mercoledì 25 marzo 2009
Ma cos'è questa crisi?
Non lo dico per amor di controcorrente, ma io alla crisi non ci credo. Non nel senso che non ci sia. E non nel senso che una diminuzione della produzione e dei fatturati non possa portare, alla lunga, a un peggioramento delle condizioni generali. Non credo alla crisi dipinta dai politici e, a cascata, dai media avvizziti e pigri. Non credo alla crisi della quarta settimana, alla spesa alimentare che cambia "perché non ce la si fa più" e a tutte le indicazioni che ci fanno credere che solo da qualche mese siamo vicini al precipizio mentre prima eravamo tanti Adami e tante Eve che non avevano ancora mangiato la mela. Non credo alla crisi perché se il precipizio c'è allora noi ci balliamo vicino da anni, da decenni anzi. O no. La crisi c'è. Ma c'è per chi perde il lavoro e/o è costretto alla cassa integrazione. In questi casi sì che devi rimodulare i consumi, affidarti agli ammortizzatori sociali costituiti da genitori, nonni, zii e chi più ne ha più ne metta visto che lo stato, alla faccia del welfare e dei relativi ministri, ti dà ben poco per campare dignitosamente. Ma qualcuno deve spiegarmi cos'è cambiato per un impiegato pubblico o uno privato o per un precario, o per commercianti e professionisti se, come dice Bankitalia, il reddito delle famiglie è rimasto lo stesso dal 2000 al 2006. Ecco, appunto: se il precipizio c'è, noi ci balliamo da anni a pochi centimetri. Solo l'altroieri, nel 2005, i prezzi delle case erano alle stelle eppure il 61% delle famiglie italiane (delle famiglie dico, non degli individui) tirava avanti con meno di 2311 euro al mese; il 50% addirittura con meno di 1.800. C'erano tutti 'sti titoli sulla crisi? Non mi pare. Oggi se ti capita il pdf di un giornale a portata di pc e fai una ricerca digitando la parola "crisi" rischi di ottenere una decina di risultati. I problemi ci sono, eccome, ma c'erano già. Solo che politici, media e i vari maestri di pensiero non ce lo dicevano e così facevamo finta di non accorgerci di nulla. Nell'agosto 2008, quando la crisi era conclamata, i mutui variabili erano al loro massimo, per un pieno di carburante si spendevano diversi euro in più rispetto a oggi e le bollette di gas ed energia avevano raggiunto l'apice. La crisi era conclamata, ed era originata di là dall'oceano proprio dai mutui insolventi le cui rate continuavano a spennare, di qua, chi si stava pagando la casa. Ma ancora non c'era. O era una crisetta, o era reversibile. Poi è diventata grave: e giù licenziamenti, giù casse integrazioni e giù mancati rinnovi di contratti ai precari strutturalmente appesi a un filo. Viene da riflettere insomma, su questa crisi per anni sotto al tappeto che in un baleno diventa la questione. Viene da riflettere sulla nevrastenia dei tempi e sulla mancanza di ragionare in profondità che può portarci alla malora. Viene da riflettere sulla messa al bando di qualsiasi pensiero che non sia quello della corrente maggioritaria, anche se questa sbaglia in maniera marchiana. E viene da riflettere sulle ricette messe in campo (è così che dicono i giornalisti bravi, no?) anche oggi, che ci dicono ci troviamo nell'occhio del ciclone. Misure che denotano quanto pericolosamente continuiamo a muoverci vicino al precipizio. Per di più convinti di allontanarcene. Fino alla prossima crisi, quando quello che per anni non sarà stato un titolo di giornale, un argomento di discussione, un oggetto di una norma di legge, diventerà la questione. E l'affronteremo così come oggi, in maniera avvizzita e pigra, senza risolvere nulla, solo rimandando.
lunedì 16 marzo 2009
Fattore X (reprise)
Poiché sto notando che molti cultori di rock non l'hanno ancora saggiato, mi permetto di consigliare l'ascolto di Il paese è reale (il cd intendo), che vale molto più dei dieci euro scarsi che servono per farselo spedire dalla Fnac. Eccolo il rock italiano, perdonate l'accesso intollerante, altro che X Factor.
Fattore X
Non sono attendibile perché ho un pregiudizio nei confronti dei palinsesti televisivi e non sono un grande consumatore di programmi tv, quindi neanche in grado di criticarli. E' che però da più parti, non comunicanti tra loro e quindi non influenzate a vicenda, di sinistra, più o meno critiche con i modelli preponderanti dalle nostre parti e amanti del buon rock, anche indipendente, mi si parla positivamente di X Factor. Io davanti alla tv che trasmetteva quel programma ho anche provato a mettermici e confesso di non aver durato più di una trentina di minuti scarsi. Ma come dicevo non sono in grado di criticare, perché appunto non conosco. Ci sono però un paio di cose che stonano nei pareri lusinghieri che la gente che descrivevo prima dà di X Factor: il fatto che lo si consideri un programma buono perché dà spazio a giovani talenti e perché, è il ritornello, rispetto a quello che si vede normalmente, questa è una cosa sicuramente migliore. Ora, sul secondo aspetto, cioè sulla logica del meno peggio non starò a dilungarmi se non per dire che la considero uno dei mali del nostro tempo. Sul primo aspetto ho da dire di più. Perché accettare che un "giovane talento" debba passare attraverso la tv per fare successo è una di quelle cose che non stanno né in cielo né in terra. E non lo dico perché sono pregiudizialmente contrario alla tv generalista così com'è oggi. Riflettete: dagli U2 agli Afterhours, quale bisogno della tv hanno mai avuto i gruppi per - come si dice - sfondare? Il rock è, oserei dire ontologicamente, un fenomeno di strada, da locale buio con birra in mano, da giornale specializzato, da passaparola, da compilation regalata da un amico, amica, fidanzato, fidanzata, dal chitarrista del tuo gruppo; da chilometri fatti su furgoni sbrindellati. Il rock è una cosa nata per spingerti a uscire di casa o semmai a rintanartici con le cuffie in testa per isolarti volontariamente in momenti di particolare paranoia, non per stare davanti alla tv. E poi, per un artista, il passaggio televisivo è semmai un punto d'arrivo. Ecco perché non capisco come chi si è inebriato di concerti in centri sociali, pub piccoli e sudati, parchi e campi in terra battuta possa amare, o semplicemente considerare godibile e/o positivo, X Factor.
martedì 10 marzo 2009
lunedì 9 marzo 2009
Su coraggio
Che poi chissà cosa c'è dietro il rifiuto di De Bortoli all'inutile presidenza della Rai. Però, il fatto che oggi in Italia c'è chi dice no a una poltrona tanto prestigiosa quanto effimera e pilotata infonde coraggio.
I segni del Tremonti
Si potrebbe tirare l'ennesimo pippone su come si tenta di rilanciare l'economia innovando al di là dall'oceano e di come qua resistono le incrostazioni di sempre. Ve lo risparmio, ché qui se ne è scritto con efficace leggerezza.
domenica 8 marzo 2009
Alla pari. Alla pari?
Qui sulle donne si è scritto diverse volte, oggi non si trova di meglio che ringraziare Cristina Donà per questo testo.
Senza disturbare, senza disturbare
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
per una posizione una vera condizione
Prego si tolga dalla luce
e spieghi come mai
prego sia un po' più veloce
e mi spieghi semmai
nel suo futuro c'è chi aspetta
ma è bene che lei scelga
è bene che lei scelga, scelga o perda,
scelga o perda, o scelga
Prego di qua e abbassi la testa
è la posizione giusta,
senza vanità
prego sorrida enormemente
vediamo come va
la sua bella presenza richiesta dall'azienda
è una formalità
e la mia opinione sulla riproduzione...... lei certo capirà.
Senza disturbare, senza disturbare
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
prego di qua
sta per arrivare una grande decisione
per una posizione una vera condizione
Prego si tolga dalla luce
e spieghi come mai
prego sia un po' più veloce
e mi spieghi semmai
nel suo futuro c'è chi aspetta
ma è bene che lei scelga
è bene che lei scelga, scelga o perda,
scelga o perda, o scelga
Prego di qua e abbassi la testa
è la posizione giusta,
senza vanità
prego sorrida enormemente
vediamo come va
la sua bella presenza richiesta dall'azienda
è una formalità
e la mia opinione sulla riproduzione...... lei certo capirà.
mercoledì 4 marzo 2009
Colosso
La storia è questa: il 28 novembre 2008 chiedo a Telecom l'installazione del profilo Alice Casa sulla mia linea telefonica. Utilizzo già la linea Adsl, in sostanza chiedo la modifica perché con questo nuovo profilo viene concesso in comodato d'uso un router wireless che avevo già in animo di acquistare e che in questo modo, per di più risparmiando qualche euro sulla bolletta, avrò gratis. Di rinvio in rinvio, sempre a causa dell'azienda, il tecnico varca la soglia di casa mia il 2 marzo. Se ne va dopo oltre un'ora e sembra tutto a posto. Invece scopro dopo poco che il telefono fisso non riesce a ricevere. Chiamo subito il 187 e mi si dice che un tecnico mi contatterà al più presto. Al pomeriggio, non avendo sentito ancora nessuno, chiamo nuovamente il colosso della telefonia (è così che lo chiamano nelle pagine economiche dei giornali, no?); la finto-gentile signorina del call center mi ribatte che non c'era necessità di una seconda chiamata, poiché la mia richiesta è stata già inoltrata e il guasto verrà risolto entro due giorni lavorativi. Cioè: arrivi in casa mia, commetti un errore grossolano e mi fai restare senza telefono per più di due giorni? E fin qui stiamo nel campo dei disservizi, ordinario per Telecom come per parecchie altre compagnie di telefonia, da quanto sento dire in giro. Tanto che quando si guasta qualcosa che ha a che vedere con linee telefoniche, è assai frequente entrare in uno stato di latente depressione sapendo di stare per entrare in un kafkiano giro di telefonate con non si sa chi all'altro capo. Voglio dire: l'assicurazione, l'idraulico, l'arredatore, il concessionario, per qualsiasi cosa sono lì, a portata di telefono. I "colossi" di telefonia ed energia no. Sono entità sovranaturali: si manifestano sulla terra solo sotto forma di bollette o di addetti ai call center che, poverini, sono settati come i programmi dei pc e oltre un certo limite non andranno mai, non essendo loro concesso, pena il licenziamento, di utilizzare il dono dell'elasticità tipico degli umani. Ma non è questo il punto. Stamattina sono entrato nel mio profilo 187 e ho scoperto che c'è una pratica aperta sulla mia linea "in carico al settore specialistico". La cosa sensazionale è il suggerimento che viene fornito. Non so voi, ma se io lavorassi come opera "il colosso" sarei messo, al meglio, nel più breve tempo possibile in condizione di non nuocere e mi verrebbe fatto gentilmente capire che non è aria di trattenermi a lungo.
