e tante Eve che non avevano ancora mangiato la mela. Non credo alla crisi perché se il precipizio c'è allora noi ci balliamo vicino da anni, da decenni anzi. O no. La crisi c'è. Ma c'è per chi perde il lavoro e/o è costretto alla cassa integrazione. In questi casi sì che devi rimodulare i consumi, affidarti agli ammortizzatori sociali costituiti da genitori, nonni, zii e chi più ne ha più ne metta visto che lo stato, alla faccia del welfare e dei relativi ministri, ti dà ben poco per campare dignitosamente. Ma qualcuno deve spiegarmi cos'è cambiato per un impiegato pubblico o uno privato o per un precario, o per commercianti e professionisti se, come dice Bankitalia, il reddito delle famiglie è rimasto lo stesso dal 2000 al 2006. Ecco, appunto: se il precipizio c'è, noi ci balliamo da anni a pochi centimetri. Solo l'altroieri, nel 2005, i prezzi delle case erano alle stelle eppure il 61% delle famiglie italiane (delle famiglie dico, non degli individui) tirava avanti con meno di 2311 euro al mese; il 50% addirittura con meno di 1.800. C'erano tutti 'sti titoli sulla crisi? Non mi pare. Oggi se ti capita il pdf di un giornale a portata di pc e fai una ricerca digitando la parola "crisi" rischi di ottenere una decina di risultati. I problemi ci sono, eccome, ma c'erano già. Solo che politici, media e i vari maestri di pensiero non ce lo dicevano e così facevamo finta di non accorgerci di nulla. Nell'agosto 2008, quando la crisi era conclamata, i mutui variabili erano al loro massimo, per un pieno di carburante si spendevano diversi euro in più rispetto a oggi e le bollette di gas ed energia avevano raggiunto l'apice. La crisi era conclamata, ed era originata di là dall'oceano proprio dai mutui insolventi le cui rate continuavano a spennare, di qua, chi si stava pagando la casa. Ma ancora non c'era. O era una crisetta, o era reversibile. Poi è diventata grave: e giù licenziamenti, giù casse integrazioni e giù mancati rinnovi di contratti ai precari strutturalmente appesi a un filo. Viene da riflettere insomma, su questa crisi per anni sotto al tappeto che in un baleno diventa la questione. Viene da riflettere sulla nevrastenia dei tempi e sulla mancanza di ragionare in profondità che può portarci alla malora. Viene da riflettere sulla messa al bando di qualsiasi pensiero che non sia quello della corrente maggioritaria, anche se questa sbaglia in maniera marchiana. E viene da riflettere sulle ricette messe in campo (è così che dicono i giornalisti bravi, no?) anche oggi, che ci dicono ci troviamo nell'occhio del ciclone. Misure che denotano quanto pericolosamente continuiamo a muoverci vicino al precipizio. Per di più convinti di allontanarcene. Fino alla prossima crisi, quando quello che per anni non sarà stato un titolo di giornale, un argomento di discussione, un oggetto di una norma di legge, diventerà la questione. E l'affronteremo così come oggi, in maniera avvizzita e pigra, senza risolvere nulla, solo rimandando.

lunedì 16 marzo 2009

Fattore X (reprise)

Poiché sto notando che molti cultori di rock non l'hanno ancora saggiato, mi permetto di consigliare l'ascolto di Il paese è reale (il cd intendo), che vale molto più dei dieci euro scarsi che servono per farselo spedire dalla Fnac. Eccolo il rock italiano, perdonate l'accesso intollerante, altro che X Factor.

Fattore X

Non sono attendibile perché ho un pregiudizio nei confronti dei palinsesti televisivi e non sono un grande consumatore di programmi tv, quindi neanche in grado di criticarli. E' che però da più parti, non comunicanti tra loro e quindi non influenzate a vicenda, di sinistra, più o meno critiche con i modelli preponderanti dalle nostre parti e amanti del buon rock, anche indipendente, mi si parla positivamente di X Factor. Io davanti alla tv che trasmetteva quel programma ho anche provato a mettermici e confesso di non aver durato più di una trentina di minuti scarsi. Ma come dicevo non sono in grado di criticare, perché appunto non conosco. Ci sono però un paio di cose che stonano nei pareri lusinghieri che la gente che descrivevo prima dà di X Factor: il fatto che lo si consideri un programma buono perché dà spazio a giovani talenti e perché, è il ritornello, rispetto a quello che si vede normalmente, questa è una cosa sicuramente migliore. Ora, sul secondo aspetto, cioè sulla logica del meno peggio non starò a dilungarmi se non per dire che la considero uno dei mali del nostro tempo. Sul primo aspetto ho da dire di più. Perché accettare che un "giovane talento" debba passare attraverso la tv per fare successo è una di quelle cose che non stanno né in cielo né in terra. E non lo dico perché sono pregiudizialmente contrario alla tv generalista così com'è oggi. Riflettete: dagli U2 agli Afterhours, quale bisogno della tv hanno mai avuto i gruppi per - come si dice - sfondare? Il rock è, oserei dire ontologicamente, un fenomeno di strada, da locale buio con birra in mano, da giornale specializzato, da passaparola, da compilation regalata da un amico, amica, fidanzato, fidanzata, dal chitarrista del tuo gruppo; da chilometri fatti su furgoni sbrindellati. Il rock è una cosa nata per spingerti a uscire di casa o semmai a rintanartici con le cuffie in testa per isolarti volontariamente in momenti di particolare paranoia, non per stare davanti alla tv. E poi, per un artista, il passaggio televisivo è semmai un punto d'arrivo. Ecco perché non capisco come chi si è inebriato di concerti in centri sociali, pub piccoli e sudati, parchi e campi in terra battuta possa amare, o semplicemente considerare godibile e/o positivo, X Factor.

lunedì 9 marzo 2009

Su coraggio

Che poi chissà cosa c'è dietro il rifiuto di De Bortoli all'inutile presidenza della Rai. Però, il fatto che oggi in Italia c'è chi dice no a una poltrona tanto prestigiosa quanto effimera e pilotata infonde coraggio.

I segni del Tremonti

Si potrebbe tirare l'ennesimo pippone su come si tenta di rilanciare l'economia innovando al di là dall'oceano e di come qua resistono le incrostazioni di sempre. Ve lo risparmio, ché qui se ne è scritto con efficace leggerezza.

domenica 8 marzo 2009

Alla pari. Alla pari?

