lunedì 21 marzo 2011

Da profano

Qualcuno forse un giorno ci fornirà una compiuta illustrazione dei reali motivi dell'accelerazione improvvisa nella guerra a Gheddafi. Petrolio, volontà di ridisegnare una mappa geopolitica inserendosi nella sopravvenuta instabilità, contenimento dell'avanzata cinese in Africa, una spruzzata di diritti umani e quant'altro. O, più verosimilmente, un po' di tutto questo saggiamente dosato. Di certo, dopo le sollevazioni di Tunisia, Egitto e Libia, quella della guerra è l'ennesima sorpresa che coglie un po' tutti. Anche perché, a leggere commentatori non del tutto sprovveduti nei giorni a ridosso della decisione di muovere guerra, a tutto si pensava tranne che a un così repentino intervento (qui e qui un paio di esempi). Questo giusto per mettere in chiaro che non è questo il post dove si daranno interpretazioni che farebbero sorridere per la loro lacunosità, vista anche l'oscurità in cui brancola gente a cui ci si rivolge per capirne qualcosa. E non sarà neanche il post in cui si sparerà su un pover'uomo - inopinatamente capo di governo - che dopo aver baciato le mani, fatto affari e firmato trattati, si trova costretto a rincorrere i bombardieri altrui per non rimanere indietro nella spartizione del bottino di guerra - fase nella quale l'Italia, essendo stata fino a ieri il principale partner commerciale della Libia, avrà solo da perdere. Il punto semmai è questo: poteva l'Italia svolgere un ruolo di mediazione, cerniera e moral suasion nei confronti di Gheddafi nel momento in cui la situazione in Libia precipitava (ruolo che il suo passato coloniale e il suo presente di partner commerciale facevano apparire agli occhi di un profano quasi naturale)? Cosa l'ha impedito? Troppo forti Francia e Gran Bretagna? Troppo arduo fare fronte comune con la Germania? Meglio tenersi con le mani libere per conservare quel ruolo predominante in Libia che gli avvenimenti di questi giorni rischiano di ridimensionare pesantemente? Rispondere è tanto difficile almeno quanto è forte la tentazione di concludere che l'opacità della posizione italiana è frutto della scarsezza della sua diplomazia. Ma è l'opinione di un profano.

giovedì 17 marzo 2011

Visti da lontano

Ma com'è stato possibile che voi, quelli che "teacher leave your kids alone", quelli che la scuola era da cambiare e i professori che avevate (alcuni, non tutti) erano da (ri)mettere sotto naftalina; voi che volevate rompere gli schemi, andare oltre, riformare, se non rifondare; quelli che "il proletariato non ha nazione ecc..."; ecco, com'è possibile che vi ritrovate a difendere tutto, a dare l'idea di quelli che vogliono che tutto rimanga uguale a se stesso, dalla scuola alla Costituzione; e ci fate sopra manifestazioni in cui sfilate col tricolore in mano? Voglio dire: che ci siano soggetti che nel tempo cambiano opinione, questo blog l'ha sempre ritenuto un fenomeno vitale. Ma che un'intera parte politica subisca una trasformazione così lenta, impercettibile e profonda da ribaltare quasi il senso del suo stare sulla scena, pone interrogativi. E anche risposte. Ad esempio questa: il berlusconismo ha cambiato tutti, anche voi che berlusconiani non siete mai stati; non illudetevi. E così vi ritrovate a difendere la scuola pubblica così com'è: sclerotizzata, con professori improbabili a insegnarci dentro e, spesso, fuori dal tempo. Sdilinquite per il Benigni sanremese istituzionalizzato e - a tratti, solo a tratti, non fraintendete - quasi nazionalista. Appendete il tricolore al davanzale dopo averci messo, anni fa, l'arcobaleno della pace. Ma che è successo? E' successo che - hai voglia a essere ottimista e a vedere il bicchiere mezzo pieno - siamo tutti da anni impegnati in una spesso neanche troppo onorevole ritirata. E per non sprofondare troppo giù, difendiamo quello che un tempo volevamo superare per andare più su. Con la non trascurabile conseguenza di apparire conservatori. Certo, ci sono state ragioni anche al di là delle nostre incapacità; certo, meglio una scuola pubblica sgangherata, che il ritorno al censo, al liceo per la borghesia e agli istituti, se va bene, per i subordinati; meglio l'Italia unita da Pordenone a Palermo che la Padania e chissà cosa sotto. Però ammettetelo, se cantate a squarciagola l'inno di Mameli brandendolo come arma politica è perché l'orizzonte si è ristretto. E quel tricolore sventolatelo almeno con meno baldanza, che i tempi sono quelli che sono.
PS: qui, qualcosa di analogo, magari più lucido e sofisticato.

martedì 15 marzo 2011

Intraducibile

Nella successione di immagini inimmaginabili e del fiume di parole che si vanno accavallando da venerdì scorso, una in particolare mi ha impressionato. L'inviato che l'ha citata l'ha spiegata più o meno così, per illustrare il modo in cui nell'altra parte di mondo stanno fronteggiando la sciagura che gli è toccato di sopportare: volontà di "tenere" per non avere la vergogna di essere un peso per la comunità di cui si fa parte. E ha concluso che la parola giapponese che aveva appena citato è intraducibile in italiano.

Nuclear era

Non ho elementi di conoscenza sufficienti a disposizione per essere in maniera convinta pro o contro il nucleare. di certo, la paura di eventuali contaminazioni e il problema dello smaltimento delle scorie, mi fa tendere a stare dalla parte dei contro, ma sono disposto a sentirle, le ragioni degli altri. Chiederei solo che di fronte a disastri di portata epocale, i sedicenti moderati nonché teorici della fine delle ideologie, usassero un po' del pragmatismo che consigliano a quelli che loro sono soliti definire comunisti, per prendere in esame la questione in maniera un po' più problematica rispetto all'approccio ottusamente furente e ideologico che stanno utilizzando.

lunedì 14 marzo 2011

mercoledì 9 marzo 2011

C'è di meglio (per fortuna)

Ieri sera dopo aver visto la copertina di Crozza e il primo intervento di Vendola a Ballarò, stavo per passare dalla sedia della cucina al divano in sala con l'intento di seguire la trasmissione. Poi la Brambilla ha elargito del falsario, prima a Vendola poi alla Perina. Ho spento la tv e ho ricominciato a leggere dalla pagina che avevo lasciato in sospeso prima di cena.

Dimenticavo

A furia di sciogliermi nell'ascolto, stavo per omettere di scrivere che l'ultimo di Paolo Benvegnù è con tutta probabilità il suo miglior disco.

Anonimi

Una delle conseguenze dell'ascolto di musica digitale su supporti sempre più trasportabili, maneggevoli e piccoli e che consentono una fruizione comoda ma forse eccessivamente "fast" dei brani in playlist personalizzate, è che i pezzi, oltre ad essere decontestualizzati rispetto alle intenzioni degli autori, vengono resi anonimi. Cioè: Pride degli U2, pubblicata nell'84, è semplicemente Pride, non è "la seconda di Unforgettable fire". Si dirà: ma quello è stato un hit mondiale. Ok, sarò stato, all'epoca, un fan dissennato ma per me, rimanendo a quell'Lp, Bad è Bad, non "la settima ecc...", "4th of July" ha un nome, non è "la sesta ecc...". Pensate a un disco bello che avete ascoltato tanto. I titoli dei pezzi ve li ricordate come se li aveste ascoltati ieri. Anzi, magari non vi ricorderete della posizione. Per esempio, se vi dicessi che "la prima di Sticky Fingers spacca", esitereste un momento, ma se vi dico che Brown sugar degli Stones è uno dei migliori pezzi rock mai scritti, capite subito di cosa si sta parlando. Oggi invece no. Sarà la vecchiaia incipiente ma io di due album recentemente pubblicati che giudico vicini al capolavoro, "In Rainbow" dei Radiohead e Grinderman 2, così, su due piedi, non ricordo un titolo. Saprei solo dirvi che le prime quattro di "In Rainbow" sono da cineteca (sì, da cineteca, perché fanno viaggiare come se si fosse al cinema), e che la medesima sequenza di Grinderman 2, ad ascoltarla, ti viene voglia di aprire la finestra e urlare al mondo che in quel momento forse potresti anche riconciliarti con lui. Ma i titoli no. Non riesco a ficcarmeli in testa. Questione di digitale o di rincoglionimento? Non lo so, fate voi. Più la prima, però, secondo me. Con un pizzico di seconda.

venerdì 25 febbraio 2011

A volte

La canzone di Giusy Ferreri è una delle tre cose da salvare di un festival di Sanremo tra i più dimenticabili di quelli che io ricordi (ed è tutto dire). Le altre due sono: sprazzi di Luca e Paolo e il pezzo dei La Crus, non al loro massimo, ma per ben figurare a Sanremo basta poco. Ora, sulle ultime due i guardiani dell'ortodossia sinistrorsa saranno pure d'accordo. Immagino invece che sulla Ferreri ci sia sorpresa. La stessa mia che non la conoscevo se non per la partecipazione a un talent che non amo e che, tentando di documentarmi un po', mi sono imbattuto in questa cosa qui e ho pensato che i conti tornano, a volte.

martedì 15 febbraio 2011

Risolvere i problemi

Questa dichiarazione si commenta da sé agli occhi di qualsiasi normodotato. Vale la pena soffermarvisi però, perché che ad incupirsi a causa dell'efficienza di una Procura (sic!) sia un pasdaran del berlusconismo; un elettore del Pdl al bancone del bar dopo il terzo grappino o un'elettrice stordita da mariadefilippi mentre finisce di friggere dolci di carnevale e distrattamente ascolta il tg1, darebbe solo il senso del baratro sociale in cui è precipitata l'Italia ai tempi della seconda repubblica. Che invece quella stessa affermazione provenga dalla riflessione di un sottosegretario alla Giustizia, è il sintomo di come chi si ostina a sostenere che questo governo tutto sommato non ha agito male e sfida B. a governare piuttosto che pensare ai suoi affari personali, non ha capito che, se è vero che con la fuoriuscita di B. l'Italia non avrà risolto i suoi problemi, è altrettanto vero che senza la fuoriuscita di B. l'Italia i suoi problemi non li affronterà mai.

giovedì 10 febbraio 2011

Moralista? Ma dde che?

Domenica tornerò a manifestarmi in piazza, portando mia figlia, dopo non so quanti anni. Le ragioni le hanno scritte meglio di quanto saprei fare io qui. Sarò in piazza sapendo, a differenza di tanti anni fa, che molti di quelli avrò attorno mi stanno lontano anni luce; che a volte sono peggiori di chi denunciano; che io stesso non faccio parte di nessuna schiera degli eletti; che già in partenza so che qualche slogan mi farà incazzare; che la manifestazione probabilmente non servirà a niente. Ma ci sarò, perché ho l'impellenza di esprimere che con questa prostituzione diffusa - con le chiappe utilizzate a posto del cervello per far carriera, con chi ce le mette e con chi le valorizza - io non c'entro proprio nulla, neanche di striscio. Ci sarò perché sto a disagio qui così. E perché ho l'impotenza di non poter sostenere e valorizzare quest'idea in altro modo.

mercoledì 9 febbraio 2011

Andromeda Maria

Su Radio2 potrete ascoltare da venerdì il nuovo singolo di Paolo Benvegnù, qui da subito. E ne vale la pena, come al solito.