martedì 3 marzo 2009
Le pulci all'opinione pubblica
Sostiene lo scorfano con robuste argomentazioni, che le autobotti d'inchiostro versate con assai poca fantasia e curiosità giornalistiche sulla "pioggia di 5 in condotta" nelle pagelle degli studenti italiani sono un classico esempio di informazione così miope da tendere all'inutilità. Scorfano ha ragione. Ma tralascia l'altra faccia del problema. Perché di qua c'è la stampa ma di là c'è la pubblica opinione. E in mezzo il mercato: drogato, dopato, taroccato, vilipeso da mister tv, ma pur sempre mercato. Il punto è che l'informazione è una merce che viene venduta nel mercato della pubblica opinione - perdonate il bignamismo d'accatto, è solo per fissare il perimetro del discorso. E oltre quattro milioni di quella pubblica opinione, domenica scorsa non hanno disdegnato di seguire l'Arena dell'indignato d'ordinanza Giletti, dove le parole di Giorgio Cremaschi e di Giorgio Fossa sulla crisi economica si mescolavano con quelle di Alba Parietti e Lory Del Santo (cito a caso dall'ultimo esempio della infinita galleria degli orrori che ci si para dinanzi ogni volta che accendiamo la tv). Quattro milioni, capite? Il Corriere della Sera, che è il più venduto dei quotidiani italiani, arriva a stento a vendere seicentomila copie in un giorno. Questo per dire che così come dopo un periodo d'ubriacatura abbiamo imparato (quasi) tutti a intercettare le stonature del coretto società-buona-politici-cattivi, sarebbe il caso di prendere in considerazione anche che la disequazione lettori-bravi-stampa-superficiale va rivista. Non tanto per salvare i giornalisti, categoria cui nessuno può smacchiare le patacche più indelebili: conformismo umiliante, pigrizia paralizzante, e, spesso, perbenismo d'accatto. Ma per capire che se non si parte dalla presa d'atto che oltre a quel tipo di problema lì, c'è anche quello di una pubblica opinione a un livello di maturità e di capacità di concentrazione che se va bene è quello di un preadolescente, non si riuscirà mai ad orientarsi. E siamo davvero sicuri che una bella, seria e approfondita analisi sul fatto che il 72 per cento dei ragazzi italiani ha una pagella con almeno un'insufficienza, venga premiata di più di un bello strillo sui cinque in condotta voluti dal ministro? Sì, lo so bene che a volte è anche l'offerta a nobilitare o deprimere la domanda. E so anche che c'è un pubblico meno di bocca buona, selettivo, sofisticato, che addirittura la tv la lascia spenta per larga parte della giornata e che la carta stampata la setaccia, o che magari viaggia nell'oceano della rete dove molte produzioni di qualità sono a portata di mano. Ma qui si sta parlando dei grandi numeri non delle nicchie. E le nicchie non spiegano, o spiegano poco. I grandi numeri dicono che c'erano oltre quattro milioni a pendere dalle labbra di Alba Parietti ed erano diventati meno di tre, la sera, davanti a Presa diretta.
Che tocca fa' pe' campa'
Il manifesto annuncia che c'è l'accordo per la lista della "sinistra per le libertà" alle europee: vendoliani, sd, socialisti e (forse) Verdi. Simbolo, la scritta su fondo rosso, sinistra per la libertà, appunto, e un patchwork con i loghi dei Verdi, del Pse e del Gue (Sinistra europea). Per par condicio va detto anche che sembra ormai certa la confluenza in un'unica lista comunista di Prc e Pdci: qui ci sarà di sicuro la falce-e-martello, il resto è trascurabile. In entrambi gli schieramenti tascabili si fa riferimento all'obiettivo della ricostruzione della sinistra. Non ridete, ché non sembra ma fanno sul serio.
Lo stato delle cose
Lontano dal pc per qualche giorno, non posso fare a meno di annotare con colpevole ritardo che ieri il tg3 delle 14,15 ha dedicato alcuni minuti ai congressi dei Repubblicani europei e del movimento per le autonomie. Hai visto mai, foste indecisi per il voto alle Europee, due valide opportunità da prendere in considerazione, no?
Il cielo sopra
La radio s'è ripresa, playlist tendenzialmente slow, che qui si va un po' con le condizioni meteo e il cielo oggi, non so da voi, ma qui è quello che è. Ma non manca qualche accelerazione.
giovedì 26 febbraio 2009
Trovato (per ora)
Bianco, che quel nero appesantiva. Ho cercato in rete modelli convincenti, digitando su google sempre la parola simple accanto a template etc..., che volevo una cosa neutra. Ma c'era sempre qualcosa che non andava in quello che trovavo. Allora rimango così, tolgo il nero ma lascio l'arancio, che è un po' rosso e un po' verde e non è né solo rosso né solo verde. Una cosa discretamente complicata insomma, che in natura si trova difficilmente. E allora mi consolo ricreandola virtualmente qui. Oh, se vi fa proprio schifo potete dirmelo eh.
mercoledì 25 febbraio 2009
Io non posso stare fermo
In mancanza di buone idee per post convincenti mi sono messo a smanettare sul modello del blog con i risultati che vedete. Appena ne sarò in grado, se mai ne sarò in grado, ripristenerò il tutto. Ma voi nel frattempo, ne sono sicuro, ve ne farete una ragione, no?
lunedì 23 febbraio 2009
La vita è bella perché varia
Frustrati di tutta Italia, gioite: per un Povia che arriva secondo a Sanremo c'è un Penn che vince l'Oscar.
domenica 22 febbraio 2009
Grottesco
Prendo io stesso le dovute distanze da ciò che sto per scrivere, soprattutto perché si tratta di un giudizio personale, ancorché politico, e perché le cose umane ti sorprendono spesso. Però sono fortemente convinto che uno come Dario Franceschini non sarebbe mai diventato segretario di un partito a meno che questo partito non fosse quella cosa cui è stato messo il nome di Pd. Cioè una formazione politica dove, tra le decine di altri accadimenti grotteschi che non si staranno qui ad elencare, c'è uno che si candida a fare il segretario e quando, a strettissimo giro di posta, si apre la possibilità per andare a ricoprire quella carica alza la mano per votare un altro (vedere la prima foto della galleria linkata nel post precedente).
sabato 21 febbraio 2009
Mamma mia!
So che sarei scambiato per qualunquista e forse, chissà, lo sto diventando, per cui non vi dirò l'effetto che mi ha provocato scorrere questa galleria di foto. Ma non sapete il desiderio che avrei di sapere che cosa provocano in voi. Mica per altro, solo per sapere se sono io ad essere esagerato.
venerdì 20 febbraio 2009
Se ve la siete persa
Seduto sulle scale del retropalco di Sanremo senza effetto alcuno se non la sua voce al microfono di una radio e il plettro sulla sua chitarra. Qui la chicca offerta da Manuel Agnelli alla Gialappas e a chi era in fortunato ascolto di radio due ieri notte.
Update: per chi si era linkato e non l'ha trovata, ho ripristinato il tutto.
Update: per chi si era linkato e non l'ha trovata, ho ripristinato il tutto.
mercoledì 18 febbraio 2009
Serve?
Cari Afterhours, da queste parti non ci si oppone a prescindere. Neanche alla partecipazione a Sanremo di uno dei più alti esempi di rock italiano come voi siete. Il problema però è che voi non siete Benigni. Benigni ha una vocazione ecumenica, è in grado di parlare, se non a tutti, a una buona percentuale di quelli che lo stanno ascoltando in quel momento. E' in grado di far capire anche a chi li chiama froci che pure loro amano, solo che dirigono il sentimento verso persone del loro stesso sesso. Ha il dono di una semplicità non banale e può parlare dall'alto anche a una platea dai gusti mediocri pur non facendo sentire nessuno inferiore e anzi innalzandolo un po'. E non è da tutti. Per cui un'apparizione come la sua di ieri sera a Sanremo sarebbe da ripeterla settimanalmente sugli schermi della Rai. Voi avete portato a Sanremo un gran pezzo. Sia dal punto di vista del testo che della musica. Io battevo il tempo mentre lo ascoltavo ieri sera per la prima volta. Ho pompato il volume quando oggi l'ho beccato per radio. Ma voi, cari Afterhours non parlate a tutti. Non siete fatti per essere capiti da tutti. E non è un demerito. Per questo, stanti così le cose e visto che avete migliaia di fan, siete stati in grado di portare i vostri show negli Stati uniti e il successo non vi manca, mi chiedo e vi chiederei, se poteste sentirmi, il senso della vostra partecipazione a Sanremo. Perché se volevate raggiungere un pubblico più ampio non credo sia quello il palcoscenico adatto per farvi apprezzare, eravate bellissimi ma proprio fuori contesto incastonati tra la non musica di Al Bano e della Zanicchi. Ma forse invece, intendevate aprire una breccia, "fare qualcosa che serve". Forse della vostra partecipazione si vedranno i risultati tra anni. Spero solo che serva a qualcosa di più che a far tirare tardi me e tutti quelli come me che ieri sera si sono sorbiti l'inascoltabile prima di potersi dimenare con calma sul divano. E aspettano di vedervi sul palco insieme a Cristiano Godano. Sarà un bel momento, ma resta il timore che lo sarà solo per quelli che godono già di voi. Ma speriamo che serva.
Aggiornamento: l'avevo dato per scontano, ma leggendo qui si capisce meglio il senso dell'operazione che se non altro li conferma come una realtà tra le più lontane dalla banalità.
Aggiornamento: l'avevo dato per scontano, ma leggendo qui si capisce meglio il senso dell'operazione che se non altro li conferma come una realtà tra le più lontane dalla banalità.