Qui sulle donne si è scritto diverse volte, oggi non si trova di meglio che ringraziare Cristina Donà per questo testo.
Senza disturbare, senza disturbare
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
per una posizione una vera condizione
Prego si tolga dalla luce
e spieghi come mai
prego sia un po' più veloce
e mi spieghi semmai
nel suo futuro c'è chi aspetta
ma è bene che lei scelga
è bene che lei scelga, scelga o perda,
scelga o perda, o scelga
Prego di qua e abbassi la testa
è la posizione giusta,
senza vanità
prego sorrida enormemente
vediamo come va
la sua bella presenza richiesta dall'azienda
è una formalità
e la mia opinione sulla riproduzione...... lei certo capirà.

mercoledì 4 marzo 2009

Colosso


La storia è questa: il 28 novembre 2008 chiedo a Telecom l'installazione del profilo Alice Casa sulla mia linea telefonica. Utilizzo già la linea Adsl, in sostanza chiedo la modifica perché con questo nuovo profilo viene concesso in comodato d'uso un router wireless che avevo già in animo di acquistare e che in questo modo, per di più risparmiando qualche euro sulla bolletta, avrò gratis. Di rinvio in rinvio, sempre a causa dell'azienda, il tecnico varca la soglia di casa mia il 2 marzo. Se ne va dopo oltre un'ora e sembra tutto a posto. Invece scopro dopo poco che il telefono fisso non riesce a ricevere. Chiamo subito il 187 e mi si dice che un tecnico mi contatterà al più presto. Al pomeriggio, non avendo sentito ancora nessuno, chiamo nuovamente il colosso della telefonia (è così che lo chiamano nelle pagine economiche dei giornali, no?); la finto-gentile signorina del call center mi ribatte che non c'era necessità di una seconda chiamata, poiché la mia richiesta è stata già inoltrata e il guasto verrà risolto entro due giorni lavorativi. Cioè: arrivi in casa mia, commetti un errore grossolano e mi fai restare senza telefono per più di due giorni? E fin qui stiamo nel campo dei disservizi, ordinario per Telecom come per parecchie altre compagnie di telefonia, da quanto sento dire in giro. Tanto che quando si guasta qualcosa che ha a che vedere con linee telefoniche, è assai frequente entrare in uno stato di latente depressione sapendo di stare per entrare in un kafkiano giro di telefonate con non si sa chi all'altro capo. Voglio dire: l'assicurazione, l'idraulico, l'arredatore, il concessionario, per qualsiasi cosa sono lì, a portata di telefono. I "colossi" di telefonia ed energia no. Sono entità sovranaturali: si manifestano sulla terra solo sotto forma di bollette o di addetti ai call center che, poverini, sono settati come i programmi dei pc e oltre un certo limite non andranno mai, non essendo loro concesso, pena il licenziamento, di utilizzare il dono dell'elasticità tipico degli umani. Ma non è questo il punto. Stamattina sono entrato nel mio profilo 187 e ho scoperto che c'è una pratica aperta sulla mia linea "in carico al settore specialistico". La cosa sensazionale è il suggerimento che viene fornito. Non so voi, ma se io lavorassi come opera "il colosso" sarei messo, al meglio, nel più breve tempo possibile in condizione di non nuocere e mi verrebbe fatto gentilmente capire che non è aria di trattenermi a lungo.

martedì 3 marzo 2009

Le pulci all'opinione pubblica

Sostiene lo scorfano con robuste argomentazioni, che le autobotti d'inchiostro versate con assai poca fantasia e curiosità giornalistiche sulla "pioggia di 5 in condotta" nelle pagelle degli studenti italiani sono un classico esempio di informazione così miope da tendere all'inutilità. Scorfano ha ragione. Ma tralascia l'altra faccia del problema. Perché di qua c'è la stampa ma di là c'è la pubblica opinione. E in mezzo il mercato: drogato, dopato, taroccato, vilipeso da mister tv, ma pur sempre mercato. Il punto è che l'informazione è una merce che viene venduta nel mercato della pubblica opinione - perdonate il bignamismo d'accatto, è solo per fissare il perimetro del discorso. E oltre quattro milioni di quella pubblica opinione, domenica scorsa non hanno disdegnato di seguire l'Arena dell'indignato d'ordinanza Giletti, dove le parole di Giorgio Cremaschi e di Giorgio Fossa sulla crisi economica si mescolavano con quelle di Alba Parietti e Lory Del Santo (cito a caso dall'ultimo esempio della infinita galleria degli orrori che ci si para dinanzi ogni volta che accendiamo la tv). Quattro milioni, capite? Il Corriere della Sera, che è il più venduto dei quotidiani italiani, arriva a stento a vendere seicentomila copie in un giorno. Questo per dire che così come dopo un periodo d'ubriacatura abbiamo imparato (quasi) tutti a intercettare le stonature del coretto società-buona-politici-cattivi, sarebbe il caso di prendere in considerazione anche che la disequazione lettori-bravi-stampa-superficiale va rivista. Non tanto per salvare i giornalisti, categoria cui nessuno può smacchiare le patacche più indelebili: conformismo umiliante, pigrizia paralizzante, e, spesso, perbenismo d'accatto. Ma per capire che se non si parte dalla presa d'atto che oltre a quel tipo di problema lì, c'è anche quello di una pubblica opinione a un livello di maturità e di capacità di concentrazione che se va bene è quello di un preadolescente, non si riuscirà mai ad orientarsi. E siamo davvero sicuri che una bella, seria e approfondita analisi sul fatto che il 72 per cento dei ragazzi italiani ha una pagella con almeno un'insufficienza, venga premiata di più di un bello strillo sui cinque in condotta voluti dal ministro? Sì, lo so bene che a volte è anche l'offerta a nobilitare o deprimere la domanda. E so anche che c'è un pubblico meno di bocca buona, selettivo, sofisticato, che addirittura la tv la lascia spenta per larga parte della giornata e che la carta stampata la setaccia, o che magari viaggia nell'oceano della rete dove molte produzioni di qualità sono a portata di mano. Ma qui si sta parlando dei grandi numeri non delle nicchie. E le nicchie non spiegano, o spiegano poco. I grandi numeri dicono che c'erano oltre quattro milioni a pendere dalle labbra di Alba Parietti ed erano diventati meno di tre, la sera, davanti a Presa diretta.

Che tocca fa' pe' campa'

Il manifesto annuncia che c'è l'accordo per la lista della "sinistra per le libertà" alle europee: vendoliani, sd, socialisti e (forse) Verdi. Simbolo, la scritta su fondo rosso, sinistra per la libertà, appunto, e un patchwork con i loghi dei Verdi, del Pse e del Gue (Sinistra europea). Per par condicio va detto anche che sembra ormai certa la confluenza in un'unica lista comunista di Prc e Pdci: qui ci sarà di sicuro la falce-e-martello, il resto è trascurabile. In entrambi gli schieramenti tascabili si fa riferimento all'obiettivo della ricostruzione della sinistra. Non ridete, ché non sembra ma fanno sul serio.

Lo stato delle cose

Lontano dal pc per qualche giorno, non posso fare a meno di annotare con colpevole ritardo che ieri il tg3 delle 14,15 ha dedicato alcuni minuti ai congressi dei Repubblicani europei e del movimento per le autonomie. Hai visto mai, foste indecisi per il voto alle Europee, due valide opportunità da prendere in considerazione, no?