Sol uomo

A veder schierati i partigiani delle libertà mentre difendono come un sol uomo l'indifendibile, il primo moto è di sorpresa (ma come si fa?), il secondo di rabbia (ma come si fa!!), il terzo è una domanda irrazionale (ma sono dotati di comprendonio anche loro?), il quarto è una delle risposte possibili a quella che viene definita l'anomalia italiana: sì che sono dotati di intelligenza, solo che sono loro stessi imprigionati nel carcere d'oro in cui li ha ficcati il loro (sol) uomo: il problema dell'Italia oggi non è solo o tanto il fatto di non aver un'opposizione all'altezza della situazione, ma anche e soprattutto quello di avere una maggioranza senza la forza di trovare alternative all'indifendibile che sta a palazzo Chigi.

sabato 29 gennaio 2011

Stupefacente

La cosa che stupisce di più di quest'uomo non è tanto l'inorridente vacuità o il fatto che se ne circondi una delle massime cariche istituzionali. E' che riesce a prendersi per il culo da solo facendo sue le massime di Cetto La Qualunque, caricatura che non sarebbe mai nata se in giro non ci fosse gente come lui.

lunedì 24 gennaio 2011

A mani giunte

Ora che Bagnasco ha parlato e che voi che ne avete spesso (quasi sempre, giustamente) denunciato le intromissioni in cose italiane avete ascoltato più o meno le cose che avevate atteso a mani giunte per giorni, fatemi mettere a verbale che un paese in cui la parola delle gerarchie cattoliche fosse un po' meno sovradimensionata e restituita al rango che merita, forse non si troverebbe nello stato osceno in cui si trova oggi l'Italia. Sì, lo so che in questa Italia, purtroppo, leggere in controlouce le parole delle gerarchie cattoliche è di cruciale importanza per capire le cose. E infatti stiamo così: a mani giunte ad aspettare Bagnasco.

sabato 22 gennaio 2011

Sottosopra così

In un paese sottosopra così, succede anche che ti tocca sentire spiegarti come tornare - no, dico, tornare - a vincere, da uno così. Ma per favore.

venerdì 21 gennaio 2011

"Non molto"

Uno cerca di capire, prova a leggere. Perché nonostante i paradossi, le esagerazioni bulimiche, l'abuso di potere dell'ancora presidente del Consiglio siano ormai di un'evidenza accecante, molta gente comune - non il diretto interessato, non i miracolati che crolleranno insieme a lui, che è normale - si ostina a non voler vedere? Christian Raimo oggi sul manifesto dà una lettura che, anche se solo parzialmente, contribuisce a far capire qualcosa (qui).

mercoledì 19 gennaio 2011

E comunque

Se per voi la candidatura e conseguente elezione in consigli provinciali, regionali, financo in parlamento, in cambio di seratine hard (tutto da provare, però le intercettazioni e i fatti - debitamente ricollegate le une agli altri - a questo sembrerebbero portare); se l'intervento notturno via telefono per bypassare la legge sfruttando la propria autorità e, così, tirare fuori da una caserma una giovane fermata per furto; se lo scambio corpi-favori-carriere che pare emergere dalla ricostruzione delle serate del presidente del consiglio; ecco: se per voi tutto questo è privacy, be', è evidente che avete qualche problema a livello mentale. Tu puoi fare tutto quel che vuoi, ma quando sfrutti la tua posizione pubblica per questioni private, io - che faccio parte del pubblico - sono autorizzato a mettere becco. Non mi sembra un concetto così arduo da capire. Ma a ben vedere questa non è che l'ultima, pecoreccia sfaccettatura del conflitto di interessi che ci domina da lustri, ormai. Altra è la pena che si prova nel vedere un uomo così alla deriva, costretto a pagare per palpeggiare carne fresca e farsi ascoltare mentre canta e racconta barzellette: quelle sì che sono questioni private, penosamente private.
PS: sono tornato a sprecare un po' di bit sulla questione perché mi sembra che gli arcoriani si stiano attestando penosamente sulla linea di difesa della privacy violata del premier, appunto. E tralascio il discorso su quanto quell'argomento risulti strumentale e inconsistente se sventolato da chi sta dalla parte di uno che ha fatto del suo privato (seppur taroccato) una questione pubblica, a cominciare da "Una storia italiana", do you remember?

martedì 18 gennaio 2011

Che dire?

Che dire?
Che siamo così messi male da essere monopolizzati e dedicare ettolitri d'inchiostro e quantità tediose di bit a una questione generata dalle patologie di uno che è partito per la tangente.
Uno sul quale ogni parola ormai è di troppo o troppo poco.
Uno da cui la sua stessa parte politica, se fosse una parte politica e non un'accolita di rancorosi e miracolati, avrebbe saputo già liberarsi.
Uno che ha occupato uno spazio esorbitante perché ha saputo intuire che intorno aveva un vuoto cosmico e ha avuto il talento di riempirlo di enormità.
Uno che ha elevato la paraculaggine a scienza politica. 
Che dire?
Che siamo messi male.
Tanto.
Da tanto.
Vuoti a perdere.
Siamo.
Grazie ad Aldo Nove

martedì 11 gennaio 2011

Carne e ossa (post autocritico)

Poiché penso che siamo tutti un po' stronzi, noi che si parla di operai senza senza cognizione di causa; noi che magari sì, conosciamo "il padrone" ma non la fabbrica, non la catena; noi che "sì il referendum è da firmare perché se no bla bla bla" e noi che "no il referendum non si deve firmare perché se no bla bla bla"; noi che "non esistono solo gli operai delle grandi fabbriche e non è giusto che di Mirafiori si parli tutti i giorni mentre se chiudono dieci fabbriche da cinquanta operai l'una sono 500 posti in fumo ma se ne fregano tutti"; noi che "la globalizzazione porta per forza a rivedere le cose" e via discorrendo, segnalo a chi non l'avesse vista questa cosa qui, perché a me ha fatto un po' impressione e, appunto, mi ha fatto sentire un po' stronzo.

lunedì 3 gennaio 2011

Wizzo Awards 2010

  • Disco: Grinderman - Grinderman 2
  • Libro: Antonio Pennacchi - Canale Mussolini
  • Film: Avatar

venerdì 17 dicembre 2010

In ascolto

Interrompo il lungo silenzio dovuto a motivi non dipendenti dalla mia volontà (come si dice in questi casi) ma da cause di forza maggiore, per dire che mi propongo di tornare più di frequente e che ho scritto poco ma ascoltato molto in questi ultimi tempi e mi sono reso conto che gli ultimi cd acquistati sono rigorosamente italiani. Di due, Sud sound system e Africa Unite, mi limito a riferirvi che se non li avete ascoltati e avete voglia di sereno anche quando il cielo è grigio, vale la pena averli a portata di mano. Di altrettanti, Massimo Volume ("Le cattive abitudini") e Marlene Kuntz ("Ricoveri virtuali e sexy solitudini), che il primo è bellissimo, a tratti emozionante, e arriva subito (da avere); che il secondo arriva al quarto-quinto ascolto e poi cresce ogni volta che lo metti su.

martedì 2 novembre 2010

Replica

Pare che per replicare alla sequela di sdegnate reazioni alla battuta del presidente del Consiglio sui gay, palazzo Chigi stia per diramare una dichiarazione alla stampa che dovrebbe avere il seguente tenore: "Portatemi le vostre sorelle".

Più e meno

Ho un'età sufficiente per ricordare che quando Craxi e Andreotti, che sembravano immortali, caddero sotto Tangentopoli, mi sembrò di vivere un momento storico che non avrei mai pensato si potesse avverare. Oggi siamo alla vigilia di una caduta che sarà al tempo stesso più fragorosa e meno solenne.

giovedì 14 ottobre 2010

Shake

Prendete il meglio dei Birthday Party e dei Bad Seeds. Mettete il cantante di entrambi i gruppi al microfono e affiancatelo con alcuni dei Bad Seeds. Mescolate bene: è il secondo album dei Grinderman.

mercoledì 13 ottobre 2010

Giustizialista

Se la radio rimane accesa quando spengo la macchina, alla rimessa in moto dell'auto, riparte anche l'audio. Questo stava succedendo poco fa mentre uscivo per la pausa pranzo, ma poiché ero partito con l'intenzione di ascoltare il cd già inserito nel lettore, ho dato il comando ma la radio era già partita e ho fatto appena in tempo ad ascoltare le parole: "Anch'io sono stata dossierata diverse volte", che mi hanno acceso la curiosità e mi hanno fatto tornare indietro - alla radio, intendo - giusto per gli attimi necessari a realizzare che il timbro di voce della sedicente dossierata era quello di Daniela Santanchè: mi sono immediatamente rituffato nell'ascolto del cd.

mercoledì 29 settembre 2010

De profundis

Il fatto che parte dell'elettorato (elettorato dico, non solo i dirigenti, ché alle topiche che prendono loro ci siamo abituati) del Pd occhieggi con simpatia (pardon: abbia occhieggiato, perché temo che il voto di fiducia di oggi scandito oggi dai futuristi getterà nello sconforto quel "popolo") ai finiani, la dice lunga sullo stato culturale, prima ancora che politico, della sinistra in Italia.

martedì 21 settembre 2010

L'alieno

Ci sarebbe da ragionare su un bel po' di cose che stanno succedendo. E linkare un articolo su Mourinho, pubblicato peraltro poco meno di una settimana, fa può apparire bizzarro. Ma è un pezzo che parla dell'Italia, non solo di Mourinho; e non solo di calcio. Ha quindi una sua validità, anche se uscito qualche giorno fa perché sfugge alla cronaca del giorno per giorno. E poi qui, a voler essere benevolenti, un po' bizzarri lo si è. E poi chi è senza bizzarrie scagli la prima pietra. L'articolo è questo.

lunedì 30 agosto 2010

Nuovo Ulivo?

C'ho pensato su. E ho concluso, per quel che può importare, che c'erano davvero pochi modi meno appetibili per Bersani per rientrare in politica dopo le ferie.

mercoledì 25 agosto 2010

Riuscire a fare la pace

Ma, insomma, che la sinistra abbia più di un problema, noi sinistri cani sciolti ce lo ripetiamo praticamente fin da quando abbiamo cominciato a masticare un po' di politica. Tanto che forse il problema comincia con noi, che non è un noi generazionale (di 'sti quarantenni orfani di tutto): è un noi trans-solidaristico (un po' come il partito radicale dei tempi andati, era il partito radicale, no?, quello trans-tutto). Un noi che abbraccia tutti quelli che quando il bicchiere è pieno a metà, si concentrano sulla parte vuota; usi a fare i conti con la perfettibilità e allergici ai proclami. Ecco, noi lo sappiamo che i partiti per i quali nel corso degli anni abbiamo votato sono pieni di gente che non ci piace. E sappiamo che quando quelli che avevamo votato sono andati al governo, più di una volta abbiamo storto bocca, naso e orecchi, di fronte a provvedimenti che non ci aspettavamo. Sappiamo anche che per due volte, una volta al governo negli ultimi anni, ci siamo fatti degli autogol che neanche Nicolai. Quelli di destra invece no. Loro rimangono a palazzo Chigi anche col respiratore automatico. Loro non si fanno male da soli. Se ne dicono come noi non sappiamo fare, e a volte se le danno anche. Ma tengono, loro. Se le danno ma tengono unito l'impossibile (date un'occhiata a caso qui, se vi va: vi si parla di donne-ancelle di partito, di berlusconismo riconducibile a editto-e-slogan e altre amenità e tenete conto che questi ancora governano con B.). Ecco, loro, quelli di destra, ce l'avranno qualche problema? E' che loro i problemi non li vedono, o meglio, li scansano: l'importante è tenere, anche quando è impossibile. Si vergognano, magari, dopo anni di fango gettato su chi diceva cose anche più moderate di quelle che vanno oggi sbraitando loro, che, ribadisco, sono ancora al governo con B. Ecco, una domanda da sinistro disastrato: ma non pensano, quelli di destra, che se le due espressioni più performanti di uomini di governo partorite dalla loro parte politica da poco meno di un secolo a questa parte, si chiamano Mussolini e Berlusconi, sarà bene che comincino a farsi qualche domanda? Per carità, non tante quante le nostre, che ci auto-conduciamo all'inazione, a volte, e magari ci auto-detestiamo. E che però, guardandoli, quelli di destra - tanto quelli che si torcono e, oggi, si vergognano, quanto quelli che vergogna non conoscono - tronfi nelle loro sicurezze, riusciamo quasi a fare la pace con noi stessi.