Crisi d'opposizione
Eravamo abituati alle crisi di governo, ora tocca fare i conti con quelle dell'opposizione. Sia chiaro, da queste parti si resta convinti che la situazione rimanga quella che si tentò di descrivere qui. Le cose insomma sono difficili per tutti quelli che si muovono al di qua di Berlusconi. Però era facile prevedere il crac con scene madri e dichiarazioni nonsense annesse. Certo, era facile prevederlo, e allora perché non l'hai scritto prima? Perché era prevedibile sì, ma col senno di poi, che appunto arriva dopo e non serve a riparare i danni già subiti. Ma se non altro potrebbe aiutare a evitare di provocarne di nuovi. Prendiamola alla larga: avete idea di cosa faccia oggi lo sparring partner di Obama alle ultime elezioni statunitensi? Io no. E oltre a non interessarmi granché, credo che neanche la maggior parte di voi abbia idea delle occupazioni che impegnano John McCain. Eppure solo tre mesi fa competeva per diventare uno degli uomini più influenti del pianeta. Dimenticato. Bene. Non sapete dove sia e cosa faccia oggi John McCain ma se siete lettori di quotidiani o fruitori di telegiornali, leggete e ascoltate un giorno sì e l'altro anche dichiarazioni di Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Massimo D'Alema. Cioè, il mondo ha dimenticato il simpatico settantatrenne dell'Arizona che ha perso le elezioni con Barack Obama, i repubblicani statunitensi si sono guardati bene dal farne il loro leader; ma gli italiani sono costretti a ricordare ogni giorno l'esistenza sulla scena pubblica di gente maestra nel perdere elezioni. Già perché nel fiume di dichiarazioni, comparsate tv, vertici e riunioni più o meno infruttuose di cui i cronisti ci distillano quotidianamente il succo insapore, qualcuno potrebbe aver dimenticato che D'Alema si giocò di fatto la carriera politica quando la coalizione di centrosinistra - grazie alla quale lui presiedeva palazzo Chigi dopo aver disarcionato il presidente del consiglio eletto due anni prima - fracassò alle regionali del 2000. Altri potrebbero aver sepolto sotto la mole di avvenimenti venuti dopo, che Walter Veltroni, oltre ad essere stato sonoramente sconfitto da Berlusconi un anno fa, divenuto segretario dei Ds nel 1998 dopo che D'Alema aveva lasciato la guida del partito per diventare premier, fiutata l'aria di sconfitta per il centrosinistra alle politiche del 2001, lasciò di fatto il partito al suo destino per dedicarsi alla sua candidatura a sindaco di Roma. L'ultima perla da inanellare è quella di Rutelli, che si candidò alla sconfitta contro Berlusconi nel 2001 (solo i privi di olfatto non avevano annusato che il centrosinistra avrebbe perso), proprio per guadagnare una visibilità post elettorale che gli valse infatti la carica di presidente della Margherita, partito fondato l'anno successivo. Insomma: nei paesi normali chi perde le elezioni esce dalla scena politica, mentre da noi addirittura le sconfitte alle elezioni vengono utilizzate come possibili trampolini di lancio dai protagonisti di centrosinistra. Ad uscire di scena anzi, è stato l'unico personaggio che nell'arco dell'ultimo decennio è stato in grado di portare per ben due volte il centrosinistra al governo. Bizzarro, no?
E' innegabile che la sinistra ha il problema del leader. E' una parte politica che nasce con il dna della collegialità, che tende all'autogoverno più che al seguire il capo; che in alcune sue frange tende all'anarchismo. Però, meglio averne uno intero di leader piuttosto che due mezzi che si annullano a vicenda non essendo in grado di prevalere l'uno sull'altro. Perché questa è la storia del Pds-Ds-Pd che sta agonizzando sotto la diarchia decennale di mezzo D'Alema e mezzo Veltroni. E questa è anche la storia di Rifondazione, partito che finché ha avuto una testa in grado di guidarlo degnamente ha tenuto anche in momenti di difficoltà e che uscito di scena il suo leader storico è diventato un partitino vicino alla consistenza di Dp (do you remember?), con il suo attuale segretario che, con sprezzo del ridicolo, definisce disastroso l'esito elettorale sardo del Pd dall'alto del trepercento del suo partito. Alla sinistra serve un leader come il pane serve agli affamati. E spiace dirlo perché la collegialità e l'anarchismo sono tendenze che qui si coltivano a patto che però si riesca in qualche modo ad agire. Serve un leader sotto la cui ombra si acquietino gli appetiti dei nani politici di turno; serve un leader che riduca al silenzio le tendenze divaricanti che diventano gigantesche e tendono a prendere la scena in mancanza di una personalità in grado di gestirle e ridurle alla dimensione che meritano; serve un leader con la virtù del coraggio di saper prendere una parte e indicare una via (per esempi rivolgersi a Zapatero o Obama). Basta con i sacerdoti del "ma anche", con i falliti da anni e con i dimezzati rancorosi. Anche perché senza leader non c'è unità. E l'unità, i nani politici del centrosinistra presi dalle loro bagatelle non l'hanno capito, è una delle virtù più gettonate da parte dell'elettorato. L'hanno capito così poco che pensavano di poter vincere in Sardegna dopo che Soru si era dimesso in seguito a lotte intestine. Ecco perché era tutto prevedibile: poteva pensare un partito del genere di durare a lungo? Serve un leader per tutto questo e serve anche perché sappia arrivare non dico a scorgere l'orizzonte, ma almeno a guardare un po' più in là del suo naso. Forse la faccio troppo facile. Ma trovare qualcuno in grado di spazzare via la polvere e tutti i politici di centrosinistra che vi riposano sotto sarebbe già un buon passo per iniziare una nuova via. Dov'è 'sto qualcuno? Bè, qui se permettete mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
E' innegabile che la sinistra ha il problema del leader. E' una parte politica che nasce con il dna della collegialità, che tende all'autogoverno più che al seguire il capo; che in alcune sue frange tende all'anarchismo. Però, meglio averne uno intero di leader piuttosto che due mezzi che si annullano a vicenda non essendo in grado di prevalere l'uno sull'altro. Perché questa è la storia del Pds-Ds-Pd che sta agonizzando sotto la diarchia decennale di mezzo D'Alema e mezzo Veltroni. E questa è anche la storia di Rifondazione, partito che finché ha avuto una testa in grado di guidarlo degnamente ha tenuto anche in momenti di difficoltà e che uscito di scena il suo leader storico è diventato un partitino vicino alla consistenza di Dp (do you remember?), con il suo attuale segretario che, con sprezzo del ridicolo, definisce disastroso l'esito elettorale sardo del Pd dall'alto del trepercento del suo partito. Alla sinistra serve un leader come il pane serve agli affamati. E spiace dirlo perché la collegialità e l'anarchismo sono tendenze che qui si coltivano a patto che però si riesca in qualche modo ad agire. Serve un leader sotto la cui ombra si acquietino gli appetiti dei nani politici di turno; serve un leader che riduca al silenzio le tendenze divaricanti che diventano gigantesche e tendono a prendere la scena in mancanza di una personalità in grado di gestirle e ridurle alla dimensione che meritano; serve un leader con la virtù del coraggio di saper prendere una parte e indicare una via (per esempi rivolgersi a Zapatero o Obama). Basta con i sacerdoti del "ma anche", con i falliti da anni e con i dimezzati rancorosi. Anche perché senza leader non c'è unità. E l'unità, i nani politici del centrosinistra presi dalle loro bagatelle non l'hanno capito, è una delle virtù più gettonate da parte dell'elettorato. L'hanno capito così poco che pensavano di poter vincere in Sardegna dopo che Soru si era dimesso in seguito a lotte intestine. Ecco perché era tutto prevedibile: poteva pensare un partito del genere di durare a lungo? Serve un leader per tutto questo e serve anche perché sappia arrivare non dico a scorgere l'orizzonte, ma almeno a guardare un po' più in là del suo naso. Forse la faccio troppo facile. Ma trovare qualcuno in grado di spazzare via la polvere e tutti i politici di centrosinistra che vi riposano sotto sarebbe già un buon passo per iniziare una nuova via. Dov'è 'sto qualcuno? Bè, qui se permettete mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
martedì 17 febbraio 2009
Sottile e diffusa
Sono maschio; uomo, preferisco dire. Ma ciò mi consente lo stesso di pesare come la violenza fisica sia una caratteristica precipuamente maschile, non solo rumena. Penso anche che quella sulle donne, di violenza, si manifesta in forme differenti. Di cui lo stupro è solo la più eclatante e, per certi versi, autoassolutoria per una serie di tipi sociali: per chi occhieggia malizioso, per chi si permette battute insolenti che non accetterebbe mai se rivolte a una familiare, per chi allunga mani; per chi insomma fa pesare l'essere maschio, magari in una posizione di potere, in maniere non sanzionabili dal codice penale ma non per questo non umilianti nei confronti delle appartenenti a un genere che spesso credo vedano il mondo come fosse costruito al contrario dal loro punto di vista. Per chi considera le donne nostre e si permette per questo costanti invasioni di campo, salvo poi organizzare ronde contro chi le violenta, se chi le violenta è percepito diverso. Si è sempre avuto pudore a scriverne direttamente perché certe esagerazioni sono dannose e distolgono dalla comprensione dei problemi; altre esagerazioni però sono un salutare schiaffo in faccia e possono aiutare. Per questo oggi il blog prende in prestito un brano dell'editoriale di Matteo Bartocci sul manifesto che ha l'unico difetto di limitarsi a pochi esempi, laddove l'elenco è molto più lungo:
"E' sulle donne e le adolescenti, sulla loro sessualità, che si concentra una violenza sottile e diffusa. Il modo in cui vengono guardate per strada o in casa, approcciate sull'autobus, apostrofate a scuola, raccontate sui mass media, 'messaggiate' da fidanzati e spasimanti: è un'invasione di corpi normale e quotidiana".