Il cielo sopra

La radio s'è ripresa, playlist tendenzialmente slow, che qui si va un po' con le condizioni meteo e il cielo oggi, non so da voi, ma qui è quello che è. Ma non manca qualche accelerazione.

giovedì 26 febbraio 2009

Trovato (per ora)

Bianco, che quel nero appesantiva. Ho cercato in rete modelli convincenti, digitando su google sempre la parola simple accanto a template etc..., che volevo una cosa neutra. Ma c'era sempre qualcosa che non andava in quello che trovavo. Allora rimango così, tolgo il nero ma lascio l'arancio, che è un po' rosso e un po' verde e non è né solo rosso né solo verde. Una cosa discretamente complicata insomma, che in natura si trova difficilmente. E allora mi consolo ricreandola virtualmente qui. Oh, se vi fa proprio schifo potete dirmelo eh.

mercoledì 25 febbraio 2009

Io non posso stare fermo

In mancanza di buone idee per post convincenti mi sono messo a smanettare sul modello del blog con i risultati che vedete. Appena ne sarò in grado, se mai ne sarò in grado, ripristenerò il tutto. Ma voi nel frattempo, ne sono sicuro, ve ne farete una ragione, no?

lunedì 23 febbraio 2009

La vita è bella perché varia

Frustrati di tutta Italia, gioite: per un Povia che arriva secondo a Sanremo c'è un Penn che vince l'Oscar.

domenica 22 febbraio 2009

Grottesco

Prendo io stesso le dovute distanze da ciò che sto per scrivere, soprattutto perché si tratta di un giudizio personale, ancorché politico, e perché le cose umane ti sorprendono spesso. Però sono fortemente convinto che uno come Dario Franceschini non sarebbe mai diventato segretario di un partito a meno che questo partito non fosse quella cosa cui è stato messo il nome di Pd. Cioè una formazione politica dove, tra le decine di altri accadimenti grotteschi che non si staranno qui ad elencare, c'è uno che si candida a fare il segretario e quando, a strettissimo giro di posta, si apre la possibilità per andare a ricoprire quella carica alza la mano per votare un altro (vedere la prima foto della galleria linkata nel post precedente).

sabato 21 febbraio 2009

Mamma mia!

So che sarei scambiato per qualunquista e forse, chissà, lo sto diventando, per cui non vi dirò l'effetto che mi ha provocato scorrere questa galleria di foto. Ma non sapete il desiderio che avrei di sapere che cosa provocano in voi. Mica per altro, solo per sapere se sono io ad essere esagerato.

venerdì 20 febbraio 2009

Se ve la siete persa

Seduto sulle scale del retropalco di Sanremo senza effetto alcuno se non la sua voce al microfono di una radio e il plettro sulla sua chitarra. Qui la chicca offerta da Manuel Agnelli alla Gialappas e a chi era in fortunato ascolto di radio due ieri notte.
Update: per chi si era linkato e non l'ha trovata, ho ripristinato il tutto.

mercoledì 18 febbraio 2009

Serve?

Cari Afterhours, da queste parti non ci si oppone a prescindere. Neanche alla partecipazione a Sanremo di uno dei più alti esempi di rock italiano come voi siete. Il problema però è che voi non siete Benigni. Benigni ha una vocazione ecumenica, è in grado di parlare, se non a tutti, a una buona percentuale di quelli che lo stanno ascoltando in quel momento. E' in grado di far capire anche a chi li chiama froci che pure loro amano, solo che dirigono il sentimento verso persone del loro stesso sesso. Ha il dono di una semplicità non banale e può parlare dall'alto anche a una platea dai gusti mediocri pur non facendo sentire nessuno inferiore e anzi innalzandolo un po'. E non è da tutti. Per cui un'apparizione come la sua di ieri sera a Sanremo sarebbe da ripeterla settimanalmente sugli schermi della Rai. Voi avete portato a Sanremo un gran pezzo. Sia dal punto di vista del testo che della musica. Io battevo il tempo mentre lo ascoltavo ieri sera per la prima volta. Ho pompato il volume quando oggi l'ho beccato per radio. Ma voi, cari Afterhours non parlate a tutti. Non siete fatti per essere capiti da tutti. E non è un demerito. Per questo, stanti così le cose e visto che avete migliaia di fan, siete stati in grado di portare i vostri show negli Stati uniti e il successo non vi manca, mi chiedo e vi chiederei, se poteste sentirmi, il senso della vostra partecipazione a Sanremo. Perché se volevate raggiungere un pubblico più ampio non credo sia quello il palcoscenico adatto per farvi apprezzare, eravate bellissimi ma proprio fuori contesto incastonati tra la non musica di Al Bano e della Zanicchi. Ma forse invece, intendevate aprire una breccia, "fare qualcosa che serve". Forse della vostra partecipazione si vedranno i risultati tra anni. Spero solo che serva a qualcosa di più che a far tirare tardi me e tutti quelli come me che ieri sera si sono sorbiti l'inascoltabile prima di potersi dimenare con calma sul divano. E aspettano di vedervi sul palco insieme a Cristiano Godano. Sarà un bel momento, ma resta il timore che lo sarà solo per quelli che godono già di voi. Ma speriamo che serva.
Aggiornamento: l'avevo dato per scontano, ma leggendo qui si capisce meglio il senso dell'operazione che se non altro li conferma come una realtà tra le più lontane dalla banalità.