lunedì 23 agosto 2010

Gemme punk

Dopo parecchio che non mi capitava, mi è successo - imbattendomi in un paio di gruppi che, sebbene suonino da tempo, non conoscevo se non di nome - di ritrovare dischi da consumare. Quelli che te li porti in macchina e speri che il viaggio duri il più possibile; quelli che appena puoi te li spari in casa. Quelli che, dopo mesi, anni, di cose tiepidine, dici: oh, finalmente. Si tratta dei due ultimi lavori dei Bud Spencer Blues Explosion (Bsbe) e dei Black Keys. Non starò a farvi una assai poco interessante e molto ritardata recensione (ammesso che non li conosciate, qui e qui potete saggiarli). Quello che mi va di notare è la fecondità di questa nuova attitudine punk. Attitudine, ho detto. Entrambi i gruppi sono un duo: chitarra e batteria. I Bsbe, che ho avuto la fortuna di vedere dal vivo, ci salgono anche sul palco con quella formazione. Senza nessuno a supportarli: no tastiere, no marchingegni elettronici: un duo autentico, insomma, con la sfrontatezza di aprire il set con una cover di Hendrix senza basso senza far rimpiangere l'originale e proseguendo poi con roba loro (tolta una roboante Hey boy hey girl dei Chemical Brothers). Gli altri, i Black Keys, si fanno sì aiutare, ma la loro musica rimane spiccatamente chitarra-e-batteria. E' questo, al di là di qualche venatura che pure c'è, che li fa entrambi punk: l'aver deciso di fare musica anche se manca uno di quegli strumenti che hanno fatto la storia del rock, il decidere di farlo come viene, mettendoci tutto il talento a disposizione. L'aver deciso, quando erano ancora ragazzini in un garage, di salire sul palco metaforico non rispettando i canoni. Un po' come i due folk-punkettoni Pan del Diavolo, che pestano sulle loro chitarrone acustiche e sulla cassa a-la Bennato come fossero Syd Vicious, ma senza distorsore. E' così che nascono le cose buone, prendendo il buono che c'è stato ma guardando avanti. Musica se ne può fare in tantissimi modi: ce l'ha insegnato il punk, che ancora, in alcuni casi anche senza distorsori, fa nascere gemme.
Update: a proposito di bassi e per capire meglio la sfrontatezza dei gruppi di cui si parla.

giovedì 24 giugno 2010

Lì-qui (the end)

Ecco, è finita: ha vinto la Slovacchia e l'Italia è ultima nel girone del primo turno. Appunto, è il 2010, non l'82.

Lì-qui

Mancano venti minuti all'inizio, ma chi l'avrebbe detto che Italia-Slovacchia l'avremmo vista con l'emozione da dentro-fuori che si poteva provare, che so, in Barcellona-Inter? Si, vabbè, anche nell'82 con il Camerun ecc... Ma basta! Lì c'erano Bearzot, Pertini e Berlinguer; qui Lippi, Berlusconi e Bersani. Non vorrei deprimervi, ma è proprio così e il fatto che si riesumi sempre l'82 invece del 2006 (dove pure l'Italia ha vinto la coppa del mondo) la dice lunga sulla forza di quella nazionale. Poi sì, visto che il tifo non lo guidi razionalmente, forza Italia. Però, basta 82: era un altro mondo e il peggio doveva venire, non c'eravamo immersi.

lunedì 10 maggio 2010

Amen

Che la frase pronunciata da Letizia Moratti sui clandestini che "normalmente" delinquono sia una cialtronata clamorosa lo dimostra l'imbarazzo dello stesso sindaco di Milano quando, richiesta di una spiegazione, nega scivolando sullo specchio sul quale tenta di arrampicarsi. Spiegare l'ovvio è frustrante, ma vale comunque la pena di ricordare che tanti/tante dei/delle badanti stranieri che vivono sepolti ventiquattr'ore su ventiquattro nelle case dei malati e/o anziani italiani che assistono, non hanno i documenti in regola con le leggi italiane per il soggiorno in questo paese. Sono clandestini, quindi, secondo la definizione della vulgata. Eppure, oltre alla legge che li condanna ad essere invisibili, non contravvengono ad alcuna altra norma. Anzi, suppliscono a buon mercato alle carenze dello stato sociale. Ma sono altre due le questioni che colpiscono dell'esternazione morattiana. Primo: le parole del sindaco appaiono dotate della forza del buon senso. Clandestino=fuorilegge=delinquente è un'equazione apparentemente di evidenza solare. La spiegazione appena offerta da questo modesto blog quindi, è frustrante ma utile. Serve a dire ai tanti di presunto buon senso che votano anche a sinistra: attento che non è proprio così; anche se l'equazione appare di un'evidenza solare, di cialtroneria si tratta. Cioè di parlare a vanvera nel senso squisitamente tecnico del termine. Cioè di non sapere di cosa si sta cianciando, di sfidare l'evidenza. Normalmente chi sfida l'evidenza e/o la nega, riesce a percorrere poca strada con le argomentazioni deboli che si ritrova nel bagagliaio. Nel caso della Moratti non è così. Presi dalla paranoia securitaria e intossicati dalla tv, si arriva a ritenere più reale un racconto dell'esperienza di vita che ognuno di noi ha fatto. Perché ognuno di noi sa di qualche anziano o malato badato da clandestini. Ma ognuno di noi (quasi ognuno di noi), confondendo il virtuale del racconto televisivo col reale della vita, pur non avendo subito alcun torto dai clandestini stessi, è convinto che i clandestini siano pericolosi di per sé. Secondo: la signora Moratti, sindaco di Milano, è la prova provata di quanto si è appena cercato di argomentare. Lei è così intimamente e cialtronescamente convinta che i clandestini siano ontologicamente delinquenti, dall'averlo scandito dal pulpito. Salvo poi dover far marcia indietro perché a tutto c'è un limite. Eppure, il messaggio è passato e quello rimane: i clandestini sono delinquenti. Scambiatevi un segno di pace, amen.

lunedì 3 maggio 2010

Pubblico e privato

A volte la rigidità fa brutti scherzi. E spesso chi ha scoperto (o almeno pensa di averlo fatto) di essere stato eccessivamente rigido in passato, rischia di trovarsi costantemente in mezzo ai flutti. Sballottato nell'oceano dell'incertezza, seppure non senza certezze. La necessità di sottrarre l'acqua agli interessi privati e ai tentativi di farne un mezzo per raggiungere profitto, per esempio, per me è una certezza. Stesso discorso vale per scuola e sanità, materie nelle quali la stella polare deve essere il raggiungimento di obiettivi di eccellenza per la qualità della vita della popolazione. E, poche storie, quando il privato mette le mani su qualcosa, solo un disonesto o un minus habens può venirti a dire che lo fa per il pubblico interesse. Non ho la minima esitazione quindi a schierarmi a favore del referendum per l'abrogazione delle norme che obbligano a immettere  soggetti privati nella gestione dell'acqua. Detto questo però, non riesco a turarmi gli occhi per non vedere che alcune delle società pubbliche che gestiscono l'acqua, vengono considerate come vacche da mungere per appagare gli appetiti di questo o quel candidato trombato da risarcire con l'inserimento in qualche consiglio d'amministrazione, o utilizzate come merce di scambio per appalti e/o affari più o meno torbidi. Qui si è convinti che il referendum contro la privatizzazione dell'acqua sia sacrosanto e anche che su questo si riscontrerà una maggioranza sorprendente e trasversale. Semplicemente perché l'acqua è come l'aria e solo il Pd o l'Idv riescono nell'impresa di non capire che su questo si incontrerà il favore di moltissimi. Sottacere però che accanto alla pubblicizzazione dell'acqua, vanno messi seri paletti affinché gli acquedotti italiani, tanto per fare un esempio, non dissipino tanto liquido quanto quello che portano nelle case, sarebbe un errore. Pubblica sì, l'acqua. Sottratta però, tanto agli appetiti dei privati, quanto a quelli di chi utilizza le società pubbliche per fare affari privatissimi, indebolendo così la gestione pubblica perché la si rende - a ragione - imputabile di sprechi e inefficienze. Se si vuole il pubblico, lo si deve pretendere di qualità e non solo perché è lo strumento che permette di tenere lontano il privato.

venerdì 23 aprile 2010

A, B, C

A) Che nelle direzione nazionale di un partito presieduto da una persona che è anche editore (non è la solita pappa sul conflitto di interessi, tranquilli) si parli di assetti proprietari di un giornale in questi termini, la dice lunga sulle panzane sulla libertà di stampa. La stampa, la singola testata e i giornalisti che ci lavorano, non sono liberi, nel senso che comunemente si dà all'aggettivo. Hanno dei proprietari che a loro volta sono guidati da interessi per far valere i quali si stipulano alleanze, si fanno contratti pubblicitari eccetera.Questo non sopprime la libertà di testate e giornalisti. Ma di certo la limita. Nel senso che il singolo giornalista mai potrà scrivere tutto quello che davvero pensa (ammesso che pensi), perché c'è una linea; e la linea è dettata da interessi. La libertà vera è semmai quella del lettore, che per esercitarla però, abbisogna di almeno due sostegni: in primis sapere di chi è la proprietà del mezzo di comunicazione che ha tra le mani, sapere chi sono gli alleati della proprietà, sapere quali sono i maggiori inserzionisti pubblicitari; in seconda battuta, avere la possibilità di scegliere fra diverse testate che corrispondono a diversi interessi. Solo così, ricomponendo le tessere di un mosaico complesso, si può parlare di libertà.
B) Ci risiamo: ieri sera la Carfagna ad Annozero ha esaltato la sceneggiata andata in onda alla direzione nazionale del Pdl perché sintomo di trasparenza, a differenza di quanto avverrebbe nel centrosinistra, dove per capire cosa succede dentro i partiti - ha detto più o meno la ministra - occorre leggere i retroscena dei commentatori politici. Avrei capito di più se la Carfagna avesse esaltato l'aspetto passionale del dibattito, quel sommovimento di viscere che ha portato i due leader quasi a sputarsi in faccia. Avrebbe potuto dire, miss Mara, che quello è un partito dove si fa politica per passione e non per interesse. Invece, no. Ha esaltato la presunta trasparenza del dibattito. Di questo passo ci troveremo all'apologia di Berlusconi che ci parla delle sue feci mattutine in diretta tv. E ci sarà subito qualcuno a dire: vedete che uomo genuino e vero che è il presidente, non nasconde niente al suo popolo, parla persino dei suoi problemi intestinali. Ecco, questa del popolo è un'altra panzana. Sono anni - da quando la Lega ha cominciato a tessere successi elettorali, da quando Berlusconi ha cominciato a raccontare barzellette di dubbio gusto in paloscenici internazionali - che ci fanno sentire degli snob solo perché consideriamo disdicevole fare le corna in una foto di capi di stato, cantare cori da stadio razzisti, fare battute sull'aspetto delle persone. Certo, sono cose che molte persone normali fanno: le corna nelle foto, voglio dire, o i cori razzisti allo stadio. Ma chi l'ha detto che tutto quello che fa il popolo, o meglio, una parte di esso, sia virtuoso? E chi l'ha detto che popolo debba essere sinonimo di basso? Quella che apprezza cose del genere è la fetta più bassa di popolo, quella che tende a mediare meno tra viscere e cervello, quella che parla come gli viene. Un tempo si insegnava a pensare prima di parlare, qualcuno per fortuna lo fa ancora. Mentre oggi siamo all'esaltazione del politico che sta vicino al popolo e che come il popolo dice chiaro e tondo come la pensa, anche se questo equivale spesso a parlare senza cognizione di causa. No, quella che si è vista ieri non era trasparenza, era semmai la copia carbone dei programmi pomeridiani (Rai o Mediaset non fa differenza) di pessima fattura, dove tronisti,finte-nuore e finte-suocere, perdigiorno e personaggi vari senza la minima consapevolezza, cercano la notorietà tentando di bucare lo schermo con l'andare sopra le righe, urlando, dicendola grossa. E anzi, vedendo certe scene, cresce il timore di essere governati da gente come quella (non so per quanto tempo ancora, a questo punto), che affronta i problemi in quel modo incivile.
C) Siamo al fondo del barile. E basta con la storia della sinistra che non sa comunicare. La sinistra ha i suoi bei problemi e lo sappiamo bene. Ma se la maggior parte di chi va a votare, continua a votare questa destra, preferendola anche al più noioso dei Prodi, il problema è più loro che nostro. Bisognerà pur dirlo una buona volta.