"E' sulle donne e le adolescenti, sulla loro sessualità, che si concentra una violenza sottile e diffusa. Il modo in cui vengono guardate per strada o in casa, approcciate sull'autobus, apostrofate a scuola, raccontate sui mass media, 'messaggiate' da fidanzati e spasimanti: è un'invasione di corpi normale e quotidiana".
domenica 8 febbraio 2009
Message in a bottle
Egregio Presidente del Consiglio,
il quadro è già così deteriorato che non si starà qui a peggiorarlo blaterando contro i Suoi provvedimenti sulla questione. Solo mi permetto di pregarLa di evitare almeno le dichiarazioni in libertà cui è abituato. Perché la questione di cui sta trattando è abbastanza seria. E il suo tacere potrebbe servire da esempio a molti dei suoi seguaci e avversari che stanno mostrando nel trattare il caso di Eluana la stessa sensibilità con cui le tifoserie si affrontano a un derby.
il quadro è già così deteriorato che non si starà qui a peggiorarlo blaterando contro i Suoi provvedimenti sulla questione. Solo mi permetto di pregarLa di evitare almeno le dichiarazioni in libertà cui è abituato. Perché la questione di cui sta trattando è abbastanza seria. E il suo tacere potrebbe servire da esempio a molti dei suoi seguaci e avversari che stanno mostrando nel trattare il caso di Eluana la stessa sensibilità con cui le tifoserie si affrontano a un derby.
venerdì 6 febbraio 2009
Icone
Dice Garcia Marquez che la vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Diceva Mike Francis che alcune persone continuano ad ascoltare pezzi degli anni Ottanta che rimandano a un periodo in cui ci si divertiva e che per questo, più che per il loro valore artistico, sono rimasti nel cuore delle persone. Questo intreccio di musica e vita mi ha fatto partorire un'idea che non sta né in cielo né in terra, perché racchiudere un decennio in una canzone è una delle attività con meno senso cui ci si possa dedicare, soprattutto per uno che ha scritto questa cosa qui. Eppure, nonostante l'arbitraria riduzione di complessità, fatta la mia personalissima lista dei pezzi associati ai quattro decenni che mi ricordo d'aver vissuto fin qui, ho constatato che essi sono abbastanza paradigmatici dei vari periodi. Non è una classifica dei pezzi più belli ascoltati nei vari periodi, né una di quelli cui si è più affezionati. Ma può essere anche sia l'una che l'altra, o una delle due. Di sicuro è ciò che racchiude l'essenza di quel decennio per come si ricorda d'averlo vissuto, appunto: per testo, atmosfere, rimandi e memorie varie che è difficile spiegare a sé stessi, figuriamoci agli altri.
Anni '70 - In fila per tre - Edoardo Bennato
Anni '80 - I will follow - U2
Anni '90 - Even flow - Pearl jam
Ora - Hoppipolla - Sigur Ros
PS: niente di fisso comunque, le cose cambiano, possono cambiare, anche quelle in memoria, a volte.
Anni '70 - In fila per tre - Edoardo Bennato
Anni '80 - I will follow - U2
Anni '90 - Even flow - Pearl jam
Ora - Hoppipolla - Sigur Ros
PS: niente di fisso comunque, le cose cambiano, possono cambiare, anche quelle in memoria, a volte.
martedì 3 febbraio 2009
Capire il senso
Tra le diverse altre cose da fare, mi arrovellavo da un paio di giorni su un post in cui avrei tentato di spiegare perché secondo me il razzismo non c'entra (o c'entra poco) con i fatti di Nettuno e come anzi ricorrere alla mera categoria del razzismo per spiegare quell'episodio, come stanno facendo certa becerosinistra o certi becerodemocratici, è del tutto fuorviante perché sbagliando la diagnosi si sbaglia anche la cura. Ve lo risparmio: oggi sul manifesto c'è un fondo di Alessandro Portelli di una lucidità e di un equilibrio illuminanti che mi avrebbe tolto le parole di penna, se fossi stato capace di certe parole:
PS: le ragioni del pezzo fanno anche giustizia di quella cialtroneria di destra per cui la sicurezza è un problema solo se governa la sinistra. Ma questo è talmente scontato che è perfino banale segnalarlo.
"(...) il razzismo c'entra, ma non è un ingrediente isolabile, un'ideologia motivante; è piuttosto una componente ormai intrinseca e indistinguibile di un senso comune di violenza e sopraffazione che se non è diventato egemonico poco ci manca. Coltellate, fucilate, violenze sessuali fanno tutte parte di un'unica grammatica dell'annientamento e dell'umiliazione dell'altro. E questo senso comune è condiviso tanto dai cinque stupratori di Guidonia o dai tre marocchini che avrebbero violentato una donna a Vittoria in Sicilia, quanto dall'italiano stupratore di una cilena, dai ragazzetti di Campo de' Fiori accoltellatori di un americano, dal bravo ragazzo violentatore di Capodanno a Roma. E da tanti episodi meno sanguinosi ma diffusi nelle famiglie, nelle strade, negli stadi, nelle scuole nelle caserme. La sola differenza - e qui il razzismo c'entra espressamente - è la strategia di depistaggio messa in moto da politici e media. Quando, sempre a Guidonia, nel 2006, fu una donna romena a essere violentata per ore da un italiano la notizia non riempì le prime pagine ma si esaurì in due righe in fondo a un comunicato Ansa e a un trafiletto del Corriere della Sera. Non ci furono ronde di patrioti indignati. (...) Perciò far credere che la violenza sia un portato dell'immigrazione, è un modo per parlare d'altri e non di noi - a cominciare dall'altra cosa che questi episodi hanno in comune: il genere maschile degli aggressori e la debolezza delle vittime. (...) Essere o sembrare deboli, nella modernità della competizione, della deregolazione, dell'individualismo e del mercato elevati a religione, è una colpa in sé. E' una colpa essere donna, è una colpa essere senza casa, è una colpa essere nero. E forse la colpa peggiore di tutte queste minacciose debolezze sta nel fatto che mettono a nudo la debolezza profonda dei 'forti'".Questi sono alcuni stralci, ma vi assicuro che leggerlo tutto vale da solo il prezzo del giornale di oggi.
PS: le ragioni del pezzo fanno anche giustizia di quella cialtroneria di destra per cui la sicurezza è un problema solo se governa la sinistra. Ma questo è talmente scontato che è perfino banale segnalarlo.
Flusso di coscienza
In fila alla cassa del bar. Televisione accesa e sintonizzata sul canale che dà il Grande fratello. Sguardi verso lo schermo. Sono tre, un quarto sbircia mentre aspetta il suo turno con il contante in mano. Mica tanti, quanti saremo in tutto qua dentro? Ora li conto: sedici, baristi compresi. Quindi tre-quattro su sedici; appunto, mica tanti. Bè, mica tanti, è pur sempre un quarto: sarebbe il 25 per cento di share. Share? Dio come stai regredendo. "Questa, quant'è?". "Due-e-cinquanta". "Eccoli, me la apre?". "Pronti". Una bella birra all'aperto anche se la serata è umida, ecco cosa ci voleva. Guardatelo voi il Grande fratello.
sabato 31 gennaio 2009
Si può (si poteva) fare
Come capita a parecchi, in gioventù è successo anche a me di sognare di diventare una rockstar. Erano gli anni in cui il rock italiano era roba da riserva indiana: Litfiba, Cccp, Moda. Il meglio si dipanava lungo l'appennino tosco-emiliano: Firenze era l'ombelico del mondo, l'Emilia paranoica ci provava. E, strano a dirsi per chi si è formato più tardi, Milano e Roma quasi non esistevano. Ho citato non a caso tre gruppi storici che cantavano in italiano, ma s'era circondati da improbabili testi in inglese cantati da gente di provincia che chissà ora dov'è finita. Emule era fantascienza ma per chi viveva ai margini delle grandi correnti c'era Doc tutti i pomeriggi e radiorai la notte. Eravamo in quattro; gli altri tre molto esterofili, io chissà perché filoitaliano, il contrario di conservatore e già forse ispirato dalla biodiversità, concetto che non conoscevo ancora ma che mi permetteva di spingere per il cantato in lingua madre. Perché se hai qualcosa da dire lo dici meglio così e perché l'italiano è quello che parliamo tutti i giorni, mi piace e chi l'ha detto che non si può abbinare al rock, sostenevo convinto, infarcendo poi il tutto con un po' di richiami caserecci a Dante e alla tradizione migliore. Suonavo la chitarra e mi toccò di perdere. In futuro mi sarei ritrovato io a cantare - agli altri non interessava granché - e lo feci in italiano perché pensavo, beata incoscienza, di avere delle cose da dire. A distanza di vent'anni sono incappato in questa Giusy Ferreri che dicono sia la risposta italiana a Amy Winehouse. Bene. Io non vado matto per Ami Winehouse ma se mi capita mi fermo ad ascoltarla. Invece di Giusy Ferreri ho un giudizio così poco lusinghiero che ve lo risparmio. E' che sentirla cantare "...a novembre la città si spense in un istante..." con il tono di uno in preda a un attacco di colica intestinale che chiede dov'è il bagno più vicino è roba da non augurare a nessuno. Poi ho pensato a Morrissey e a Robert Smith. E ho riflettuto sul fatto che se uno provasse a cantare in italiano come loro cantano in inglese ma senza avere grandi cose da dire, si farebbe ridere in faccia dai più. Prova a immaginarti di sentire "...il ragazzo con la spina nel fianco...", come Morrissey cantava "The boy with the thorn in his side" e dimmi se il primo istinto non sarebbe quello di andarsene. Ecco, il cantato in italiano esige cura maggiore: se la lingua è straniera ti concentri di più sulla musica e la voce diventa un altro strumento. Per questo Morrissey e Robert Smith, o magari Jeff Buckley, ti fanno sciogliere. Ma se canti in italiano hai da essere più rigoroso: la voce può essere strumento ma deve avere qualcosa da dire. Sennò il pubblico, storicamente abituato a sentire cantare in italiano solo i cantautori, che snocciolano i versi in musica come si chiede il caffè al bar, fugge. Ma i tempi per fortuna cambiano, la biodiversità è ricchezza e i suoi semi germogliano. E per una Giusy Ferreri che va c'è gente che vale la pena di ascoltare in italiano. Sì, si poteva fare. Si può fare. Con un po' di coraggio e rigore in più.