Crisi d'opposizione

Eravamo abituati alle crisi di governo, ora tocca fare i conti con quelle dell'opposizione. Sia chiaro, da queste parti si resta convinti che la situazione rimanga quella che si tentò di descrivere qui. Le cose insomma sono difficili per tutti quelli che si muovono al di qua di Berlusconi. Però era facile prevedere il crac con scene madri e dichiarazioni nonsense annesse. Certo, era facile prevederlo, e allora perché non l'hai scritto prima? Perché era prevedibile sì, ma col senno di poi, che appunto arriva dopo e non serve a riparare i danni già subiti. Ma se non altro potrebbe aiutare a evitare di provocarne di nuovi. Prendiamola alla larga: avete idea di cosa faccia oggi lo sparring partner di Obama alle ultime elezioni statunitensi? Io no. E oltre a non interessarmi granché, credo che neanche la maggior parte di voi abbia idea delle occupazioni che impegnano John McCain. Eppure solo tre mesi fa competeva per diventare uno degli uomini più influenti del pianeta. Dimenticato. Bene. Non sapete dove sia e cosa faccia oggi John McCain ma se siete lettori di quotidiani o fruitori di telegiornali, leggete e ascoltate un giorno sì e l'altro anche dichiarazioni di Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Massimo D'Alema. Cioè, il mondo ha dimenticato il simpatico settantatrenne dell'Arizona che ha perso le elezioni con Barack Obama, i repubblicani statunitensi si sono guardati bene dal farne il loro leader; ma gli italiani sono costretti a ricordare ogni giorno l'esistenza sulla scena pubblica di gente maestra nel perdere elezioni. Già perché nel fiume di dichiarazioni, comparsate tv, vertici e riunioni più o meno infruttuose di cui i cronisti ci distillano quotidianamente il succo insapore, qualcuno potrebbe aver dimenticato che D'Alema si giocò di fatto la carriera politica quando la coalizione di centrosinistra - grazie alla quale lui presiedeva palazzo Chigi dopo aver disarcionato il presidente del consiglio eletto due anni prima - fracassò alle regionali del 2000. Altri potrebbero aver sepolto sotto la mole di avvenimenti venuti dopo, che Walter Veltroni, oltre ad essere stato sonoramente sconfitto da Berlusconi un anno fa, divenuto segretario dei Ds nel 1998 dopo che D'Alema aveva lasciato la guida del partito per diventare premier, fiutata l'aria di sconfitta per il centrosinistra alle politiche del 2001, lasciò di fatto il partito al suo destino per dedicarsi alla sua candidatura a sindaco di Roma. L'ultima perla da inanellare è quella di Rutelli, che si candidò alla sconfitta contro Berlusconi nel 2001 (solo i privi di olfatto non avevano annusato che il centrosinistra avrebbe perso), proprio per guadagnare una visibilità post elettorale che gli valse infatti la carica di presidente della Margherita, partito fondato l'anno successivo. Insomma: nei paesi normali chi perde le elezioni esce dalla scena politica, mentre da noi addirittura le sconfitte alle elezioni vengono utilizzate come possibili trampolini di lancio dai protagonisti di centrosinistra. Ad uscire di scena anzi, è stato l'unico personaggio che nell'arco dell'ultimo decennio è stato in grado di portare per ben due volte il centrosinistra al governo. Bizzarro, no?
E' innegabile che la sinistra ha il problema del leader. E' una parte politica che nasce con il dna della collegialità, che tende all'autogoverno più che al seguire il capo; che in alcune sue frange tende all'anarchismo. Però, meglio averne uno intero di leader piuttosto che due mezzi che si annullano a vicenda non essendo in grado di prevalere l'uno sull'altro. Perché questa è la storia del Pds-Ds-Pd che sta agonizzando sotto la diarchia decennale di mezzo D'Alema e mezzo Veltroni. E questa è anche la storia di Rifondazione, partito che finché ha avuto una testa in grado di guidarlo degnamente ha tenuto anche in momenti di difficoltà e che uscito di scena il suo leader storico è diventato un partitino vicino alla consistenza di Dp (do you remember?), con il suo attuale segretario che, con sprezzo del ridicolo, definisce disastroso l'esito elettorale sardo del Pd dall'alto del trepercento del suo partito. Alla sinistra serve un leader come il pane serve agli affamati. E spiace dirlo perché la collegialità e l'anarchismo sono tendenze che qui si coltivano a patto che però si riesca in qualche modo ad agire. Serve un leader sotto la cui ombra si acquietino gli appetiti dei nani politici di turno; serve un leader che riduca al silenzio le tendenze divaricanti che diventano gigantesche e tendono a prendere la scena in mancanza di una personalità in grado di gestirle e ridurle alla dimensione che meritano; serve un leader con la virtù del coraggio di saper prendere una parte e indicare una via (per esempi rivolgersi a Zapatero o Obama). Basta con i sacerdoti del "ma anche", con i falliti da anni e con i dimezzati rancorosi. Anche perché senza leader non c'è unità. E l'unità, i nani politici del centrosinistra presi dalle loro bagatelle non l'hanno capito, è una delle virtù più gettonate da parte dell'elettorato. L'hanno capito così poco che pensavano di poter vincere in Sardegna dopo che Soru si era dimesso in seguito a lotte intestine. Ecco perché era tutto prevedibile: poteva pensare un partito del genere di durare a lungo? Serve un leader per tutto questo e serve anche perché sappia arrivare non dico a scorgere l'orizzonte, ma almeno a guardare un po' più in là del suo naso. Forse la faccio troppo facile. Ma trovare qualcuno in grado di spazzare via la polvere e tutti i politici di centrosinistra che vi riposano sotto sarebbe già un buon passo per iniziare una nuova via. Dov'è 'sto qualcuno? Bè, qui se permettete mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

martedì 17 febbraio 2009

Sottile e diffusa

Sono maschio; uomo, preferisco dire. Ma ciò mi consente lo stesso di pesare come la violenza fisica sia una caratteristica precipuamente maschile, non solo rumena. Penso anche che quella sulle donne, di violenza, si manifesta in forme differenti. Di cui lo stupro è solo la più eclatante e, per certi versi, autoassolutoria per una serie di tipi sociali: per chi occhieggia malizioso, per chi si permette battute insolenti che non accetterebbe mai se rivolte a una familiare, per chi allunga mani; per chi insomma fa pesare l'essere maschio, magari in una posizione di potere, in maniere non sanzionabili dal codice penale ma non per questo non umilianti nei confronti delle appartenenti a un genere che spesso credo vedano il mondo come fosse costruito al contrario dal loro punto di vista. Per chi considera le donne nostre e si permette per questo costanti invasioni di campo, salvo poi organizzare ronde contro chi le violenta, se chi le violenta è percepito diverso. Si è sempre avuto pudore a scriverne direttamente perché certe esagerazioni sono dannose e distolgono dalla comprensione dei problemi; altre esagerazioni però sono un salutare schiaffo in faccia e possono aiutare. Per questo oggi il blog prende in prestito un brano dell'editoriale di Matteo Bartocci sul manifesto che ha l'unico difetto di limitarsi a pochi esempi, laddove l'elenco è molto più lungo:
"E' sulle donne e le adolescenti, sulla loro sessualità, che si concentra una violenza sottile e diffusa. Il modo in cui vengono guardate per strada o in casa, approcciate sull'autobus, apostrofate a scuola, raccontate sui mass media, 'messaggiate' da fidanzati e spasimanti: è un'invasione di corpi normale e quotidiana".

domenica 8 febbraio 2009

Message in a bottle

Egregio Presidente del Consiglio,
il quadro è già così deteriorato che non si starà qui a peggiorarlo blaterando contro i Suoi provvedimenti sulla questione. Solo mi permetto di pregarLa di evitare almeno le dichiarazioni in libertà cui è abituato. Perché la questione di cui sta trattando è abbastanza seria. E il suo tacere potrebbe servire da esempio a molti dei suoi seguaci e avversari che stanno mostrando nel trattare il caso di Eluana la stessa sensibilità con cui le tifoserie si affrontano a un derby.