giovedì 15 aprile 2010

Si stava meglio quando si stava meglio

Se penso a Raimondo Vianello (io lo ricordo così, geniale) mi viene in mente quando ero piccolo e mi mettevo insieme ai miei davanti alla tv. La tv che era fatta da gente che la sapeva fare. Da gente che faceva ridere grandi e piccoli perché aveva un bagaglio capiente di cultura, letture, studi, vita, creatività per farlo. Da gente che ti faceva ridere puntando a farti ridere, studiandoci. Non che ti faceva ridere nonostante non lo volesse, anzi, suo malgrado: o per come si concia, o per la solenne ignoranza che mostra davanti alle telecamere, o perché rutta ed emette peti annusandoli successivamente. Non è passatismo. Non si spiegherebbe altrimenti come mai oggi, sempre più di frequente, si ricorre a "schegge" della tv che fu per far salire gli ascolti. A schegge della tv che ha attratto tanti italiani a sé e che oggi continua a nutrire - essendo diventata un'abitudine per milioni di persone grazie alla  qualità che fu - gli ascolti della mediocre progenie che le è succeduta. Non è passatismo: è che basta prendere un cognome a caso tra Vianello, Tognazzi, Arbore, Mina, Agus, Villaggio, Mondaini e tutti quelli che vi vengono in mente se siete intorno ai quaranta e confrontarlo con uno qualunque (tranne qualche onorevole eccezione) dei volti che vedete oggi per capire che è una questione di qualità. Sì, Pasolini aveva ragione, la stortura è nella tv in sé. Ma c'è di più. Perché rispetto ai tempi in cui Pasolini cominciava a vedere l'ammorbamento della società italiana, la tv è diventata più brutta, se possibile. E' diventata tanto brutta quanto le bruttissime mamme di Adro che magari si rimpinzano di tronisti, isole e minchioni vari e che invece di insorgere contro la decisione di negare i pasti ai figli di genitori che non riescono a pagare la mensa scolastica, vomitano contro il benefattore che ha versato soldi al Comune affinché quello scempio non fosse portato a compimento e decretano il successo elettorale di sindaci impresentabili. Occhio, non ho detto che siamo tutti diventati così. Ma ho come la sensazione che a furia di scimmiottare affrancamenti ed emancipazioni si stia tornando indietro. E, quel che è peggio, convinti invece di andare avanti.

venerdì 9 aprile 2010

Le domande della vita#7

Ma davvero la priorità in Italia è data dalle riforme istituzionali? Ecco, il post poteva chiudersi qui. Oppure ce se la poteva cavare dicendo che questo blog sostiene il semipresidenzialismo a triplo salto carpiato con una spruzzata di zafferano e golden gol al posto dei supplementari. Però, poiché viviamo in un paese in cui per decenni ce l'hanno menata con il sistema bloccato - quando tutti sanno che se il Pci fosse andato al governo, anche con libere elezioni, si sarebbero scatenati i gladiatori di terra, di cielo e di mare, interni ed esterni - e poiché, nonostante dal 1994 in qua al governo siano stati alternativamente questi di qua e quelli di là, si continua a parlare di un sistema che porta all'ingovernabilità, sorge un dubbio. Che il parlare di riforme, il bicameralizzare di continuo la politica italiana, serva a non parlare d'altro o a mascherare l'impotenza dei diversi schieramenti ad affrontare le questioni che ogni cittadino normodotato mette prima delle riforme, nella scala di priorità. Io, nel mio piccolo, penso che il dedicarsi a un serio programma di innovazione basato su riqualificazioni urbanistiche, dei trasporti, energetiche e produttive a partire dal prendere sul serio le quesioni dell'ambiente e della qualità della vita (maschile e femminile) sia già un serio deterrente che allontanerebbe dal preoccuparsi di cose inutili come le riforme istituzionali. Se poi ci si mettesse un riequilibrio del peso del fisco, alleviando chi le tasse non può fare a meno di pagarle e penalizzando chi si autoriduce il reddito, di tempo per pensare alle panzane istituzionali ce ne sarebbe ancor meno. Se, infine, si decidesse di mettere mano alla formazione, alla scuola e all'università, tentando di far crescere cittadini che si sentano parte di un tutto e dando vita a un sistema che dia a tutti (tutti) le stesse possibilità di emergere (cosa che non si fa solo con la scuola ma con un abbattimento delle caste che parassitano le nostre città, e qui si apre un altro capitolo), allora proprio le riforme finirebbero all'angolo. Nel posto cioè che meritano, anche perché, detto tra noi, le riforme non si faranno mai, perché nessuno le vuole, o meglio, ognuno le vuole tagliate su misura per sé, alla faccia dello spirito costituente. Servono solo a parlar d'altro, per mascherare le impotenze, le inettitudini, le ignoranze che i rappresentanti dei cittadini italiani hanno portato legittimamente in parlamento.

mercoledì 7 aprile 2010

La prima del primo (o del secondo)

Quando le cose ti succedono stenti a percepirle subito, almeno a me succede così. Mi ci vuole un po' per metabolizzarle, metterle a fuoco. A volte mi succede anche con la musica: per esempio, per capire che The Joshua Three degli U2 era un capolavoro ho impiegato qualche settimana. Delle quattro cose che sto per citare, io, data l'età, ho vissuto in diretta solo la terza. Anche se le mie prime volte, seppure i dischi erano già usciti da anni, sono state comunque prime volte, appunto, non ero immerso nello spirito del tempo. Ecco però, quando ho sentito le prime tracce (cioè, la prima canzone del primo disco) con cui si sono presentati al pubblico i Led Zeppelin, gli U2, e i Pearl Jam, non mi ricordo dov'ero, ma mi sembra d'aver detto o pensato qualcosa tipo: "Mamma mia!". Mi ricordo invece che ero sul letto di un albergo dove ho vissuto per diverso tempo, quando scoprii che esistevano i Sigur Ros. Il disco era il secondo e me l'aveva passato un collega la cui sorella stava con un tipo finlandese, mi pare, che aveva portato giù 'sta roba. Ero sdraiato ed era sera, inserii Agaetis byrjun nel lettore cd, dopo qualche decina di secondi mi vennero i brividi e pensai: "Mado', ma che ho ascoltato fino adesso?".

venerdì 2 aprile 2010

Dei giornali in crisi di vendita

Mattino presto a colazione. Mia figlia, cinque anni, mi vede leggere coi giornali squadernati sul tavolo: "Ho capito che fanno i giornalisti! Prima mandano i giornali in tutto il mondo, poi li comprano".

Farsi capire

Per tutta una serie di ragioni, rinuncio momentaneamente a cercare di capire perché la gente continui a votare a destra (questa destra). Penso però di avere capito almeno una ragione abbastanza fondata per cui la gente non vota a sinistra. Premesso che reputo ancora valido quello che scrissi in questo pippone qui, e che quindi il lavoro che spetta a chi voglia rappresentare una sinistra in questo paese (in questo mondo) sia di lunga, lunghissima lena, credo che la questione non sia di rappresentarsi più o meno radicali, più o meno moderati. Paradossalmente non è neanche questione - o almeno non lo è prioritariamente - di stare di più tra la ggente, come si sente dire, o ascoltare la ggente, come si sente ipocritare (scusate il neologismo ma ci stava). Semplicemente, se mi chiedono come mi faccio chiamare sul web e io rispondo wensenghzh, non mi si capisce. Se invece dico: wizzo, a naso la gente dovrebbe capire meglio. Ecco, la questione è rendersi riconoscibili. Il che non significa, come pensano i falcemartellati ferrerian-dilibertiani, ritornare a sloganare (scusate, oggi sono in vena di neologismi): tutto il potere e i mezzi di produzione al popolo. E non significa neanche, come riterrebbero i grillini o i dipietristi, che se si cominciasse a mandare affanculo chiunque non la pensi come noi si riuscirebbe a farsi capire meglio. Altrimenti, Idv, Federazione dei comunisti e movimento 5 stelle potrebbero cominciare ad aprire le consultazioni per la formazione del nuovo governo, piuttosto che galleggiare, anche se sommati, ben sotto alle percentuali a due cifre. Il punto è dire chiaro cosa si vuole, e poi magari farlo, se se ne dà la possibilità. E lo dico anche con una buona dose di autocritica per aver supportato con una certa verve il teorico del "ma anche". Perché è chiaro che se uno aspira a governare un paese di sessanta milioni, è condannato a contemperare esigenze diverse. Però può dire se l'acqua, che serve a vivere quanto l'aria, la vuole pubblica o privatizzata. Può dire che concedere alle aziende una chance di testare il personale non può significare precarizzare la vita delle persone tenendole in prova perenne. Può dire che il vivere, il costruire, il muoversi nelle città, il dissipare e produrre energia così come si fa oggi sono da sovvertire completamente. E lo può dire facendosi capire dalla gente, facendo di queste a altre questioni il centro di un programma, non snocciolarle come orpelli dimostrando in fondo in fondo di non crederci. Obama, e, nel suo piccolo, Vendola, stanno lì a dimostrarlo. Pensano meglio dei loro avversari, lo fanno capire e vincono. E parlano alla gente, anche nelle piazze. E quando ci vanno, nelle piazze, la gente esce di casa per andarli a sentire. Non è questione di essere radicali, appunto. E' che nel mondo rovesciato nel quale vivono i media, nel mondo del dire senza farsi troppo capire, del parlare di lana caprina senza andare al cuore delle questioni perché quelle questioni disturbano il manovratore, nel mondo delle relazioni interpersonali falsate, dire chiaro e tondo come la si pensa è quasi roba da pazzi. Però vincente.

lunedì 29 marzo 2010

Non vivo né in Puglia né nel Lazio

Sabato pomeriggio ho tirato fuori la scheda elettorale dalla cartella in cui la ripongo dopo ogni elezione, c'ho anche applicato sopra gli adesivi che m'aveva mandato il mio sindaco con la nuova sezione di voto. Poi domenica sono stato fuori tutto il giorno. E stamattina, beh stamattina ho guardato la scheda e l'ho lasciata lì. Stasera la riporrò nella cartella, per la prima volta senza timbro.

giovedì 25 marzo 2010

Senza vergogna

Finirà 8-5? 9-4? 10-3? Certo, per uno che non è berlusconiano, l'ideale sarebbe la terza che ho detto. Ma per vincere in quel modo, per esempio, ci si troverebbe a gioire per la vittoria di De Luca in Campania, lo sceriffo, come lo chiamano. E, insomma, non è proprio il massimo della vita. Certo, meglio dell'avversario. Ma ci vuole poco, no? E poi stiamo alla solita storia del meno peggio, basta tristezze. Quindi a scanso di equivoci, questo blog dichiara fin d'ora che gliene bastano due, e se Vendola e Bonino diventassero presidenti di Puglia e Lazio,  qui si gioirà senza vergognarsene.

Santoro potete vederlo anche da qui

Per una notte

Per vedere Santoro (e non solo) stasera.

lunedì 15 marzo 2010

Ah preside'

Uno scrive questa cosa qui, che pesa non poco (per chi la scrive, s'intende) e viene immediatamente superato dagli eventi. Ah Berlusco', datti 'na calmata che sennò, oltre a far fare una figura immonda a chi ci prova, diventa proprio impossibile difenderti; anche parzialmente.

Diritto all'informazione

Stamattina ho telefonato alla Procura della repubblica della mia città per sapere se ero indagato per qualcosa.
PS: per chi non l'ha capita, cliccare qui.