martedì 27 gennaio 2009
Un altro film
Quando vedi recitare un cane hai la reale percezione di quanto sono bravi gli attori che ti fanno entrare dentro un film in maniera naturale, senza forzature. In politica è diverso. E' quando assisti a qualcosa di buono, anche appena sufficiente, che ti rendi conto di quanto è desolante il panorama davanti al quale sei uso sedere. Non che occorra ascoltare qualcuno bravo per arrivare a capire che una divisione dell'atomo in tre parti e la sua conseguente sparizione è probabilmente l'esito naturale di qualcosa che era già inutile di per sé. Non che sia necessario ascoltare la voce calda di un nero dall'altra parte dell'oceano per deprimersi di fronte alla stridevolezza del sindaco di una delle maggiori città italiane e alle corde vocali impastate di tabacco di un presidente di regione: avevano promesso la primavera e si sono impantanati in un eterno inverno. E non che servisse ascoltare qualcuno decente per arrivare a capire che per le sacrosante (almeno alcune) istanze avanzate dagli ambientalisti dei noantri serviva qualcuno con un equilibrio e una credibilità maggiori dell'armata brancaleone che si è cencellizzata le comparsate in tv (e il micropotere) per anni fino a diventare extraparlamentare. E' però utile, all'indomani di quella che solo in un panorama così scarsamente stimolante può essere definita la "rivoluzione verde" di Obama - laddove chi ha la reale percezione della questione la individua come un primo, deciso sì ma primo passo -, andare a riguardarsi quello che il Pd scriveva nel programma elettorale per mobilitare le masse su un problema cruciale per la stessa sopravvivenza del genere umano da queste parti: "La piena integrazione del criterio della sostenibilità e della qualità ambientale in tutte le politiche pubbliche. L'intervento diretto dello Stato, attraverso meccanismi di premio, e non con nuovi enti/società, nel settore dell'ambiente, sul quale costruire una nuova frontiera di leadership tecnologico-industriale". Parole da far venire i brividi, no? Provate a raffrontarle con queste: "Cinque milioni di posti di lavoro e millecinquecento miliardi di investimento nei prossimi dieci anni per sviluppare il settore delle energie rinnovabili; limitazione delle importazioni di petrolio dal Venezuela e dal Medio Oriente; un milione di auto ibride sulle strade entro il 2015; obiettivo del 10 per cento entro il 2012 e del 25 per cento entro il 2025 di percentuale di energia elettrica utilizzata derivante da fonti rinnovabili". Questo era il programma di Barak Obama per il quale il neopresidente ha già presentato un piano dettagliato a cinque giorni dal suo insediamento. Ecco, insomma, la si è fatta come al solito lunga per illustrare che le cose vanno dette credendoci, altrimenti non si può pretendere che ci credano quelli che ci ascoltano. E poi vanno anche fatte. La si è fatta lunga per dire che l'unico big bang che servirebbe dalle nostre parti dove non batte più il sole è un leader (sì, un leader) capace di parlare uscendo dall'infinito pantano, di preoccuparsi delle cose da fare (c'è solo l'imbarazzo della scelta per cominciare) e di rinunciare alle lusinghe asmatiche del breve periodo per puntare alto. Cose semplici e banali se uno guarda Barack Obama ma irraggiungibili viste da Marte, dove ci troviamo; pianeta dove le formazioni sedicenti di sinistra non bastano più le dita di una mano a contarle, dove i sedicenti riformisti si accapigliano come gli incivili alle assemblee di condominio e dove un questurino, ex solo perché ha dismesso i panni del manettaro ma non il modo di agire, scalda i cuori degli oppositori sedicenti duri e puri. Ma non è niente. E' solo che noi stiamo assistendo alla peggiore delle commedie in vernacolo di paese, di là si godono Sean Penn.
giovedì 22 gennaio 2009
Post vanitoso
Alessandro Portelli sul manifesto di oggi (se siete impazienti compratelo, sennò aspettate domani che lo mettono in rete, altrimenti fa lo stesso) amplia con gli strumenti a sua disposizione le cose accennate qui. Fa piacere essere in buona compagnia.
martedì 20 gennaio 2009
In diretta con Washington/6
Dice Gian Giacomo Migone che nel suo discorso Obama ha fatto "un uso sovversivo della tradizione americana", declinandola in uguaglianza, fatica, libertà e speranza. Cioè: è ricorso alla tradizione ma guardando avanti. Questo riferirsi ad un universo tradizionale ma sovvertendolo, gli ha consentito di evitare di polemizzare col suo predecessore pur dicendo cose sideralmente opposte a quelle che ha detto (e fatto) Bush. Mi sembra una buona traduzione.
In diretta con Washington/4
Varrebbe la pena avere Barack Obama presidente anche solo per il fatto che lui ascolta Miles Davis e il nostro, di presidente, scrive canzoni insieme ad Apicella.
In diretta con Washington/3
Varrebbe la pena farsi eleggere presidente degli Stati uniti solo per avere Aretha Franklin che canta in tuo onore.
In diretta con Washington/2
Vale la pena di ringraziare Obama solo per il fatto che sta facendo cantare l'inno ad Aretha Franklin.
In diretta con Washington/1
E però, il succitato pastore ha appena detto: siamo americani, non siamo uniti per sangue o religione, ma per l'amore per la libertà.
In diretta con Washington
Ecco, ci sarà sicuramente qualcuno pronto a farmi una lezione filologica che probabilmente non capirò come non comprendo il sermone del pastore della Saddleback churc all'insediamento del presidente Usa.
Black patchanka
E' meticcio, s'insedia e la playlist di oggi ne risente con un misto nero dove prevale il reggae e padroneggiano gli stordenti Jammin-inc, un incrocio tra Bob Marley e i Ramones.
domenica 18 gennaio 2009
Antipapisti dove siete?
Sì, il blog si rende conto di star facendo sempre più le pulci alla sinistra. Allora mettiamola così e rispondetevi davanti allo specchio, ché farlo in un commento al post forse è eccessivamente impegnativo: voi che mal tollerate alcune delle prese di posizione del capo dei cattolici e meno che mai accettereste che la sua legge religiosa si sovrapponesse a quella dello stato in cui vivete, come reagireste di fronte al raduno in piazza di cattolici preganti al termine di una manifestazione? Lo accogliereste con la stessa sobria indifferenza con cui state accettando gli islamici in ginocchio rivolti verso est nelle piazze di mezza Italia?
Un po' d'aria
L'intervista di oggi di Lucia Annunziata a Toni Servillo, che ha detto parole molto condivise da queste parti.
In mezzora
In mezzora
mercoledì 14 gennaio 2009
C'è o ci fa?
Della questione degli ateisti che hanno pianificato una campagna pubblicitaria sui bus di Genova per la loro causa e che sta cominciando a riempire anche le pagine dei giornali ho saputo da qui. Sulle prime ho provato un'istintiva simpatia, perché quello slogan lo sento mio. Poi sulla cosa è montata una discussione tra favorevoli e contrari. L'argomentazione principale dei secondi è quella dell'inutilità del proselitismo e/o della tendenza degli atei ad assomigliare in questo modo ai credenti (aggiungo: ai più pedanti dei credenti). Ognuno di noi è libero di fare ciò che ritiene più opportuno, ci mancherebbe, compreso tentare di convincere il prossimo della bontà delle nostre idee. Il problema è che qui non si tratta di semplici convinzioni, ma di fede (per chi crede) e di impossibilità ad entrare in una certa dimensione (per chi non crede). Per questo trovo grotteschi tanto i tentativi di chi vorrebbe convincere me a credere quanto quelli di chi non crede a persuadere i credenti che dio non esiste.
Wittgenstein, Blogbabel
Wittgenstein, Blogbabel
Questione personale
Allora, le cose stanno così: ultimamente la gente che conosce meglio il titolare della roba che state leggendo sostiene che sto diventando di destra (per chi l'avesse perso e non resistesse, e anche perché ripetersi non è la cosa più bella del mondo, qui c'è qualche cenno alla questione). L'altro giorno, parlando con una persona che mi conosce molto meno, ho destato meraviglia dichiarando che i cantautori mi hanno sempre annoiato; che non sono mai riuscito a pagare per un concerto di Guccini; che mi addormentai a un concerto degli Inti Illimani (ero bambino, però, ma non me ne pento affatto anche se ho suonato diverse volte el pueblo unido in comitiva, ma quel pezzo è un'altra storia); che salvo alcune cose di De Gregori, mi piace molto il Pino Daniele pre-rincoglionimento precoce (il live Sciò rappresenta la punta massima da cui poi si è cominciati a scendere nel precipizio); sono stato abbastanza sotto con Edoardo Bennato (col quale ho iniziato a suonare la chitarra, con i suoi pezzi intendo), poi anche lui si è rincoglionito precocemente (sarà l'aria di Napoli?); sono conformista su Battisti (nel senso che mi piace come al 90 per cento degli italiani, credo) e su De Andrè ho ripetuto le cose dette qui, aggiungendo che le sue poesie andrebbero fatte studiare nelle scuole. "Ma dai, io ti pensavo molto più schierato coi cantautori, ti piace proprio Bennato che tra loro è uno dei più fantasiosi", mi sono sentito dire. "Mi sa che hai di me un'immagine troppo ortodossa", ho risposto. Poi mi sono detto che quell'immagine, sia a chi ritiene che sto scivolando a destra, sia a chi mi reputa una sorta di comunista vecchio stampo anche se quando è crollato il muro avevo appena 21 anni, sono io a fornirla in qualche modo. Allora, metto a verbale quanto segue, anche se le definizioni non mi piacciono e sono pronto a prenderne le distanze appena finito di scrivere il post: mai avuto in tasca tessere che non fossero bancomat o di qualche circolo Arci in cui si faceva musica dal vivo o di qualche cineteca; sempre visto con sospetto le ortodossie di ogni tipo, tanto che la mia partecipazione alla vita della sinistra si è tradotta in una frequentazione, anche attiva, di centri sociali e nella lettura quotidiana del manifesto (che per chi lo conosce può avere tutti i difetti del mondo tranne quello di essere ortodosso; rigido magari sì, ma non ortodosso); mai indossato eschimi; avuti i capelli lunghi e indossato jeans sdruciti in una provincia degli Ottanta caratterizzata dal gel e della plastica molto più di quanto lo fossero le metropoli; amato Jim Morrison nell'unica parentesi in cui non era un mito per i ventenni dell'epoca (gli Ottanta, appunto); votato Rifondazione solo perché era rappresentata da Bertinotti (me ne rendo conto ora che lui è uscito di scena). Dichiaro inoltre di non riuscire a capire quelli che orfani della sinistra radicale abbracciano Di Pietro e di guardare al Pd con sconforto crescente dopo aver votato Veltroni con una certa convinzione. Se siete riusciti ad arrivare fino a qui, complimenti per la pazienza, ché vi siete sorbiti una sequela volta più a rassicurare me stesso in crisi d'identità - visti i diversi caratteri che mi si appiccicano addosso - che a comunicare qualcosa.