venerdì 6 febbraio 2009

Icone

Dice Garcia Marquez che la vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Diceva Mike Francis che alcune persone continuano ad ascoltare pezzi degli anni Ottanta che rimandano a un periodo in cui ci si divertiva e che per questo, più che per il loro valore artistico, sono rimasti nel cuore delle persone. Questo intreccio di musica e vita mi ha fatto partorire un'idea che non sta né in cielo né in terra, perché racchiudere un decennio in una canzone è una delle attività con meno senso cui ci si possa dedicare, soprattutto per uno che ha scritto questa cosa qui. Eppure, nonostante l'arbitraria riduzione di complessità, fatta la mia personalissima lista dei pezzi associati ai quattro decenni che mi ricordo d'aver vissuto fin qui, ho constatato che essi sono abbastanza paradigmatici dei vari periodi. Non è una classifica dei pezzi più belli ascoltati nei vari periodi, né una di quelli cui si è più affezionati. Ma può essere anche sia l'una che l'altra, o una delle due. Di sicuro è ciò che racchiude l'essenza di quel decennio per come si ricorda d'averlo vissuto, appunto: per testo, atmosfere, rimandi e memorie varie che è difficile spiegare a sé stessi, figuriamoci agli altri.
Anni '70 - In fila per tre - Edoardo Bennato
Anni '80 - I will follow - U2
Anni '90 - Even flow - Pearl jam
Ora - Hoppipolla - Sigur Ros
PS: niente di fisso comunque, le cose cambiano, possono cambiare, anche quelle in memoria, a volte.

martedì 3 febbraio 2009

Capire il senso

Tra le diverse altre cose da fare, mi arrovellavo da un paio di giorni su un post in cui avrei tentato di spiegare perché secondo me il razzismo non c'entra (o c'entra poco) con i fatti di Nettuno e come anzi ricorrere alla mera categoria del razzismo per spiegare quell'episodio, come stanno facendo certa becerosinistra o certi becerodemocratici, è del tutto fuorviante perché sbagliando la diagnosi si sbaglia anche la cura. Ve lo risparmio: oggi sul manifesto c'è un fondo di Alessandro Portelli di una lucidità e di un equilibrio illuminanti che mi avrebbe tolto le parole di penna, se fossi stato capace di certe parole:

"(...) il razzismo c'entra, ma non è un ingrediente isolabile, un'ideologia motivante; è piuttosto una componente ormai intrinseca e indistinguibile di un senso comune di violenza e sopraffazione che se non è diventato egemonico poco ci manca. Coltellate, fucilate, violenze sessuali fanno tutte parte di un'unica grammatica dell'annientamento e dell'umiliazione dell'altro. E questo senso comune è condiviso tanto dai cinque stupratori di Guidonia o dai tre marocchini che avrebbero violentato una donna a Vittoria in Sicilia, quanto dall'italiano stupratore di una cilena, dai ragazzetti di Campo de' Fiori accoltellatori di un americano, dal bravo ragazzo violentatore di Capodanno a Roma. E da tanti episodi meno sanguinosi ma diffusi nelle famiglie, nelle strade, negli stadi, nelle scuole nelle caserme. La sola differenza - e qui il razzismo c'entra espressamente - è la strategia di depistaggio messa in moto da politici e media. Quando, sempre a Guidonia, nel 2006, fu una donna romena a essere violentata per ore da un italiano la notizia non riempì le prime pagine ma si esaurì in due righe in fondo a un comunicato Ansa e a un trafiletto del Corriere della Sera. Non ci furono ronde di patrioti indignati. (...) Perciò far credere che la violenza sia un portato dell'immigrazione, è un modo per parlare d'altri e non di noi - a cominciare dall'altra cosa che questi episodi hanno in comune: il genere maschile degli aggressori e la debolezza delle vittime. (...) Essere o sembrare deboli, nella modernità della competizione, della deregolazione, dell'individualismo e del mercato elevati a religione, è una colpa in sé. E' una colpa essere donna, è una colpa essere senza casa, è una colpa essere nero. E forse la colpa peggiore di tutte queste minacciose debolezze sta nel fatto che mettono a nudo la debolezza profonda dei 'forti'".

Questi sono alcuni stralci, ma vi assicuro che leggerlo tutto vale da solo il prezzo del giornale di oggi.
PS: le ragioni del pezzo fanno anche giustizia di quella cialtroneria di destra per cui la sicurezza è un problema solo se governa la sinistra. Ma questo è talmente scontato che è perfino banale segnalarlo.

Flusso di coscienza

In fila alla cassa del bar. Televisione accesa e sintonizzata sul canale che dà il Grande fratello. Sguardi verso lo schermo. Sono tre, un quarto sbircia mentre aspetta il suo turno con il contante in mano. Mica tanti, quanti saremo in tutto qua dentro? Ora li conto: sedici, baristi compresi. Quindi tre-quattro su sedici; appunto, mica tanti. Bè, mica tanti, è pur sempre un quarto: sarebbe il 25 per cento di share. Share? Dio come stai regredendo. "Questa, quant'è?". "Due-e-cinquanta". "Eccoli, me la apre?". "Pronti". Una bella birra all'aperto anche se la serata è umida, ecco cosa ci voleva. Guardatelo voi il Grande fratello.

sabato 31 gennaio 2009

Si può (si poteva) fare

Come capita a parecchi, in gioventù è successo anche a me di sognare di diventare una rockstar. Erano gli anni in cui il rock italiano era roba da riserva indiana: Litfiba, Cccp, Moda. Il meglio si dipanava lungo l'appennino tosco-emiliano: Firenze era l'ombelico del mondo, l'Emilia paranoica ci provava. E, strano a dirsi per chi si è formato più tardi, Milano e Roma quasi non esistevano. Ho citato non a caso tre gruppi storici che cantavano in italiano, ma s'era circondati da improbabili testi in inglese cantati da gente di provincia che chissà ora dov'è finita. Emule era fantascienza ma per chi viveva ai margini delle grandi correnti c'era Doc tutti i pomeriggi e radiorai la notte. Eravamo in quattro; gli altri tre molto esterofili, io chissà perché filoitaliano, il contrario di conservatore e già forse ispirato dalla biodiversità, concetto che non conoscevo ancora ma che mi permetteva di spingere per il cantato in lingua madre. Perché se hai qualcosa da dire lo dici meglio così e perché l'italiano è quello che parliamo tutti i giorni, mi piace e chi l'ha detto che non si può abbinare al rock, sostenevo convinto, infarcendo poi il tutto con un po' di richiami caserecci a Dante e alla tradizione migliore. Suonavo la chitarra e mi toccò di perdere. In futuro mi sarei ritrovato io a cantare - agli altri non interessava granché - e lo feci in italiano perché pensavo, beata incoscienza, di avere delle cose da dire. A distanza di vent'anni sono incappato in questa Giusy Ferreri che dicono sia la risposta italiana a Amy Winehouse. Bene. Io non vado matto per Ami Winehouse ma se mi capita mi fermo ad ascoltarla. Invece di Giusy Ferreri ho un giudizio così poco lusinghiero che ve lo risparmio. E' che sentirla cantare "...a novembre la città si spense in un istante..." con il tono di uno in preda a un attacco di colica intestinale che chiede dov'è il bagno più vicino è roba da non augurare a nessuno. Poi ho pensato a Morrissey e a Robert Smith. E ho riflettuto sul fatto che se uno provasse a cantare in italiano come loro cantano in inglese ma senza avere grandi cose da dire, si farebbe ridere in faccia dai più. Prova a immaginarti di sentire "...il ragazzo con la spina nel fianco...", come Morrissey cantava "The boy with the thorn in his side" e dimmi se il primo istinto non sarebbe quello di andarsene. Ecco, il cantato in italiano esige cura maggiore: se la lingua è straniera ti concentri di più sulla musica e la voce diventa un altro strumento. Per questo Morrissey e Robert Smith, o magari Jeff Buckley, ti fanno sciogliere. Ma se canti in italiano hai da essere più rigoroso: la voce può essere strumento ma deve avere qualcosa da dire. Sennò il pubblico, storicamente abituato a sentire cantare in italiano solo i cantautori, che snocciolano i versi in musica come si chiede il caffè al bar, fugge. Ma i tempi per fortuna cambiano, la biodiversità è ricchezza e i suoi semi germogliano. E per una Giusy Ferreri che va c'è gente che vale la pena di ascoltare in italiano. Sì, si poteva fare. Si può fare. Con un po' di coraggio e rigore in più.