A verbale

Che questo blog simpatizzi con lui lo si è esternato in diverse occasioni (qui quella più convinta, qui la prima, un po' più ingenua). Ora lo metto a verbale in maniera definitiva affinché, spero, un giorno io possa dire "l'avevo detto": voglio che quest'uomo diventi il candidato alla presidenza del consiglio del centrosinistra.

giovedì 11 marzo 2010

Poveri

Un breve ritratto di Rocco Carlomagno, l'uomo che ieri ha fatto uscire dai gangheri presidente del Consiglio e ministro della Difesa, pubblicato oggi dal manifesto. Per farsi mettere in difficoltà da un personaggio del genere è chiaro che stanno passando un periodo difficile; c'è da capirli, poverini.

mercoledì 10 marzo 2010

Condannatelo

Sto per scrivere una cosa che risulterà scandalosa ai più che vengono da queste parti, quindi dovrò essere convincente nell'argomentarla. Penso che l'opposizione dovrebbe lasciar fare tutto quello che vuole al presidente del Consiglio. Vuoi sospendere i processi a tuo carico? Ok. Vuoi che le liste che il tuo partito (partito?), a causa delle guerre intestine, non è riuscito a presentare in tempo vengano reintegrate? Prego. Magari lo farei con due accortezze: per i processi, andrebbero sospesi anche i tempi per la eventuale prescrizione dei reati e, non appena il presidente del Consiglio non fosse più gravato da compiti istituzionali, si dovrebbe tornare immediatamente in aula. Per le liste, invece del pateracchio messo in piedi, proporrei una sanatoria per tutti quelli che non sono riusciti a mettersi in lizza. Tutti significa: Radicali, Forza Nuova, Sinistra critica e via minoreggiando. Ecco, utilizzate queste accortezze, l'opposizione potrebbe presentarsi all'opinione pubblica con un discorso di questo tenore: "Cittadini, il paese è sottoposto a continue tensioni che scaturiscono dagli affari privati e dai pastrocchi di cui il signore che la maggioranza di voi ha legittimamente designato a governare è portatore e protagonista. Sono mesi, anni, che il dibattito pubblico è segnato non dallo scontro su misure e politiche che riguardino la maggioranza dei cittadini, bensì dalle polemiche su quello che lo stesso presidente del Consiglio voluto dalla maggioranza di voi vuole fare o non fare pro domo sua, mascherando il suo interesse come quello generale. Le misure che proponiamo sono da repubblica delle banane, ce ne rendiamo conto. Ma noi con queste, tentando di salvare la faccia, vogliamo aprire un capitolo nuovo. Stop ai processi (temporaneamente), si reintegrino le liste del Pdl irregolari (sempre che riescano a mettersi d'accordo). E condanniamo il presidente del Consiglio alla peggiore delle pene, dalla quale non a caso tenta di sfuggire con diversivi tutte le volte che si trova a Palazzo Chigi: governare".

Ho un rigurgito antifascista

L'uomo con il pizzetto è ministro della Repubblica in uno dei paesi fondatori dell'Unione europea. E le foto scattate sono di oggi non di quando era fascista era iscritto al Msi.

domenica 7 marzo 2010

Ciao

Ho appena saputo che Mark Linkous si è tolto la vita e mi dispiace parecchio perché amare dischi è anche un po' amare chi li fa, anche se non l'hai mai conosciuto né visto di persona. Mi piace ricordarlo così, anche se mi piace è un verbo che uso con difficoltà, ora.

Vergognarsi almeno un po' (reprise)

"(...) Così come del resto nessuno di quel partito (il Pdl) ha sentito il bisogno di chiedere scusa agli italiani per il pasticcioc creato, per la fibrillazione in cui è stato gettato l'intero dibattito politico, e per aver costretto alla fine il presidente della Repubblica ad avallare ad avallare un decreto orribile pur di non privare di qualsiasi significato politico il prossimo appuntamento elettorale e di non lasciar precipitare nel ridicolo l'immagine del Paese più di quanto già ci sia".
Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di oggi.

sabato 6 marzo 2010

Articolo unico

Venne colto in flagranza di reato. Secondo il verbale dei carabinieri, teneva il coltello insanguinato in mano quando le forze dell'ordine irruppero nel lussuoso appartamento dopo essere state chiamate dai vicini allarmati dalle urla di una donna. Il corpo della vittima giaceva a terra in una pozza di sangue ormai privo di vita. Oltre alle coltellate inferte al petto, quello che impressionava di più era il volto tumefatto.
- "Sì, l'ho uccisa io", ammise subito il presidente rispondendo agli inquirenti. - "Le avevo chiesto il caffè e lei si era rifiutata di prepararmelo", spiegò. Le polemiche dei giorni successivi furono roventi. L'opposizione chiedeva la rimozione del presidente e le elezioni anticipate. - "Non si può privare il paese del premier legittimamente eletto dal popolo in libere elezioni solo perché ha commesso un delitto d'impeto", era invece la tesi della maggioranza, che chiedeva anche che il premier venisse liberato dagli arresti domiciliari per poter svolgere le sue funzioni. - "Non si è mai visto un paese governato da un uomo che è costretto agli arresti domiciliari, questo può succedere solo in Italia", scrisse nell'editoriale firmato dal direttore, il quotidiano di proprietà del cugino del premier. I due legali del presidente del Consiglio, entrambi parlamentari, intervistati dal tg della sera della principale rete pubblica, dichiararono che il delitto non poteva essere premeditato e che il premier aveva agito d'impeto. - "Intanto si dovrebbe riconoscere al presidente del consiglio di essere stato sincero: è stato trovato davanti a un cadavere con il coltello insanguinato in mano e ha ammesso di aver ucciso, non è da tutti. E poi non siamo davanti a un criminale comune", disse l'avvocato Critini. - "L'attività del nostro presidente è sotto gli occhi di tutti; un uomo che lavora diciotto ore al giorno per il bene del paese e che ha messo la sua capacità a disposizione dei suoi connazionali non può essere giudicato così, su due piedi. E che abbia reagito a una provocazione è dimostrato dalle ecchimosi rinvenute sul volto della donna uccisa: l'ha prima picchiata, poi accoltellata. Se avesse voluto uccidere avrebbe direttamente utilizzato l'arma, non sarebbe prima passato alle mani. Chiediamo al Paese di valutare bene. E al consiglio dei ministri e al presidente della Repubblica di esperire una via che consenta alla nostra Nazione di non rimanere senza guida". Il Nsib ("Noi siamo il bene", il partito del premier) scese in piazza in una manifestazione in cui migliaia di persone si presentarono imbavagliate. - "Siamo qui per dare la nostra solidarietà al premier e dire che se non si consente di governare a lui, si imbavaglia la maggioranza del paese che l'ha eletto", disse uno dei coordinatori nazionali del partito, sfilandosi il fazzoletto dalla bocca per esternare la dichiarazione e rimettendolo subito dopo al suo posto. Il Pdm (Partito della morale), che si trovava all'opposizione, organizzò la protesta per il giorno immediatamente successivo: - "In galera il presidente del consiglio e chiunque abbia parlato con lui negli ultimi sette giorni", c'era scritto nello striscione che apriva il corteo. - "Come tutti sanno, siamo sempre stati contro le manette facili - fu la dichiarazione del leader del partito nel linguaggio schietto che lo contraddistingueva - ma quanno ce vo', ce vo'". Introvabili i principali leader del maggior partito d'opposizione, che erano in quel momento tutti in vacanza, davanti alle telecamere andò Pisquano Metapini, consigliere comunale di Formia: - "Dateci il tempo di capire", disse. Il decreto fu varato dal consiglio dei ministri convocato d'urgenza per il giorno successivo, con il premier che partecipò in videoconferenza, visto che gli arresti domiciliari non erano stati ancora revocati, e che si astenne al momento del voto, dal momento che la questione lo riguardava direttamente. "Non è perseguibile per il reato di omicidio il presidente del consiglio in carica che uccide in un momento di rabbia", c'era scritto nell'articolo unico.

mercoledì 3 marzo 2010

La parola tolta di bocca

Questa l'avrei voluta scrivere io ma mi hanno anticipato.

Vergognarsi almeno un po'

In un paese in cui nessuno si assume più la responsabilità di nulla, e tanto meno si scusa, questo direttore didattico merita di essere citato ad esempio.

Digerire l'indigeribile

Il Tar ha appena respinto il ricorso del Pdl sulle liste in provincia di Roma. Così ora La Russa ci farà vedere di cosa è capace un ministro della Difesa (ripeto: ministro della Difesa) che si dice pronto a tutto (ripeto: pronto a tutto). E l'Italia (pardon, la maggioranza degli italiani) digerirà ancora.

A, B, C

Non so se è peggio vivere in un paese in cui il maggior partito A) ha esponenti di rilievo che fanno dichiarazioni di questo tipo; B) applaude a scena aperta un tipo così; C) si incarta su se stesso preso dalla guerra per bande e non riesce a presentare le liste nella provincia della Capitale.

giovedì 25 febbraio 2010

Può succedere

Che nella fretta della mattina in mezzo al traffico freni in ritardo, tamponi e fai un piccolo danno all'auto che ti sta davanti. Niente di che. Fai un cenno di scusa, il tipo davanti prosegue, ti capisci al volo con lui: non è il caso di bloccare il traffico per una cosa del genere, ché la strada è stretta. Pochi metri più in là, accostate entrambi, scendete dai rispettivi mezzi, tu chiedi nuovamente scusa, lui allunga la mano, ve la stringete e sorridete l'uno all'altro e poi constatate insieme che alla tua macchina non è successo nulla mentre alla sua tu hai spaccato il paraurti posteriore.
Tu dici: - Non so, portala da qualcuno e ti pago il danno oppure faccio la denuncia all'assicurazione.
Lui risponde: - Ma guarda, la macchina è vecchia, devo anche cambiarla, vedo come si può rimediare in una maniera poco costosa.
Tu replichi: - Oh, grazie. Vabbè guarda, ti lascio il mio numero e fammi sapere.
Lui: - Ok ma oggi non credo di fare in tempo.
Tu: - Comunque qui mi trovi sempre.
Risali in macchina. Tua figlia che stai accompagnando all'asilo ti chiede: - Che è successo? Tu glielo spieghi e non glielo dici ma sei contento che abbia assistito a una scena del genere. Ché non è mica scritto da nessuna parte che ci si debba mordere a vicenda. Quello lo fanno i cani. Ma spiegarglielo a voce dice poco, farglielo vedere è un'altra cosa.

lunedì 22 febbraio 2010

Alti e bassi

Non credo alle semplificazioni, quindi non credo che nella popolarità di Sanremo ci sia solo un che di basso, per così dire. Però condivido quello che scrive stamattina Michele Serra su Repubblica (qui un estratto); cioè che Sanremo è una cosa fabbricata ad uso e consumo della fascia più bassa di pubblico, quella più indifesa perché meno conosce altri linguaggi che non siano quelli della tv e quindi pronta a cibarsi di questi perché portata a credere che siano gli unici possibili. E nel mio piccolo so che c'è stato almeno un televoto per la straordinariamente brutta canzone di Pupo, Emanuele Filiberto e il tenore, che è arrivato da una persona che la musica non sa dov'è di casa - nel senso che questa persona non compra dischi, non ascolta radio e se gli capita  di sentire qualcosa, sono le note che arrivano dai jingle pubblicitari e, una volta l'anno appunto, Sanremo -. Non si tratta di una persona ignorante, o di fascia bassa bassa: s'informa, legge, è attiva socialmente. Solo che la musica non sa dov'è di casa. Però ha televotato. E al di là dello spingermi a chiedere cosa può muovere una persona non avvezza né con la musica né con gli sms, a prendere in mano il telefonino per esprimere una preferenza su una canzone di rara bruttezza, mi sono fatto una ragione degli esiti del televoto. E non solo.Credo d'aver capito che ci sono differenze oggettive tra chi ha pratica con alcune cose e chi no. Non è vero che siamo tutti uguali: c'è chi ascolta musica, tanta, e chi non ne ascolta e pur non sapendone nulla, o molto meno di chi ne ascolta, concorre a definire i vincitori di quello che a torto viene indicato come il festival della canzone italiana. No, la canzone italiana e assai meglio di come la vorrebbero dipingere. E non perché sia granché (la canzone italiana, intendo), ma perché è proprio basso il livello delle canzoni del festival.

venerdì 19 febbraio 2010

Ci provo anch'io

L'ho ormai visto da diverso tempo ma come tutte le cose grandi, è difficile confrontarcisi. Però ho deciso di farlo aiutandomi e citando amarotico, perché sì, sono d'accordo, Avatar è "un'esperienza lisergica", che esci dal cinema e sei gonfio di tutto e ti rimbalza dentro tutto per ore, per una notte intera e la mattina dopo ti svegli di buon umore e dopo aver messo a fuoco il perché, dici ancora: che bello. E lo faccio citando anche Giovane cinefilo, perché Avatar è proprio "un film che stai a guardare dall'inizio alla fine con gli occhi e la bocca e il cuore spalancati, sognando di trasferirti tra le foreste di Pandora, sognando di volare, di volare a cavallo di draghi multicolore dannazione!, sognando di fonderti con la natura, con le maledette piante!, di sentire pulsare dentro il tuo corpo le voci dei tuoi antenati, dei tuoi simili, di tutti i popoli a venire". Ecco però, detto della maestà dell'opera, sarei ipocrita se non dicessi che i temi toccati non sono del tutto inediti. Archetipici, sostiene Giovane cinefilo. Forse sì. Però ecco, in questo senso non è che scopri la rivoluzione se per esempio hai amato Balla coi lupi. Eppure sei in grado di dire ancora, a distanza di giorni e giorni: che bello. E non vedi l'ora di rivederlo.