martedì 13 gennaio 2009
Il Medio oriente in casa
Quelli che piovono bombe dal cielo ma bisogna condannare Hamas, quelli che manifestano contro Israele e poi s'inginocchiano in direzione della Mecca per pregare Allah e quelli che cominciano a non tollerare più né gli uni né gli altri.
lunedì 12 gennaio 2009
La cattiva strada
Abbiate pazienza. Questo post sarebbe stato una battuta ed è diventato una cosa un po' più lunga e articolata per quel curioso impasto di rimandi, rimpalli mentali, coincidenze e retroterra che sovrintende le cose umane. La battuta era più o meno questa: visto l'eccesso di celebrazioni di Fabrizio De Andrè in corrispondenza del decennale della sua scomparsa c'è più di qualcuno che si sta sbagliando, che non ha letto o ha capito male le sue poesie, visto che dei semi gettati da quelle parole non si scorgono grandi frutti. Nel momento però in cui quel concetto stava per diventare un post, è insorto un dubbio: ci dev'essere dell'altro se un artista sempre in direzione ostinata e contraria riceve un tributo così corale, ecumenico, plebiscitario. E allora si è provato a darsi una spiegazione di ciò che succede con De Andrè, al di là della grandezza poetica che l'ha reso universale. E si è tentato di scorgere qualche ragione in più, meno diretta e di pancia, rispetto alla battuta.
1) Il panorama ampio di De Andrè rivela la scompostezza e la meschinità della vita di tutti i giorni; quella in cui sei pronto a maledire chi arriva un attimo prima di te e ti soffia l'unico parcheggio libero, quella dove alla macchina del caffè ti capita (se non sei pessimo) di sentirti di non poterti esimere dal sorrisino alla battuta maschilista del collega o (se sei un po' peggio) di fare tu la battuta che entra pesantemente nella vita privata di una terza persona passata di lì un istante prima; quella dove è meglio lasciar perdere le strade poco battute e buttarsi su quelle percorse dai più. Rivelandoci la scompostezza della vita comunemente considerata normale dovrebbe quindi restituirci l'immagine di noi goffi, impauriti, maldestri e maliziosi, invece no. Lo specchio in cui ci fa tuffare De Andrè cantando i margini è di un bello che non diresti mai possa arrivare dalla tragedia di Marinella o dal racconto della grettezza di un giudice. Perché De Andrè ci restituisce quello che ci manca: la dimensione della comprensione, la contemplazione della possibilità di errare e anzi la potenziale fruttuosità dell'errore stesso. De Andrè ci canta insomma il bello che abbiamo perso, quello che vorremmo essere. E piacendoci quelle parole, ci sentiamo un po' più a posto con la coscienza, un po' meglio di quello che siamo quotidianamente.
2) Piacendoci i testi di De Andrè, si sentiamo mondati, insomma. Ma non solo. Ci sentiamo anche gratificati nel gusto dell'essere contro che la nostra fame di integrazione ci ha fatto ingoiare ma che cova sotto la cenere (che poi ci sia chi il gusto dell'andare contro non l'ha mai provato neanche nella culla è un altro discorso). Anzi. Piacendoci De Andrè non siamo neanche costretti a fare o dire qualcosa contro, ci basta il gusto di pensare: ha ragione. E così, siamo un po' contro anche noi, pure se indossiamo tutti i giorni la camicia bianca e la cravatta blu (che poi c'è chi le indossa senza accorgersene neanche, ma anche questo è un altro discorso).
3) Nell'esplosione della De Andrè-mania c'è anche un po' di (in)sano conformismo. Perché come fai a non stare contro le prostitute che infestano le nostre strade, ma allo stesso tempo come fai a non stare con Bocca di Rosa che ha contro le comari del paesino? Come fai a non stare con Marinella anche se lei è tutte le donne che subiscono violenza ogni giorno ma tu non te ne accorgi neanche e anzi, contribuisci a volte ad alimentare l'immagine collettiva della donna che sì, è pari però anche un po' no? Come fai a non essere contro la guerra ascoltando la storia di Piero ma allo stesso tempo non accodarti a chi dice che bè, a questi musulmani occorre rimetterli al loro posto? E come fai a non essere vicino ad Andrea che aveva un amore coi riccioli neri maschio pure lui ma a non provare il gusto della battuta sulla verginità del di dietro di chi frequenta un certo tipo di locali? Ecco in tutti questi atteggiamenti che potrebbero apparire schizofrenici c'è il comune denominatore del conformismo che i testi di De Andrè mettevano alla berlina. E chissà quanto ne sarebbe contento lui, il cantore della cattiva strada, il cantore del letame da cui possono nascere diamanti, il cantore dei vicoli bui delle puttane criminalizzati di giorno e frequentati di notte, di questa unanimità conformistica; chissà quanto e se sarebbe contento allo scoprire che questa società nevrastenica che non esige altro che legge e ordine lo ama, lui, che comprese e perdonò i suoi rapitori. E allora, dopo aver detto che ha toccato con i suoi testi punte di universalità, il blog lo saluta in maniera non conformista, mandandogli a dire che Creuza de mà sarebbe uno di quei dischi che si caricherebbero sull'Ipod se si fosse in partenza senza ritorno per Marte, ma che alcune altre sue cose dal punto di vista musicale sono state davvero noiose e si salvano solo per le poesie che accompagnavano.
1) Il panorama ampio di De Andrè rivela la scompostezza e la meschinità della vita di tutti i giorni; quella in cui sei pronto a maledire chi arriva un attimo prima di te e ti soffia l'unico parcheggio libero, quella dove alla macchina del caffè ti capita (se non sei pessimo) di sentirti di non poterti esimere dal sorrisino alla battuta maschilista del collega o (se sei un po' peggio) di fare tu la battuta che entra pesantemente nella vita privata di una terza persona passata di lì un istante prima; quella dove è meglio lasciar perdere le strade poco battute e buttarsi su quelle percorse dai più. Rivelandoci la scompostezza della vita comunemente considerata normale dovrebbe quindi restituirci l'immagine di noi goffi, impauriti, maldestri e maliziosi, invece no. Lo specchio in cui ci fa tuffare De Andrè cantando i margini è di un bello che non diresti mai possa arrivare dalla tragedia di Marinella o dal racconto della grettezza di un giudice. Perché De Andrè ci restituisce quello che ci manca: la dimensione della comprensione, la contemplazione della possibilità di errare e anzi la potenziale fruttuosità dell'errore stesso. De Andrè ci canta insomma il bello che abbiamo perso, quello che vorremmo essere. E piacendoci quelle parole, ci sentiamo un po' più a posto con la coscienza, un po' meglio di quello che siamo quotidianamente.
2) Piacendoci i testi di De Andrè, si sentiamo mondati, insomma. Ma non solo. Ci sentiamo anche gratificati nel gusto dell'essere contro che la nostra fame di integrazione ci ha fatto ingoiare ma che cova sotto la cenere (che poi ci sia chi il gusto dell'andare contro non l'ha mai provato neanche nella culla è un altro discorso). Anzi. Piacendoci De Andrè non siamo neanche costretti a fare o dire qualcosa contro, ci basta il gusto di pensare: ha ragione. E così, siamo un po' contro anche noi, pure se indossiamo tutti i giorni la camicia bianca e la cravatta blu (che poi c'è chi le indossa senza accorgersene neanche, ma anche questo è un altro discorso).
3) Nell'esplosione della De Andrè-mania c'è anche un po' di (in)sano conformismo. Perché come fai a non stare contro le prostitute che infestano le nostre strade, ma allo stesso tempo come fai a non stare con Bocca di Rosa che ha contro le comari del paesino? Come fai a non stare con Marinella anche se lei è tutte le donne che subiscono violenza ogni giorno ma tu non te ne accorgi neanche e anzi, contribuisci a volte ad alimentare l'immagine collettiva della donna che sì, è pari però anche un po' no? Come fai a non essere contro la guerra ascoltando la storia di Piero ma allo stesso tempo non accodarti a chi dice che bè, a questi musulmani occorre rimetterli al loro posto? E come fai a non essere vicino ad Andrea che aveva un amore coi riccioli neri maschio pure lui ma a non provare il gusto della battuta sulla verginità del di dietro di chi frequenta un certo tipo di locali? Ecco in tutti questi atteggiamenti che potrebbero apparire schizofrenici c'è il comune denominatore del conformismo che i testi di De Andrè mettevano alla berlina. E chissà quanto ne sarebbe contento lui, il cantore della cattiva strada, il cantore del letame da cui possono nascere diamanti, il cantore dei vicoli bui delle puttane criminalizzati di giorno e frequentati di notte, di questa unanimità conformistica; chissà quanto e se sarebbe contento allo scoprire che questa società nevrastenica che non esige altro che legge e ordine lo ama, lui, che comprese e perdonò i suoi rapitori. E allora, dopo aver detto che ha toccato con i suoi testi punte di universalità, il blog lo saluta in maniera non conformista, mandandogli a dire che Creuza de mà sarebbe uno di quei dischi che si caricherebbero sull'Ipod se si fosse in partenza senza ritorno per Marte, ma che alcune altre sue cose dal punto di vista musicale sono state davvero noiose e si salvano solo per le poesie che accompagnavano.
Giove permettendo
Imprevisti e accidenti a parte, se vi interessa la radio ricomincia a trasmettere con una qualche accettabile regolarità (e la playlist di oggi è molto rock).
venerdì 2 gennaio 2009
Se non l'avete ancora visto (recensione minima)
Come dio comanda merita il prezzo del biglietto d'ingresso al cinema. E forse anche qualcosa (forse molto) di più.