martedì 27 gennaio 2009

Lucca, Italia

La situazione è grave ma non seria.

Un altro film

Quando vedi recitare un cane hai la reale percezione di quanto sono bravi gli attori che ti fanno entrare dentro un film in maniera naturale, senza forzature. In politica è diverso. E' quando assisti a qualcosa di buono, anche appena sufficiente, che ti rendi conto di quanto è desolante il panorama davanti al quale sei uso sedere. Non che occorra ascoltare qualcuno bravo per arrivare a capire che una divisione dell'atomo in tre parti e la sua conseguente sparizione è probabilmente l'esito naturale di qualcosa che era già inutile di per sé. Non che sia necessario ascoltare la voce calda di un nero dall'altra parte dell'oceano per deprimersi di fronte alla stridevolezza del sindaco di una delle maggiori città italiane e alle corde vocali impastate di tabacco di un presidente di regione: avevano promesso la primavera e si sono impantanati in un eterno inverno. E non che servisse ascoltare qualcuno decente per arrivare a capire che per le sacrosante (almeno alcune) istanze avanzate dagli ambientalisti dei noantri serviva qualcuno con un equilibrio e una credibilità maggiori dell'armata brancaleone che si è cencellizzata le comparsate in tv (e il micropotere) per anni fino a diventare extraparlamentare. E' però utile, all'indomani di quella che solo in un panorama così scarsamente stimolante può essere definita la "rivoluzione verde" di Obama - laddove chi ha la reale percezione della questione la individua come un primo, deciso sì ma primo passo -, andare a riguardarsi quello che il Pd scriveva nel programma elettorale per mobilitare le masse su un problema cruciale per la stessa sopravvivenza del genere umano da queste parti: "La piena integrazione del criterio della sostenibilità e della qualità ambientale in tutte le politiche pubbliche. L'intervento diretto dello Stato, attraverso meccanismi di premio, e non con nuovi enti/società, nel settore dell'ambiente, sul quale costruire una nuova frontiera di leadership tecnologico-industriale". Parole da far venire i brividi, no? Provate a raffrontarle con queste: "Cinque milioni di posti di lavoro e millecinquecento miliardi di investimento nei prossimi dieci anni per sviluppare il settore delle energie rinnovabili; limitazione delle importazioni di petrolio dal Venezuela e dal Medio Oriente; un milione di auto ibride sulle strade entro il 2015; obiettivo del 10 per cento entro il 2012 e del 25 per cento entro il 2025 di percentuale di energia elettrica utilizzata derivante da fonti rinnovabili". Questo era il programma di Barak Obama per il quale il neopresidente ha già presentato un piano dettagliato a cinque giorni dal suo insediamento. Ecco, insomma, la si è fatta come al solito lunga per illustrare che le cose vanno dette credendoci, altrimenti non si può pretendere che ci credano quelli che ci ascoltano. E poi vanno anche fatte. La si è fatta lunga per dire che l'unico big bang che servirebbe dalle nostre parti dove non batte più il sole è un leader (sì, un leader) capace di parlare uscendo dall'infinito pantano, di preoccuparsi delle cose da fare (c'è solo l'imbarazzo della scelta per cominciare) e di rinunciare alle lusinghe asmatiche del breve periodo per puntare alto. Cose semplici e banali se uno guarda Barack Obama ma irraggiungibili viste da Marte, dove ci troviamo; pianeta dove le formazioni sedicenti di sinistra non bastano più le dita di una mano a contarle, dove i sedicenti riformisti si accapigliano come gli incivili alle assemblee di condominio e dove un questurino, ex solo perché ha dismesso i panni del manettaro ma non il modo di agire, scalda i cuori degli oppositori sedicenti duri e puri. Ma non è niente. E' solo che noi stiamo assistendo alla peggiore delle commedie in vernacolo di paese, di là si godono Sean Penn.

giovedì 22 gennaio 2009

Post vanitoso

Alessandro Portelli sul manifesto di oggi (se siete impazienti compratelo, sennò aspettate domani che lo mettono in rete, altrimenti fa lo stesso) amplia con gli strumenti a sua disposizione le cose accennate qui. Fa piacere essere in buona compagnia.

martedì 20 gennaio 2009

In diretta con Washington/7

Ma la notizia più bella è che se n'è andato. Finalmente.

In diretta con Washington/6

Dice Gian Giacomo Migone che nel suo discorso Obama ha fatto "un uso sovversivo della tradizione americana", declinandola in uguaglianza, fatica, libertà e speranza. Cioè: è ricorso alla tradizione ma guardando avanti. Questo riferirsi ad un universo tradizionale ma sovvertendolo, gli ha consentito di evitare di polemizzare col suo predecessore pur dicendo cose sideralmente opposte a quelle che ha detto (e fatto) Bush. Mi sembra una buona traduzione.

In diretta con Washington/5

Sì, l'ha fatto: ha giurato.

In diretta con Washington/4

Varrebbe la pena avere Barack Obama presidente anche solo per il fatto che lui ascolta Miles Davis e il nostro, di presidente, scrive canzoni insieme ad Apicella.

In diretta con Washington/3

Varrebbe la pena farsi eleggere presidente degli Stati uniti solo per avere Aretha Franklin che canta in tuo onore.

In diretta con Washington/2

Vale la pena di ringraziare Obama solo per il fatto che sta facendo cantare l'inno ad Aretha Franklin.

In diretta con Washington/1

E però, il succitato pastore ha appena detto: siamo americani, non siamo uniti per sangue o religione, ma per l'amore per la libertà.