La terza cosa su Sanremo

Ho appena scoperto che non sapevo che nel 1987 a Sanremo era successo questo. E dire che, seppure li amo ancora, all'epoca gli Smiths li amavo con la foga dei vent'anni. Eppure li persi.

Un paio di cose su Sanremo

La prima: scoprirti - dopo la mezzanotte, quando sei davanti alla tv da mezz'ora scarsa e ascolti il quarto pezzo dei giovani - mentre dici a te stesso: "Strano, finora nessuna canzone da dire: che schifo proprio". La seconda: avvertire i brividi perché sì, la sigla finale del festival è proprio Hoppipolla dei Sigur Ros (anche se la cosa pare abbia dato luogo alle solite polemiche festivaliere).

mercoledì 17 febbraio 2010

Non solo plastica

Non condivido il giudizio sulla presunta bontà della notizia da cui prende le mosse (Sade prima nelle vendite su iTunes in Italia, Inghilterra e Stati uniti), perché non credo che sia solo dalle vendite che si possa giudicare la musica. Però è vero quello che sostiene Luca Sofri qui: eravamo giovani e forse (anzi, sicuramente) un po' fessi, negli anni Ottanta. Eppure ne siamo usciti vivi. Perché vivevamo dei vent'anni che avevamo. Forse come generazione ci stiamo ancora sotto e per dirla con Agnelli, vivi non ne siamo usciti. Ma individualmente siamo cresciuti bene; conosco diversi esemplari in grado di suffragare questa mia tesi. Personalmente non ascoltavo Gazebo e Howard Jones, e piuttosto che Style Council, Everything but the girl e Working Week, citerei Alarm, Cult e Big Country tra i preferiti. Ma questi sono dettagli, perché il succo è che "gli anni Ottanta sono stati meravigliosi, per noi. Ci siamo divertiti. Siamo cresciuti. Abbiamo imparato un sacco di cose. E sentivamo pacchi di musica", anche se intorno tutto cominciava a diventare di plastica.

martedì 9 febbraio 2010

Tre euro

"Mio padre si è ucciso con un colpo di pistola: quel giorno sono nate la mia depressione e la mia follia". Camicia a papillon Just Cavalli, anello Delfina Delettrez.
PS: questo post mi è costato 3 euro, vale a dire il costo del giornale nel quale è contenuta l'intervista-scandalo che ha comportato l'esclusione di Morgan dal festival di Sanremo. Lo stavo sbirciando mentre facevo la fila alle casse del supermercato senza la minima intenzione di acquistarlo. Quella che avete appena letto è una delle didascalie di una delle foto che accompagna l'intervista. Quando l'ho letta, ho dovuto comprare il giornale per riportarla fedelmente qui, non avevo carta e penna.

mercoledì 3 febbraio 2010

D'istinto

Oltre che perché penso sia un ottimo musicista, a vedere le persone che sono insorte contro Morgan per la questione dell'uso di droga mi viene istintivamente da stare dalla sua parte.

sabato 23 gennaio 2010

Via quella calcolatrice

Avviso ai dalemiani: questo post può nuocere gravemente al vostro stato d'animo.
Per questa cosa avevo pensato inizialmente di utilizzare l'espediente retorico della lettera. Tipo: caro Massimo D'Alema, eccetera. Poi ho riflettuto, perché anche i comuni mortali riflettono, a volte: D'Alema non ha tempo e voglia di ascoltare i suoi, figuriamoci se si perderebbe a leggere un blog insignificante, ammesso che lo conoscesse o ci si imbattesse navigando, al computer intendo, ché si naviga anche da lì, non solo in barca. Sarà pure un espediente retorico, quello della lettera, ma il risultato potrebbe essere grottesco, mi son detto. Allora ho ripiegato sulla classica forma del post. E avrei potuto cavarmela anche come ha fatto Jena ieri sulla Stampa, ma seppure alle elementari la maestra mi lodava per il mio senso della sintesi, ultimamente tento a dilungarmi, ché forse quel senso, crescendo, l'ho perso diventando pesante e barboso. E poi, particolare non secondario, non sono Jena. E' che al di là dell'espediente retorico, sarei però proprio curioso di sapere cosa può spingere uno che stava per diventare ministro degli Esteri dell'Ue a fare macchina indietro fino in Puglia, stabilirvisi per una settimana per batterla palmo a palmo a fianco di un candidato alle primarie, Boccia, che ha già perso cinque anni fa nella medesima occasione (la scelta del candidato di centrosinistra alla presidenza di quella regione) e con il medesimo avversario (Vendola). Ma a ben vedere non sono le domande che m'interessano, perché stavolta ho quasi una certezza. Anzi, diverse. Che Massimo D'Alema è una risorsa per il centrosinistra, ad esempio. A patto che gli passi la voglia di fare il leader. Semplicemente perché non ne ha la statura. Tanto che non lo è mai diventato, essendo stato al massimo un capocorrente. Ottimo, ma pur sempre capo corrente. E quando un capocorrente si mette in testa di fare il leader non avendo le carte per raggiungere l'obiettivo, il risultato è che s'inceppa il meccanismo del quale fa parte. E infatti il Pd è nato inceppato, così come il Pds s'inceppò quando l'astro di D'Alema cominciò a brillare più del dovuto e così come i Ds sono stati quello che sono stati e si sono trovati costretti a cambiare in fretta nome anche perché nati sotto la luce di quell'astro. Poi non è che D'Alema sia la ragione dei mali del centrosinistra, per carità. Però una qualche responsabilità ce l'avrà pure, visto che balla da vent'anni in prima fila. Del resto, se uno ti chiede a bruciapelo cosa ricordi di D'Alema, che ti viene in mente? I cattivi ti risponderebbero: gli inciuci. A me, che sono buono, vengono invece in mente i dualismi con i suoi. Con Occhetto, con Veltroni, con Prodi. E oggi con Vendola. Come quei numeri dieci che si trovano sempre qualcuno davanti. Come Del Piero. Grande. Ma un gradino più giù di Baggio prima e di Totti poi, che il 10 gliel'hanno sfilato entrambi in Nazionale. Ecco, l'altro problema di D'Alema è che davanti a sé non ha mai trovato un Baggio e un Totti che lo posizionassero nella sua dimensione congeniale. Quella cioè di un ottimo politico, un buon ministro degli esteri, magari, che non può però essere la guida del suo schieramento o del suo partito. Ma fin qui si tratta di dettagli. Il punto vero è che sono sedici anni che Berlusconi imperversa in Italia ed è un anno che si è acceso l'astro di Obama nel mondo e il centrosinistra de noantri, complice - anzi, protagonista - D'Alema, non si è ancora reso conto che la politica non puoi farla solo con la calcolatrice. Perché alla base dell'ennesima battaglia intrapresa da D'Alema contro un appartenente al suo stesso schieramento, Vendola, c'è l'assunto secondo il quale la Puglia sarebbe dirimente per fare un'alleanza futuribile con un partito del 4-5%, l'Udc, e conquistare così il governo del Paese grazie a quella percentualina. Chissà in quale secolo, verrebbe da domandare. E sulla base di quali obiettivi, se non quelli da Cln contro Berlusconi. Con il paradossale risultato che si accredita così l'idea che Berlusconi sia il nuovo fascismo proprio da parte di quelli che ghignano quando sentono parlare di regime. Geniale. Inforcare gli occhiali da presbite e digitare sulla calcolatrice del resto, non aiuta a vedere un orizzonte che vada più in là del proprio naso. Che è quello di una comunità che ha bisogno di qualcosa che vada al di là della bieca materialità dei punti percentuali, che ha bisogno di idee di una qualche forza. Berlusconi, a suo modo, questo bisogno l'ha sempre avuto presente e ne ha tratto ottimi risultati. Obama ne fa il sale di ogni suo discorso e del suo agire. Vendola, nel suo piccolo, ci prova. E, a quanto mi consta, è uno dei pochi in Italia del suo schieramento politico ad averlo capito e, soprattutto, a saperlo comunicare. Tanto che c'è chi lo chiama il "Berlusconi rosso". Tanto che sarebbe una risorsa non solo per la Puglia ma per l'Italia intera. E che fa il politico con la calcolatrice? Ovvio, tenta di fargli sgambetti. Con l'obiettivo di un'alleanza con chi, non partecipando alle primarie di Puglia, avverte che se vincerà Vendola, l'alleanza Pd-Udc salterà ovunque. Che logica vorrebbe che tu schierassi le tue forze per far vincere il candidato che vorresti, no? Ma le truppe forse non le hai. O meglio, forse Nichi-senza-calcolatrice-ma-con-qualche-idea, ti (vi) fa saltare i nervi perché esce dalla tua logica e sai che vincerà ancora pur non avendo i numeri sulla carta. E tenterà di spalancare le finestre. Dalle quali si potrà vedere un po' più in là del nostro naso e respirare un'aria nuova. C'è chi vive anche un po' più su della Puglia e quell'aria l'aspetta con ansia. Calcolatrici permettendo.

mercoledì 20 gennaio 2010

Io lo sapevo che non ero solo

Grazie a Cesare, il cantante, che si è trovato a passare di qui, la recensione di We need time dei Cartavetro pubblicata su Vitaminic. Ché i riconoscimenti 'sto blog non li dà mica a caso.