Buoni propositi (il lato oscuro della tecnologia)
Qui si continuano ad acquistare e ricevere in regalo delle calamitanti Moleskine ma sempre più spesso, compressi dal tempo che manca per mettere nero su bianco le cose, per ricordare quelle fatte in un determinato giorno o periodo si riesumano scontrini, biglietti di mezzi di trasporto vari e/o di mostre ed eventi seguiti, si consulta il registro delle telefonate fatte e ricevute al cellulare e quello degli sms. A volte, addirittura, si ricorre all'estratto del conto corrente e non di rado alla rete. Nel 2009 ci si ripromette di tornare alla cara, vecchia scrittura con carta e penna.
giovedì 1 gennaio 2009
In musica
Il post che inaugura l'anno ha un sapore sempre un po' speciale e il titolare qui cercava un argomento all'altezza per cominciare il 2009. Il pretesto me lo dà una sorta di gioco che s'è fatto la notte appena alle spalle. Prendendo spunto da un vecchio speciale di Xl, è stata messa a confronto la classifica di diverse persone lì presenti dei tre album "da avere assolutamente" dei Rolling Stones. Qui s'è risposto: Sticky fingers, Exile on main street e Beggars banquet (l'ordine non è casuale). Poi è spuntata la rivista e, complici i numerosi brindisi, tutti hanno ritenuto di leggere che quello era lo stesso trittico scelto dal redattore (che pur se tacciato di sparare cazzate, si chiama sempre Bertoncelli). Poi si è tornati a casa, si è scovato l'articolo e si è constatato che le due classifiche non coincidono perfettamente. Poco male, Let it bleed, cioè l'ellepì che rende le due graduatorie non coincidenti, il titolare qui l'aveva comunque inserito tra i "quasi fondamentali", cioè dove lo stesso Bertoncelli colloca comunque Exile on main street. Per la cronaca, mentre avveniva tutto questo dallo stereo suonava It's only Rock'n'roll e cinque pargoli, il più anziano dei quali nato a distanza di venticinque anni dall'uscita del disco, si dimenavano a ritmo.
PS: a proposito, come diceva quello: buon anno ragazzi.
Wikipedia, Xl, Youtube
PS: a proposito, come diceva quello: buon anno ragazzi.
Wikipedia, Xl, Youtube
martedì 30 dicembre 2008
Cose che si vedono in giro (di questi tempi)
Un portachiavi penzolante dalla tasca dei jeans della persona che ti sta davanti in fila all'ufficio postale con su scritto: "Shalom".
lunedì 29 dicembre 2008
Apparenza (post effimero)
Non conoscendola, non si ha nulla da dire in merito alla vicenda che ha portato alle dimissioni di Di Pietro jr dall'Idv comunicate attraverso il blog del padre (un figlio che comunica attraverso il blog del padre, poi dicono che gli anziani sono indietro in tecnologia rispetto ai giovani). Ma no, a pensarci bene una cosa la si può dire: Di Pietro jr, oltre a essere uno dei pochi figli indietro in tecnologia rispetto al padre, fisicamente sembra il padre di suo padre.
Di Pietro
venerdì 26 dicembre 2008
Buone feste
Anche se magari può esservi capitato il 24 pomeriggio di avere scoperto che il rubinetto della cucina perde acqua da sotto e siete stati costretti a chiuderlo per aprirlo solo in casi di stretta necessità e il 26 che la vostra auto si sia messa a camminare con un cilindro in meno. Non vi è capitato? Certo, queste sono cose che succedono solo nella fantasia.
martedì 23 dicembre 2008
Wizzo Awards 2008
- Disco in copyright: Sigur Ros - Med sud I eyrum vid spilum endalaust
- Disco in copyleft (ex aequo) : The Vox - The woman who lives in the aeroplane; Brad Sucks - Out of it
- Libro: Sandrone Dazieri - E' stato un attimo (letto in ritardo di due anni rispetto all'uscita, ma non si può mica essere sempre puntuali)
- Film: Into the wild
giovedì 18 dicembre 2008
Stime
Tra i diversi biglietti augurali che piovono in questi giorni me n'è arrivato uno con questa frase di George Orwell: "Se la libertà significa qualcosa, allora significa diritto di dire alle persone le cose che non vogliono sentire". Stimavo già la persona che me l'ha inviato, dopo la lettura il sentimento è cresciuto.
mercoledì 17 dicembre 2008
sabato 13 dicembre 2008
Realtà virtuale
Il bello di Facebook è che lì hai amici che poi incontri per strada e neanche li saluti.
(battuta raccolta nel mondo reale)
(battuta raccolta nel mondo reale)
Musicoterapia
Assorbito da incombenze lavorative e genitoriali erano anni che non ricordavo quant'è gratificante svegliarsi al mattino e senza neanche aver aperto bene gli occhi, infilare nel lettore cd Sticky fingers e ascoltare Brown sugar al volume che merita.
giovedì 11 dicembre 2008
Scontato
Se da più parti ti segnalano che stai scivolando a destra, all'inizio reagisci stizzito, poi ti torna in mente che alle ultime elezioni politiche hai messo due croci (qui le puntate precedenti), una delle quali è la più a destra che tu abbia mai vergato su una scheda elettorale ma pur sempre al di qua del limite; alla fine ti dici che sì, sarai pure cambiato: semplificando, non accetti più di ragionare per partito preso e ti sei fatto più elastico, ma rimani sempre convinto che ci sono gli sfruttati, che ben più della metà del mondo è alla canna del gas e che quindi questo non è un sistema complessivamente ragionevole e che ambiente, libertà in generale e delle donne in particolare e qualità della vita sono capitoli che a svilupparli si farebbe la rivoluzione. Sì, alcune cose che davi per scontate ora le guardi con occhio critico. Per esempio: se ritieni che un altro mondo è possibile, devi tener conto che anche altri hanno la libertà di poterlo fare pensandolo in maniera diversa dalla tua, il mondo; puoi rimanere convinto che la chiesa, anzi, le chiese, sono istituzioni spesso dannose oltre che inutili, ma un conto è confutare ragionando i loro dogmi, altro è voler mettere il bavaglio ai loro rappresentanti o ai loro seguaci; ancora, non è detto che uno che ha votato in maniera diversa dalla tua sia per forza minus habens. Sono tre delle cose che mi sono venute in mente e che qualsiasi persona leggendole dirà a se stessa: ma sono scontate. E invece no, non sono scontate. Qui si continua tuttora a leggere quotidianamente un giornale dalla parte del torto, ma si è stati per lungo tempo intimamente convinti di aver ragione, sempre e comunque. Non sono cose scontate. La prova del nove è che se al posto di questa roba barbosa e tendenzialmente antipatica perché ti rovescia contro lo specchio in cui non vorresti mai vederti, ci si mettesse a scrivere: morte al papa, politici merdosi, Berlusconi fascista e Veltroni servo, si riscuoterebbe una serie di commenti positivi che solleticherebbe tanto l'ego. Certo, ci sarebbe la controindicazione che ci si sentirebbe come il bambino che dice cazzo, cacca e pipì per attirare l'attenzione dei grandi. Ecco, siccome quella fase qui si ritiene d'averla superata da tempo, ora si scrivono cose noiose, tendenzialmentre problematiche e sicuramente trascurabili per il prosieguo delle attività del genere umano su questa terra; che vengono lette, magari, ma non accendono le viscere per quei bei commenti tipo: sì, ben detto, dagli giù. Perché contemplare le complessità è meno coinvolgente dell'assolutizzare le proprie ragioni. E (s)ragionare per slogan è assai efficace, nell'eterno breve periodo in cui siamo sospesi. E se ti rifiuti di farlo rischi di diventare di destra. Di destra? Ma come, non è nel Dna della destra assolutizzare e in quello della sinistra relativizzare? Sì ma solo se c'è il papa che dice no al relativismo, allora si relativizza, sennò si assolutizza. Ok basta, si è scritto più di abbastanza.
mercoledì 10 dicembre 2008
No, così no
Già scioperare contro la crisi è un po' come protestare contro le condizioni meteo avverse, se poi si arriva alle stime preventive di presenze in piazza, non si sa davvero più cosa pensare.
Cgil, Repubblica
Cgil, Repubblica
martedì 9 dicembre 2008
Per esempio (della sinistra, delle città)
Una sinistra in crisi di identità potrebbe cominciare a leggere questa roba e trarne qualche spunto.
Repubblica
Repubblica
venerdì 5 dicembre 2008
Non per amore ma per soldi
Care gerarchie ecclesiastiche, il titolare qui mantiene nei vostri confronti un atteggiamento laico, nonostante non riesca neanche a comprendere la vostra stessa presenza su questa terra. Mi spiego: quando parlate di preservativi e/o tentate di imporre tempi e modi dello stare in società, non vi si prende proprio in considerazione, seppure non vi si toglierebbe mai il diritto di parola. Altre volte, quando vi cimentate sui temi dell'inizio e della fine dell'esistenza, della procreazione, dell'eugenetica, dei rapporti tra scienza e vita insomma, vi si ascolta rispettosamente pur condividendo poco di quello che dite. Anzi, vi si invidia anche, capaci come siete di focalizzare una delle questioni centrali per il genere umano oggi, qualità davvero rara in giro. Ma, qui sta il punto, nonostante da queste parti si sia convinti che il vostro agire terreno abbia assai poco di spirituale e quindi si debba essere preparati più di altri, si rischia sempre un rigurgito di pesante ancticlericalismo ogni volta che ci si trova davanti a notizie come questa. Perché vi si riconosce il diritto a blaterare quanto volete su tutti i campi dello scibile: provvidenzialmente sono finiti i tempi in cui avevate diritto di vita e di morte sulla gente, così la vostra parola non è più così condizionante (almeno alle nostre latitudini, ché altrove i vostri omologhi, o i loro seguaci, con cui vi contendete il controllo planetario della sfera non legata alla materia ne fanno di ogni). A volte anzi, la vostra voce è anche interessante da sentire, nonostante pieghiate tutto ai vostri interessi superiori. Ma mi piace farvi sapere che io a voi non darei neanche un centesimo dei miei, preferendo che venissero impiegati per chiudere le crepe delle scuole pubbliche (cioè di tutti) che crollano qua e là nel mio paese. Invece voi trovate sempre il modo per spillarmene senza che io possa fare nulla. E ci abbellite le vostre di scuole, dove non si sa perché dobbiate avere il diritto di pagare i vostri insegnanti con i miei soldi.