In diretta con Washington

Ecco, ci sarà sicuramente qualcuno pronto a farmi una lezione filologica che probabilmente non capirò come non comprendo il sermone del pastore della Saddleback churc all'insediamento del presidente Usa.

Black patchanka

E' meticcio, s'insedia e la playlist di oggi ne risente con un misto nero dove prevale il reggae e padroneggiano gli stordenti Jammin-inc, un incrocio tra Bob Marley e i Ramones.

Speriamo bene

domenica 18 gennaio 2009

Antipapisti dove siete?

Sì, il blog si rende conto di star facendo sempre più le pulci alla sinistra. Allora mettiamola così e rispondetevi davanti allo specchio, ché farlo in un commento al post forse è eccessivamente impegnativo: voi che mal tollerate alcune delle prese di posizione del capo dei cattolici e meno che mai accettereste che la sua legge religiosa si sovrapponesse a quella dello stato in cui vivete, come reagireste di fronte al raduno in piazza di cattolici preganti al termine di una manifestazione? Lo accogliereste con la stessa sobria indifferenza con cui state accettando gli islamici in ginocchio rivolti verso est nelle piazze di mezza Italia?

Un po' d'aria

L'intervista di oggi di Lucia Annunziata a Toni Servillo, che ha detto parole molto condivise da queste parti.
In mezzora

mercoledì 14 gennaio 2009

C'è o ci fa?

Della questione degli ateisti che hanno pianificato una campagna pubblicitaria sui bus di Genova per la loro causa e che sta cominciando a riempire anche le pagine dei giornali ho saputo da qui. Sulle prime ho provato un'istintiva simpatia, perché quello slogan lo sento mio. Poi sulla cosa è montata una discussione tra favorevoli e contrari. L'argomentazione principale dei secondi è quella dell'inutilità del proselitismo e/o della tendenza degli atei ad assomigliare in questo modo ai credenti (aggiungo: ai più pedanti dei credenti). Ognuno di noi è libero di fare ciò che ritiene più opportuno, ci mancherebbe, compreso tentare di convincere il prossimo della bontà delle nostre idee. Il problema è che qui non si tratta di semplici convinzioni, ma di fede (per chi crede) e di impossibilità ad entrare in una certa dimensione (per chi non crede). Per questo trovo grotteschi tanto i tentativi di chi vorrebbe convincere me a credere quanto quelli di chi non crede a persuadere i credenti che dio non esiste.
Wittgenstein, Blogbabel

Questione personale

Allora, le cose stanno così: ultimamente la gente che conosce meglio il titolare della roba che state leggendo sostiene che sto diventando di destra (per chi l'avesse perso e non resistesse, e anche perché ripetersi non è la cosa più bella del mondo, qui c'è qualche cenno alla questione). L'altro giorno, parlando con una persona che mi conosce molto meno, ho destato meraviglia dichiarando che i cantautori mi hanno sempre annoiato; che non sono mai riuscito a pagare per un concerto di Guccini; che mi addormentai a un concerto degli Inti Illimani (ero bambino, però, ma non me ne pento affatto anche se ho suonato diverse volte el pueblo unido in comitiva, ma quel pezzo è un'altra storia); che salvo alcune cose di De Gregori, mi piace molto il Pino Daniele pre-rincoglionimento precoce (il live Sciò rappresenta la punta massima da cui poi si è cominciati a scendere nel precipizio); sono stato abbastanza sotto con Edoardo Bennato (col quale ho iniziato a suonare la chitarra, con i suoi pezzi intendo), poi anche lui si è rincoglionito precocemente (sarà l'aria di Napoli?); sono conformista su Battisti (nel senso che mi piace come al 90 per cento degli italiani, credo) e su De Andrè ho ripetuto le cose dette qui, aggiungendo che le sue poesie andrebbero fatte studiare nelle scuole. "Ma dai, io ti pensavo molto più schierato coi cantautori, ti piace proprio Bennato che tra loro è uno dei più fantasiosi", mi sono sentito dire. "Mi sa che hai di me un'immagine troppo ortodossa", ho risposto. Poi mi sono detto che quell'immagine, sia a chi ritiene che sto scivolando a destra, sia a chi mi reputa una sorta di comunista vecchio stampo anche se quando è crollato il muro avevo appena 21 anni, sono io a fornirla in qualche modo. Allora, metto a verbale quanto segue, anche se le definizioni non mi piacciono e sono pronto a prenderne le distanze appena finito di scrivere il post: mai avuto in tasca tessere che non fossero bancomat o di qualche circolo Arci in cui si faceva musica dal vivo o di qualche cineteca; sempre visto con sospetto le ortodossie di ogni tipo, tanto che la mia partecipazione alla vita della sinistra si è tradotta in una frequentazione, anche attiva, di centri sociali e nella lettura quotidiana del manifesto (che per chi lo conosce può avere tutti i difetti del mondo tranne quello di essere ortodosso; rigido magari sì, ma non ortodosso); mai indossato eschimi; avuti i capelli lunghi e indossato jeans sdruciti in una provincia degli Ottanta caratterizzata dal gel e della plastica molto più di quanto lo fossero le metropoli; amato Jim Morrison nell'unica parentesi in cui non era un mito per i ventenni dell'epoca (gli Ottanta, appunto); votato Rifondazione solo perché era rappresentata da Bertinotti (me ne rendo conto ora che lui è uscito di scena). Dichiaro inoltre di non riuscire a capire quelli che orfani della sinistra radicale abbracciano Di Pietro e di guardare al Pd con sconforto crescente dopo aver votato Veltroni con una certa convinzione. Se siete riusciti ad arrivare fino a qui, complimenti per la pazienza, ché vi siete sorbiti una sequela volta più a rassicurare me stesso in crisi d'identità - visti i diversi caratteri che mi si appiccicano addosso - che a comunicare qualcosa.

martedì 13 gennaio 2009

Il Medio oriente in casa

Quelli che piovono bombe dal cielo ma bisogna condannare Hamas, quelli che manifestano contro Israele e poi s'inginocchiano in direzione della Mecca per pregare Allah e quelli che cominciano a non tollerare più né gli uni né gli altri.