martedì 19 gennaio 2010

Forma e sostanza

Io di Craxi so poco. Ero troppo giovane per poterne capire qualcosa quando era una stella; troppo rigido quando finì latitante. Certo, poi leggi, ti fai un'idea, magari la cambi anche. Ma ci sono cose che vivi così privo di difese, o magari di barriere, che entrano a far parte di te. E io l'ho vissuta così: a me Craxi e i socialisti non sono mai stati simpatici, né da stelle né tantomeno da latitanti. Ma per onestà intellettuale devo confessare che l'ambiente intorno a me mi ha fatto diventare un adolescente catto-comunista, nel senso più basic e reale del termine. La domenica mattina, per dire, andavo prima a servire la messa con mia nonna sui banchi della chiesa, poi a fare la diffusione militante dell'Unità con mio padre nelle case degli iscritti al Pci del quartiere. E Craxi e i socialisti, capirete, non c'entravano niente, né con la messa né con la militanza nel Pci. Anzi. Poi mi sono liberato del catto e per un periodo ho creduto di essere solo comunista; quindi ho capito che non ero neanche quello e sono rimasto lì, senza più un'identità precisa, trovandomi più spesso in minoranza che in maggioranza, ma questa è un'altra faccenda. Craxi e i socialisti, dicevamo. Ecco, avevo tutte le caratteristiche, i tic culturali, e all'epoca anche l'età, per essere uno di quelli che andarono a tirare le monetine davanti al Raphael. Ma né ci andai né approvai, seppure soddisfatto nel vedere un sistema di potere che pensavo si stesse sgretolando. Anzi, discussi a lungo con gente già all'epoca più ortodossa e moderata di me scapestrato, mezz'eretico e centrosocialeggiante sulla bontà del gesto. Eppure ero rigido e non avevo una visione delle cose sufficientemente ampia per giudicare Craxi, ma c'era qualcosa che stonava nell'Italia inginocchiata di qualche mese prima trasformatasi urlante e rivoluzionaria. Craxi quindi posso giudicarlo a fatica. I socialisti no, invece. Quelli li ho conosciuti. Nella città e nella regione nelle quali vivevo ad esempio, governavano in quelle che venivano definite giunte rosse. E li ricordo per la sicumera con la quale passeggiavano nelle vie del centro, per quella capacità di tirare tutto a proprio vantaggio a prescindere da tutto. Per quel maneggiare il potere solo ed esclusivamente per il potere; senz'altro disegno che non fosse quello animato dall'ambizione strettamente personale. Ricordo anche il mio stupore quando seppi che a differenza del Pci, loro i volantinatori li pagavano un tanto al giorno; niente volontari, solo mercenari, mi dissi. Ecco, dicevo, io, tra insipienza e rigidità, il Craxi riformatore che in tanti cantano oggi non saprei giudicarlo. Ma un'idea vaga e confusa me la sono fatta: con quel partito lì, di cui la mia generazione - ammetto - ha visto il peggio, non potevi andare tanto lontano. Gli è toccato di finire ad Hammamet, e come ha detto Bobo Craxi ieri sera a Porta a porta, forse sei anni di latitanza e la tomba all'estero sono una pena sufficiente. Ma con quella schiera di assessorucoli, arrivisti, azzeccagarbugli e gente priva di respiro lungo che era diventata la spina dorsale del partito dove pensavi di poter arrivare? Arrivato Craxi ad Hammamet, ognuno ha cercato di salvarsi come ha potuto. E negli anni si sono visti quelli che erano più dipietristi di Di Pietro diventare avvocati difensori a prescindere. Ma questo lo sappiamo bene. E a me interessa poco. Anche perché il problema sono gli altri; quelli che non sono più comunisti. Che avevano decine e decine di persone pronte a spendersi per diffondere l'Unità la domenica mattina. Che non pagavano i volantinatori; che ci credevano e che erano forti delle loro idee, seppure sbagliate (alcune, mica tutte). Sobri, con meno sicumera degli altri, se non altro. Con le case piene di libri per loro e con Gianni Rodari e il Diario di Anna Frank da regalare ai loro figli. Ora che Craxi e i socialisti non ci sono più sono loro che vedo passeggiare con sicumera, assessori nella mia regione rossa. Li sento ragionare del potere per il potere. Li vedo vuoti di idee. E penso che Tangentopoli è servita a cambiare le forme, ma la sostanza più o meno è rimasta quella.

domenica 17 gennaio 2010

Appena poco più di niente

Sono contrario alle raccolte di fondi che servono a coprire i buchi lasciati scoperti dall'incapacità o dalla negligenza di stato (telethon e via beneficenzando, per capirci). E sono anche contrario a fornire suggerimenti di comportamento agli altri, ché semmai ne avrei bisogno di buoni per me. Stanti queste premesse, ho proposto ai miei colleghi di devolvere almeno un'ora di stipendio per chi sta agendo nell'emergenza di Haiti. Se non altro perché lì lo stato, se c'è mai stato, non c'è neanche più, e non perché si sia affermata l'anarchia, purtroppo. Credo che i proventi li daremo ad Agire, nella speranza che i nostri pochi soldi dissetino qualcuno e non vadano a coprire l'acquisto di un Suv per qualche professionista del volontariato-ben-retribuito. E, giusto perché sono contrario a dare suggerimenti, mi permetto di invitarvi a fare la stessa cosa, qualora abbiate un lavoro e dei colleghi.

Stato

Che i due candidati presidenti alle regionali di gran lunga più apprezzabili del Pd (anzi, uno ancora non lo è ma spero che lo diventerà dopo le primarie di Puglia) siano esponenti uno radicale, uno di Sinistra ecologia e libertà, dice abbastanza sullo stato del maggior partito di opposizione, no?

mercoledì 13 gennaio 2010

Mettere mano alla giustizia

"La Costituzione parla di pena e non di pena detentiva o di carcere: perché condannarsi a condannare sempre e comunque al carcere, anche quando esso non è necessario e, anzi, può essere dannoso? Perché non incentivare il passaggio dalla cella chiusa alle misure alternative dal momento che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezzo superiore a quella di chi sconta la pena fuori dalla galera?"
Luigi Manconi sul manifesto.

martedì 12 gennaio 2010

Storia minima

Mio padre ha fatto una cosa notevolissima indirizzata a mia figlia, registrando su cassetta i suoi ricordi di bambino: ci sono dentro il paesino d'origine, i suoi nonni, le attività che svolgevano. Ci si respira l'odore dei campi, della ricotta e delle pecore governate da Minicucciu (mi pare), il pastore del cui aiuto si giovava la nonna materna; ci si sente il riverbero del dispiacere del ragazzino che andava in soffitta a leggere i quaderni del nonno morto troppo presto, quando scoprì (il ragazzino) che quei quaderni erano stati buttati da una mano troppo distratta alle prese con la ristrutturazione della casa. La cosa è così notevole che ce ne gioviamo in due: per mia figlia in età prescolare, funge per il momento da storia della sera per addormentarsi; ma ne godo anch'io, incidentalmente capitato in mezzo ai due (nonno e nipote), scoprendo cose che mi sono assai vicine ma che non ho saputo in quaranta e rotti anni. Fin qui, la cosa riguarderebbe solo me e un paio dei miei più stretti congiunti. E capisco che uno innamorato del Novecento di Bertolucci, che proietterebbe nelle scuole d'Italia La meglio gioventù e farebbe adottare come libro di testo Romanzo criminale, sia quasi inevitabilmente attratto da una cosa del genere, fatte le debite proporzioni, chiaramente. La quale cosa però diventa di un interesse un po' più largo se la si inquadra in uno spontaneo e fruttuoso riempimento di quel vuoto di memoria che un po' tutti denunciamo, salvo poi farci stritolare tra il qui e l'ora effimeri ma scambiati per eterni. Probabilmente mi troverò a scuotere la testa chissà quante volte, tra qualche anno, rientrando a casa e trovando mia figlia spaparanzata sul divano davanti alle immagini dello zoo del Grande fratello. Ma ho l'impressione che quella cassetta, che io commuterò in mp3 per tentare di renderla meno corruttibile dal tempo, scaverà e lascerà tracce. E forse un giorno anche mia figlia comincerà a scuotere la testa di fronte agli zoo televisivi. Prendendone le distanze perché un po' più in grado di abbracciare il tempo che passa. 

mercoledì 6 gennaio 2010

Non ci sono gli uomini ma le donne non mancano

E io lei la voterei. Non foss'altro perché con una mossa semplice e lineare ha messo a nudo le tanto sfinenti quanto vane pratiche del maggior partito d'opposizione.

martedì 5 gennaio 2010

Senso della realtà

"Il candidato - non Nichi Vendola ma quello che Vendola ha già battuto alle primarie del 2005, Francesco Boccia - è stato scelto perché la cosa più importante per il Pd, persino più importante di vincere le elezioni, è stringere un'alleanza con l'Udc. Ma il fatto è che il Boccia prescelto è tanto debole che neanche l'Udc è disposto a sostenerlo".
Andrea Fabozzi sul manifesto.

lunedì 4 gennaio 2010

Per esempio

Beh, insomma, nove anni di ferro e fuoco tra Iraq e Afghanistan per poi scoprire che il problema è lo Yemen è uno di quei fenomeni che si fa fatica a definire se il protagonista principale è la prima potenza mondiale. So solo che io per molto meno prendevo quattro al compito di matematica, per esempio.

martedì 29 dicembre 2009

Scusate lo sfogo (post banale)

Uno cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno, di non fare l'apocalittico; col tempo, impara anche a guardare senza pregiudizi le analisi secondo cui l'uomo nuovo che da appena quindici anni imperversa in Italia ha rappresentato una soluzione di continuità con le forme di potere paludato e ipocrita cui la sinistra si è sempre opposta, salvo far loro da scudo scandalizzata quando si è accorta che altri le hanno messe in discussione a modo loro. Uno, dicevo, capisce che i tempi cambiano, che non è detto che la storia debba ripetersi uguale a se stessa, che le forme di esercizio del potere possono cambiare. Uno, soprattutto, dice a se stesso che se si sta all'opposizione e si vuol cambiare, non è difendendo riti e liturgie e giacche e cravatte che si ottengono risultati. Uno che stava all'opposizione nella prima repubblica, soprattutto, arrivo a dire, prova un po' d'invidia per B. che incurante di tutto fa le corna ai vertici di capi di stato e di governo. Poi conclude che non è sovvertendo le forme che si fanno riforme e rivoluzioni, ma ritrovarsi a difenderle - le forme - e fare di questo una mission politica è ben triste. Triste, ecco. Che sa di retroguardia, che inibisce il camminare avanti. Poi però, capita anche che quell'uno che, dicevo, cerca di allenarsi a vedere il bicchiere mezzo pieno, un giorno sbotti e si avvicini pericolosamente a qualcosa che non gli piace: tipo il neomoralista alla dipietro, lo strillone che urla alla democrazia calpestata, al fascismo addirittura (che i confinati, i carcerati, i partigiani, gli ebrei deportati e mai tornati avranno le convulsioni nelle bare a sentire dipietri, ragazzini e anziani in preda a momenti di insensatezza cianciare di fascismo, oggi in Italia). No, non griderò sguaiato che ci sono i fascisti alle porte, non ridurrò alla difesa delle forme contro le corna ai vertici internazionali la voglia di cambiamento. Però mi vado sempre più convincendo che noi saremo pure diventati rigidi, grigi, incapaci a parlare con chi non la pensa come noi. Ma a quella retroguardia siamo costretti anche dal fatto che i nostri stomaci  e quelli di coloro cui non sappiamo più parlare si sono assuefatti alle pietanze più avariate. Perché nella prima repubblica paludata e grigia che ci vedeva oppositori colorati, neanche il più tangentaro degli assessori regionali socialisti arrivava al livello di volgarità di questo Davide Boni, che si trova al governo di una regione bella, operosa, civile e accogliente di nove milioni (9) di persone. E non è l'ordine del giorno che invita alla delazione contro lo straniero, lo scandalo. Siamo diventati di stomaco così forte, nel tempo, che arriviamo a inquadrare una bestialità del genere nella categoria degli strumenti di lotta politica. E' il "se poi l’amministrazione non dovesse intervenire, i cittadini chiamino pure direttamente noi della Lega" che fa rabbrividire. E' il far west portato nei palazzi da chi quei palazzi li dovrebbe governare con le leggi e invece lo fa con i cinturoni, a far paura. A dirci che la discarica è arrivata ad esaurimento, che il nauseabondo ha superato i livelli di sopportabilità. E' il partito di governo, si badi, che si fa legge da sé per scendere al livello delle viscere dei rappresentati che ci dice come siamo arretrati pure rispetto agli anni in pure tutto ci faceva schifo, nonostante oggi abbiamo internet e i cellulari.

lunedì 28 dicembre 2009

Wizzo Awards 2009

  • Disco in copyright: Marlene Kuntz - Cercavamo il silenzio
  • Disco in copyleft: Cartavetro - We need time
  • Libro: John Fante, prendetene uno a caso e perdonate se qui è stato scoperto con vent'anni di ritardo rispetto alla media
  • Film: Inglorious basterds