lunedì 12 gennaio 2009

La cattiva strada

Abbiate pazienza. Questo post sarebbe stato una battuta ed è diventato una cosa un po' più lunga e articolata per quel curioso impasto di rimandi, rimpalli mentali, coincidenze e retroterra che sovrintende le cose umane. La battuta era più o meno questa: visto l'eccesso di celebrazioni di Fabrizio De Andrè in corrispondenza del decennale della sua scomparsa c'è più di qualcuno che si sta sbagliando, che non ha letto o ha capito male le sue poesie, visto che dei semi gettati da quelle parole non si scorgono grandi frutti. Nel momento però in cui quel concetto stava per diventare un post, è insorto un dubbio: ci dev'essere dell'altro se un artista sempre in direzione ostinata e contraria riceve un tributo così corale, ecumenico, plebiscitario. E allora si è provato a darsi una spiegazione di ciò che succede con De Andrè, al di là della grandezza poetica che l'ha reso universale. E si è tentato di scorgere qualche ragione in più, meno diretta e di pancia, rispetto alla battuta.
1) Il panorama ampio di De Andrè rivela la scompostezza e la meschinità della vita di tutti i giorni; quella in cui sei pronto a maledire chi arriva un attimo prima di te e ti soffia l'unico parcheggio libero, quella dove alla macchina del caffè ti capita (se non sei pessimo) di sentirti di non poterti esimere dal sorrisino alla battuta maschilista del collega o (se sei un po' peggio) di fare tu la battuta che entra pesantemente nella vita privata di una terza persona passata di lì un istante prima; quella dove è meglio lasciar perdere le strade poco battute e buttarsi su quelle percorse dai più. Rivelandoci la scompostezza della vita comunemente considerata normale dovrebbe quindi restituirci l'immagine di noi goffi, impauriti, maldestri e maliziosi, invece no. Lo specchio in cui ci fa tuffare De Andrè cantando i margini è di un bello che non diresti mai possa arrivare dalla tragedia di Marinella o dal racconto della grettezza di un giudice. Perché De Andrè ci restituisce quello che ci manca: la dimensione della comprensione, la contemplazione della possibilità di errare e anzi la potenziale fruttuosità dell'errore stesso. De Andrè ci canta insomma il bello che abbiamo perso, quello che vorremmo essere. E piacendoci quelle parole, ci sentiamo un po' più a posto con la coscienza, un po' meglio di quello che siamo quotidianamente.
2) Piacendoci i testi di De Andrè, si sentiamo mondati, insomma. Ma non solo. Ci sentiamo anche gratificati nel gusto dell'essere contro che la nostra fame di integrazione ci ha fatto ingoiare ma che cova sotto la cenere (che poi ci sia chi il gusto dell'andare contro non l'ha mai provato neanche nella culla è un altro discorso). Anzi. Piacendoci De Andrè non siamo neanche costretti a fare o dire qualcosa contro, ci basta il gusto di pensare: ha ragione. E così, siamo un po' contro anche noi, pure se indossiamo tutti i giorni la camicia bianca e la cravatta blu (che poi c'è chi le indossa senza accorgersene neanche, ma anche questo è un altro discorso).
3) Nell'esplosione della De Andrè-mania c'è anche un po' di (in)sano conformismo. Perché come fai a non stare contro le prostitute che infestano le nostre strade, ma allo stesso tempo come fai a non stare con Bocca di Rosa che ha contro le comari del paesino? Come fai a non stare con Marinella anche se lei è tutte le donne che subiscono violenza ogni giorno ma tu non te ne accorgi neanche e anzi, contribuisci a volte ad alimentare l'immagine collettiva della donna che sì, è pari però anche un po' no? Come fai a non essere contro la guerra ascoltando la storia di Piero ma allo stesso tempo non accodarti a chi dice che bè, a questi musulmani occorre rimetterli al loro posto? E come fai a non essere vicino ad Andrea che aveva un amore coi riccioli neri maschio pure lui ma a non provare il gusto della battuta sulla verginità del di dietro di chi frequenta un certo tipo di locali? Ecco in tutti questi atteggiamenti che potrebbero apparire schizofrenici c'è il comune denominatore del conformismo che i testi di De Andrè mettevano alla berlina. E chissà quanto ne sarebbe contento lui, il cantore della cattiva strada, il cantore del letame da cui possono nascere diamanti, il cantore dei vicoli bui delle puttane criminalizzati di giorno e frequentati di notte, di questa unanimità conformistica; chissà quanto e se sarebbe contento allo scoprire che questa società nevrastenica che non esige altro che legge e ordine lo ama, lui, che comprese e perdonò i suoi rapitori. E allora, dopo aver detto che ha toccato con i suoi testi punte di universalità, il blog lo saluta in maniera non conformista, mandandogli a dire che Creuza de mà sarebbe uno di quei dischi che si caricherebbero sull'Ipod se si fosse in partenza senza ritorno per Marte, ma che alcune altre sue cose dal punto di vista musicale sono state davvero noiose e si salvano solo per le poesie che accompagnavano.

Giove permettendo

Imprevisti e accidenti a parte, se vi interessa la radio ricomincia a trasmettere con una qualche accettabile regolarità (e la playlist di oggi è molto rock).

venerdì 2 gennaio 2009

Se non l'avete ancora visto (recensione minima)

Come dio comanda merita il prezzo del biglietto d'ingresso al cinema. E forse anche qualcosa (forse molto) di più.

Buoni propositi (il lato oscuro della tecnologia)

Qui si continuano ad acquistare e ricevere in regalo delle calamitanti Moleskine ma sempre più spesso, compressi dal tempo che manca per mettere nero su bianco le cose, per ricordare quelle fatte in un determinato giorno o periodo si riesumano scontrini, biglietti di mezzi di trasporto vari e/o di mostre ed eventi seguiti, si consulta il registro delle telefonate fatte e ricevute al cellulare e quello degli sms. A volte, addirittura, si ricorre all'estratto del conto corrente e non di rado alla rete. Nel 2009 ci si ripromette di tornare alla cara, vecchia scrittura con carta e penna.

giovedì 1 gennaio 2009

In musica

Il post che inaugura l'anno ha un sapore sempre un po' speciale e il titolare qui cercava un argomento all'altezza per cominciare il 2009. Il pretesto me lo dà una sorta di gioco che s'è fatto la notte appena alle spalle. Prendendo spunto da un vecchio speciale di Xl, è stata messa a confronto la classifica di diverse persone lì presenti dei tre album "da avere assolutamente" dei Rolling Stones. Qui s'è risposto: Sticky fingers, Exile on main street e Beggars banquet (l'ordine non è casuale). Poi è spuntata la rivista e, complici i numerosi brindisi, tutti hanno ritenuto di leggere che quello era lo stesso trittico scelto dal redattore (che pur se tacciato di sparare cazzate, si chiama sempre Bertoncelli). Poi si è tornati a casa, si è scovato l'articolo e si è constatato che le due classifiche non coincidono perfettamente. Poco male, Let it bleed, cioè l'ellepì che rende le due graduatorie non coincidenti, il titolare qui l'aveva comunque inserito tra i "quasi fondamentali", cioè dove lo stesso Bertoncelli colloca comunque Exile on main street. Per la cronaca, mentre avveniva tutto questo dallo stereo suonava It's only Rock'n'roll e cinque pargoli, il più anziano dei quali nato a distanza di venticinque anni dall'uscita del disco, si dimenavano a ritmo.
PS: a proposito, come diceva quello: buon anno ragazzi.
Wikipedia, Xl, Youtube