Il Natale di uno squinternato

Il blogger squinternato è quello che scompare per settimane e non dice niente ai pochi che passano dalle sue parti, neanche se in una di quelle settimane cade il Natale. E qui si è piuttosto squinternati. Al punto da mettere insieme cose diverse in un unico post, tipo: 1) che il Natale che è passato lo vedi anche dai maglioni nuovi con cui i colleghi vengono a lavorare il 26; 2) che non è male, il 26, constatare che il tuo peso è calato di un chilo; 3) che hai modo, durante le festività, di tornare alla tua città e di riparlare con gente con cui lo fai di rado diffusamente: li scopri diventati ferventi dipietristi, fai una smorfia, ti danno quasi del venduto, rispondi che li ritieni assai più simili ai berlusconiani di quanto loro stessi pensino per tutta una serie di ragioni oltre che perché come loro - i berlusconiani -, 'chi tocca il leader muore', torni a sorridere perché gli hai sempre voluto bene e continuerai a volergliene ma politicamente ti rattristi ancor più di quando hai sentito dire a Fini cose che da anni aspetti di sentir dire da chi dovrebbe rappresentarti e pensi che no, non è all'ordine del giorno che la sinistra si riprenda.

lunedì 14 dicembre 2009

Uno tra tanti

Sull'aggressione a Berlusconi, alla giusta condanna delle parole di Di Pietro mi sembra non sia seguita analoga riprovazione di quelle di gente come Capezzone, per dirne uno (entrambe le trovate qui). Eppure le due cose sono speculari nella loro strumentalità: l'uno, Di Pietro, sostiene che chi ha commesso l'atto l'ha fatto perché istigato dal comportamento del presidente del Consiglio; l'altro, Capezzone, dichiara che l'autore del gesto è stato istigato dai seminatori di odio contro il presidente del Consiglio. Entrambi (Di Pietro e Capezzone) squilibrati, entrambi a prendere spunto da un episodio intollerabile non per commentare e condannare il fatto in sé, ma per farne propaganda del loro modo di vedere le cose. Con una differenza: Di Pietro è uno, mentre Capezzone, a sostenere quelle cose nel suo schieramento, è uno tra i tanti.

domenica 13 dicembre 2009

Santo subito

Quest'uomo, oltre a sparare scientemente balle, sta toccando l'apice della sua pericolosità. Ma sapete che ora i suoi ne chiederanno con ancora più forza la beatificazione, sì?

venerdì 4 dicembre 2009

Spacca

Su X Factor qui ci si è già espressi in termini critici. Ma il vincitore ha una voce e un talento di cantante che spaccano. Il problema è cosa gli faranno cantare.

lunedì 16 novembre 2009

Inerzia

Oltre a quella di dover sorbirsi l'accusa di aver causato una quantità innumerevole di conseguenze, dalla crisi economica attuale alla scomparsa della foca monaca, tra le tante colpe che è chiamato ad espiare chi ha fatto il '68 in una posizione di qualche rilevanza, c'è quella di aver fissato, suo malgrado, il tempo a quarant'anni fa. Nel senso che una certa quantità di persone, quando ha l'occasione di vederti dopo tanti anni, se non sei Giuliano Ferrara, Massimo D'Alema o Paolo Liguori e non ti si vede mai in tv, vuoi per la poco resistibile tentazione di riportare le lancette a quando era giovane - vuoi perché nel frattempo non ha fatto grandi passi avanti e ritiene possibile, qui e ora, l'assalto al cielo così come lo si perseguiva quando le strade erano piene di 500 - ti desidera come eri: niente compromessi, neanche col salumiere sotto casa, eskimo, megafono, playlist, pardon, cassetta con Nomadi e Shel Shapiro e via luogocomuneggiando. E' quello che, in parte, succede a gente come Guido Viale, che venerdì scorso era, spalleggiato suo malgrado dal titolare qui, a presentare il suo ultimo libro davanti a una platea variegata e popolata, quindi, anche da quella particolare fauna umana di chi non tiene conto dell'ambiente in cui vive. Nel senso che Viale presentava un libro che parla tra le altre cose di energia, rifiuti, trasporti e indica una modalità di lavoro e di cambiamento basata su approcci soffici e assecondanti la natura, dialogante perché si basa su competenze diffuse nei territori e quindi potenzialmente egemone anche perché di buon senso, che se applicata rovescerebbe i modi di vita cui siamo abituati e avrebbe se non altro il merito di farci vivere, mangiare, respirare e spostarci meglio e ingurgitando meno veleni di quanto siamo costretti a fare oggi. La cosa è andata bene, partecipata, tanto che alla fine si è dovuto troncare l'incontro perché la sala doveva essere preparata per il successivo. Ma in più di qualcuno - ché magari, vista l'età, il 68 l'ha solo letto sui libri o visto in bianco e nero - intervenuto pubblicamente e non, si notava una certa insofferenza perché Viale parlava di cose giudicate minime rispetto alla rivoluzione totale di cui era fautore quarant'anni fa. Qualcun altro ha estratto dalla tasca dell'eskimo la contrapposizione riforme-rivoluzione. Tanto che Viale stesso è stato costretto a dire esplicitamente che si considera più radicale ora di quanto lo fosse nel '68, perché oggi più consapevole e quindi meglio in grado di raggiungere l'obiettivo. Brutta cosa la vecchiaia, a volte. Anche se sulla carta d'identità non hai tutti gli anni che dimostri.

giovedì 12 novembre 2009

Gerontoche?

Sì, la gerontocrazia regnante in Italia ci ha scocciato. Ma sentirsi dare del ragazzo a quarant'anni suonati da uno che non conosci e che a occhio e croce potrebbe essere più giovane di te dà gusto. Ammettiamolo.

Se volete sapete dove trovarmi

Domani il titolare di questo blog farà una chiacchierata in pubblico a Perugia, nell'ambito di Umbrialibri, con Guido Viale per presentare il suo (di Viale) ultimo libro "Prove di un mondo diverso". Qui i riferimenti.

mercoledì 11 novembre 2009

venerdì 6 novembre 2009

Strumentale ma non troppo

La stringa "annozero di ieri" dirotta da Google diversi visitatori su questo blog. Quindi ci torno: sull'argomento della puntata di annozero di ieri, appunto, non posso dire nulla, perché della questione del consiglio comunale di Fondi in odore di mafia so assai poco. Due riflessioni a margine però, se è lecito chiamarle così, ci sarebbero. La prima: ha ragione Saviano citato nel pezzo di Travaglio, la criminalità organizzata non è né di destra né di sinistra, sfrutta ogni occasione, s'insinua ovunque e costruisce alleanze con chi fiuta che le consente gli affari migliori. E sia a destra che a sinistra trova sponde, purtroppo. Il punto è che a sinistra ci si vergogna un po' del fatto a Caserta il Pd conta più iscritti di quanti ne ha nell'intera Lombardia, mentre ieri sera, tanto per dire, il senatore Fazzone (Pdl) uno dei grandi accusati nell'affaire Fondi, solo dopo aver ululato insulti o giù di lì contro chiunque gli faceva rilievi critici, solo dopo aver cercato peli nell'uovo per tre quarti della trasmissione - a tratti anche con punte di comicità - si è detto contro la criminalità organizzata, dando tanto l'impressione di fare una cosa più dovuta che sentita. La seconda: che un soggetto con l'italiano claudicante di Fazzone diventi senatore della repubblica, la dice abbastanza lunga sullo stato in cui siamo ridotti.

mercoledì 4 novembre 2009

Bestemmia

Un tempo avrei salutato positivamente, se non gioito, per la sentenza della Corte europea per i diritti dell'uomo sui crocifissi. Oggi me ne frega relativamente poco. Essendo senza religione, quell'oggetto, pure carico dei significati che ognuno ci mette sopra, rimane un oggetto, appunto: inoffensivo. Tra l'altro, non so voi, ma quando lo vedo retto da catenoni e impigliato tra i peli del torace scamiciato di qualche omone, non ne ricavo mai una bella impressione su chi lo porta addosso, ma questa è la mia parte snob che parla. Ma sono senza religione, dicevo, e non so come reagirei al vedere il cristo in croce nell'aula dell'asilo di mia figlia se ne professassi una diversa dal cattolicesimo; anche se il concetto di farsi offendere da un oggetto, a meno che non ti cada in testa, mi risulta difficile da metabolizzare. Così come mi risulta difficile capire come ci si possa sentire più vicini a dio bestemmiando mentre lo si abbassa al livello di un oggetto. E non parlo di vaticani, cardinali, vescovi e via porporeggiando: se vogliono il loro logo appeso ovunque difendono il core business dell'azienda per la quale lavorano, vanno capiti. Mi stupiscono semmai i papà come me e le mamme come mia moglie che, a differenza di me e mia moglie, considerano una ferita la mancanza di un oggetto dall'aula frequentata dai figli: manco si trattasse di banchi, sedie o termosifoni, ché senza di quelli non si fa lezione. In quella frequentata dalla mia ad esempio, il cristo in croce non c'è - se non sbaglio, ma non c'ho mai fatto caso bene a dire il vero - eppure finora non m'è mai capitato di sentire di bambini posseduti da satana lì dentro. E fin qui siamo a cavallo tra il professare una religione ed essere superstiziosi: voglio il crocifisso in aula e mi tengo il corno rosso nel bauletto dell'auto insieme al santino di padre Pio, che hai visto mai. Mi frega relativamente poco della presenza di un oggetto in un luogo pubblico, dicevo. Ma sono loro, i veneratori dell'oggetto che mi inducono nella tentazione di scendere nell'agone. Perché quando li vedo ebbri delle loro certezze e bramosi di fare dei loro simboli, delle loro pratiche, delle loro credenze, i simboli, le pratiche e le credenze di tutti, percepisco come non la sinistra o il laicismo, che non c'entrano niente, ma il liberalismo sia per loro materia mai digerita. E' in questo continuo ricorso alla tradizione, all'autorità costituita, a delle radici confuse con un pezzo di legno appeso a un muro che vedo un passato che non passa. E' in questo considerarsi ombelico delle verità che si scorge la povertà di un punto di vista che se solo si oltrepassano le Alpi a nord (solo dopo i Pirenei c'è una situazione simile alla nostra in Europa) è incomprensibile ai più. Appendentelo pure dove volete il vostro crocifisso e toccate ferro mentre salite sulla scala, che magari potreste anche cadere, poveri voi che pensate che dio vi premierà per questo.

Disegnare l'immaginario collettivo

La differenza tra Berlusconi e i suoi avversari è questa: quando governava Prodi c'era Visco che provava orgasmi a sanguisugare gli italiani, oggi c'è un grande debito pubblico che non consente al governo di mettere in campo risorse per fronteggiare la crisi e/o tagliare le tasse.

martedì 3 novembre 2009

I puntini sulle i

Ida Dominijanni sul manifesto: "Una bussola che aiuta a distinguere fra il caso Berlusconi e il caso Marrazzo: l'uno denudato dalla denuncia - politica - del suo sistema di potere da parte di sua moglie (e poi di altre testimoni), l'altro da un agguato - antipolitico - di quattro carabinieri nella casa - privata - di una trans. Differenze troppo sottili e troppo scomode per chi preferisce cavarsela con la graduatoria del disdoro fra escort e trans".

lunedì 2 novembre 2009

Pane al pane

Poiché non ho gran tempo per scriverne, segnalo la recensione della presenza di Bersani da Fazio fatta da Matteo Bordone, ché lui (Bordone) non lo sa, ma ha scritto anche per me. (qui, invece, c'è l'intervista)

Giù giù giù

Non posso dire di aver smesso di seguire il Tg1, non foss'altro che quando mi capita lo guardo per capire a che punto si può arrivare. Ieri sera però è stata una delle tante volte che alle 20 non ero davanti alla tv. Di come hanno dato la notizia della morte di Alda Merini mi hanno riferito scandalizzati nella vita reale e in quella davanti al pc.