Corriere
Corriere
mercoledì 3 dicembre 2008
Visti da lontano (post datato)
Mi sono fatto prendere dalla nostalgia e dopo essermi ubriacato per mesi con nuove uscite musicali o almeno con roba relativamente fresca, ho incaricato il mulo che lavora nel mio pc di restituirmi qualche disco uscito quando ancora i cd non esistevano e che io avevo fruito ai tempi su cassette che ora non hanno più supporti per essere ascoltate. Tra le cose che il mulo s'è caricato addosso c'è Steeltown dei Big Country. Un disco uscito nel 1984, anno in cui in Italia, nella classifica dei singoli più venduti finì al quarantasettesimo posto "I love Rockfeller" di Luis Moreno. Tutto questo preambolo per dire che quando finì nel mio piuttosto nutrito bagaglio musicale dell'epoca, quel disco piacque ma non stregò. C'erano gli U2, gli Alarm, i Cult, i Cure, giusto per fare qualche nome, e Steeltown lo si ascoltò con gusto, ma insomma non ci si perse la testa. A risentirlo a distanza di anni invece, quell'ellepì (si diceva così) ha una freschezza, dei suoni e un tiro complessivo senza alcuna caduta che potrebbe essere stato pubblicato oggi e figurare molto bene. A differenza di quanto succede per altri dischi all'epoca, senz'altro più consumati dagli ascolti del titolare qui, che li risenti adesso e gli vedi addosso tutte le rughe inflitte dal tempo. Ecco, Steeltown si è mantenuto in forma, niente affatto imbolsito, come se avesse fatto sport e limitato gli effetti degli stravizi. Un po' come la compagna di liceo sempre anonima e in disparte, che la rivedi donna e le domanderesti: "E tu dov'eri?". La stessa sensazione mi capitò di provarla parecchio tempo fa con Ultramega ok dei Soundgarden, oscurato dal primo album dei Jane's Addiction (un capolavoro, in effetti, ma questo è un altro discorso) che furoreggiava sul lato A della stessa cassetta. Ma in questo caso il ripensamento fu abbastanza tempestivo. Per scoprire lo splendido giovanotto che è diventato Steeltown invece, c'è voluto quasi un quarto di secolo.
Hit parade Italia
Hit parade Italia
martedì 2 dicembre 2008
Réclame
Corriere della Sera e Stampa escono oggi, rispettivamente alle pagine 22-23 e 18-19, con una pagina doppia di pubblicità Telecom sopra la quale c'è una pagina giornalistica. Come la pubblicità è identica, medesimo è il servizio: l'acqua alta a Venezia. Tanto che a voler pensar male si potrebbe concluderne che anche la scelta della parte giornalistica abbia visto il coinvolgimento dell'azienda inserzionista. Ma qui non siamo abituati a pensar male.
giovedì 27 novembre 2008
On the road
Magari hai già una poco lusinghiera opinione su come è organizzata la mobilità nella città in cui vivi (che poi, purtroppo, vale un po' per tutte le città); magari un giorno sei costretto a lasciare l'auto dal meccanico e magari decidi di circolare a piedi, senza prendere mezzi (che poi si aprirebbe un altro capitolo, ma lasciamo stare); magari constati che i chilometri che normalmente percorri in macchina, a farli a piedi rischi ogni attimo l'incolumità (no marciapiedi, scarsa illuminazione, eccetera). E magari torni a casa con l'opinione iniziale che si è radicata un po' di più: altro che chiusura dei centri storici, altro che camminare fa bene, altro che ciance. I pedoni, semplicemente, non rientrano nell'orizzonte (ristretto) delle giunte comunali. Cetto Laqualunque ci farebbe la campagna elettorale ("se vedi un pedone schiaccialo, l'amministrazione ti premia, perché è pericoloso socialmente, rischi anche l'incidente per evitarlo, cazzuiu!").
Più lento che rock
Mi è appena capitato di ascoltare La Cura di Battiato cantata da Celentano, che, con tutto il rispetto, a tratti ricorda Claudio Villa.
Ah, la civiltà
A: "Ieri sera ho sentito che mi stava venendo la febbre, così ho preso subito l'antibiotico".
B: "Ma sei matto? E che hai preso?".
A: "Boh, non ricordo, la prima cosa che ho trovato in casa. Sai, in questi giorni ho parecchio da fare. Ho anche raddoppiato la dose".
Alcuni di voi leggendo questo scampolo di conversazione non avranno fatto una piega, magari abituati a ingurgitare di tutto. Io al contrario, come mi auguro altri di voi, sono saltato sulla sedia quando l'ho ascoltata. C'ho riflettuto su e ho pensato che la reazione fosse dettata dalla mia attitudine anti-farmaci. Ma ho capito che una parte consistente di ragione, quel mio salto sulla sedia ce l'aveva. Perché prima di scrivere un post che avrebbe potuto essere innervato dall'ignoranza, in cerca di risposte mi sono imbattuto in questo sito che mi ha confermato come quelle che adotto sono tutto sommato buone pratiche e che mi permetto di suggerirvi di consultare in caso di aumento della temperatura, vista la stagione.
Amico pediatra
B: "Ma sei matto? E che hai preso?".
A: "Boh, non ricordo, la prima cosa che ho trovato in casa. Sai, in questi giorni ho parecchio da fare. Ho anche raddoppiato la dose".
Alcuni di voi leggendo questo scampolo di conversazione non avranno fatto una piega, magari abituati a ingurgitare di tutto. Io al contrario, come mi auguro altri di voi, sono saltato sulla sedia quando l'ho ascoltata. C'ho riflettuto su e ho pensato che la reazione fosse dettata dalla mia attitudine anti-farmaci. Ma ho capito che una parte consistente di ragione, quel mio salto sulla sedia ce l'aveva. Perché prima di scrivere un post che avrebbe potuto essere innervato dall'ignoranza, in cerca di risposte mi sono imbattuto in questo sito che mi ha confermato come quelle che adotto sono tutto sommato buone pratiche e che mi permetto di suggerirvi di consultare in caso di aumento della temperatura, vista la stagione.
Amico pediatra
mercoledì 26 novembre 2008
Serioso e faceto
Stamattina la questione Luxuria è stata presa qui seriosamente, rinfrancatevi lo spirito.
Wittgenstein
Wittgenstein
Tu chiamala se vuoi rivoluzione
Ammetto di stare per scrivere di una cosa che non conosco: mi sono sintonizzato sul canale che trasmetteva l'Isola dei famosi un numero di volte non più alto di quello delle dita di una mano e quando l'ho fatto ci sono rimasto il tempo utile a trovare il pulsante sul telecomando per cambiare. Niente snobismo: è che, a meno che non abbia voglia di obnubilarmi la mente parcheggiando momentaneamente il cervello, le trasmissioni in cui si scatenano artatamente liti e/o lo spettatore è messo nelle condizioni di sentirsi come se potesse liberamente guardare dal buco della serratura m'interessano poco. Tanto che, visto il successo che riscuotono e la mia contestuale idiosincrasia, sto pensando seriamente di cercare qualche libro utile a capirne le ragioni, poiché credo seriamente che ci sia qualcosa che mi sfugge. Se quindi parlo dell'Isola (è così che la definiscono gli aficionados, mi sembra) è solo perché Luxuria ha vinto l'edizione appena chiusa. Ecco, io ho nutrito perplessità quando Rifondazione decise di far eleggere Luxuria in parlamento. Perché avevo il sospetto che si trattasse di una scorciatoia per affrontare temi pure importanti. Poi mi sono ricreduto perché Luxuria, che non conoscevo, l'ho sentita parlare e ragionare; bene, dal mio punto di vista. E sono giunto alla conclusione che Luxuria non era stata scelta solo come un simbolo ma come un cervello ragionante. Per questo quando ha deciso di andare all'Isola dei famosi, se fossi stato Di Pietro avrei detto: e che c'azzecca? Poi Luxuria all'Isola dei famosi ha addirittura vinto. E ieri, la prima tentazione dopo aver constatato che Liberazione considerava la vittoria come una sorta di segno della rivoluzione imminente (se non addirittura già avvenuta), ho avuto una prima tentazione di scrivere un post sarcastico. Poi mi sono fermato: i cambiamenti passano anche da cose come questa, mi sono detto tra mille dubbi. Oggi poi ho letto Norma Rangeri sul manifesto:
Liberazione, il manifesto
La povera Luxuria è entrata nello show come un volantino stampato ("parlerò dei problemi sociali e politici"), e ne è uscita come una donnetta da ballatoio. Il massimo della popolarità lo ha infatti raggiunto con la spiata di un flirt tra una bella argentina (Belen Rodriguez) e un rubacuori del jet-set (Rossano Rubicondi), marito di Ivana Trump. "Vi siete baciati", svela Luxuria. "Dici questo perché sei invidiosa di me che sono una donna vera", ribatte Belen. Altro che "rottura del tabù dell'eterosessualità", come scrive Liberazione. Semmai l'incoronazione della reginetta del pettegolezzo nazionale, l'apoteosi del meccanismo conformista che spinge la macchina della televisione nazionale. Viceversa dovremmo sostenere che Cristiano Malgioglio o Platinette sono i portabandiere della libertà sessuale, il Costanzo show la barricata della rivoluzione di genere e il Billionaire di Briatore l'avanguardia dell'emancipazione femminile.E poi, sempre sul manifesto, ho visto la vignetta di Vauro. Prima di leggere Rangeri non conoscevo neanche l'esistenza di Rodriguez, Rubicondi e Trump (oddio come sono passato) ma le cose, pur nel disordine, sono tornate al loro posto.
Liberazione, il manifesto
lunedì 24 novembre 2008
Quanto
Al di là di quello che ognuno ci trova, al di là del gusto di ricercare nomi la cui memoria è sprofondata sotto la mole degli anni e sorprendersi a rivedere la foto di qualcuno che ricordavi come non è più, facebook è anche questo: "Tu quanti amici hai?" (domanda da un collega all'altro durante il lavoro).
mercoledì 19 novembre 2008
Obama e noi
Per tutti quelli che "non cambierà niente" e un po' anche per quelli che "cambierà tutto", Ida Dominijanni sul manifesto di ieri (che il giorno stesso dell'uscita non è in rete).
il manifesto
il manifesto
martedì 18 novembre 2008
Le domande della vita#4
Vi è mai capitato, dopo l'assaggio di rito, di rifiutare una bottiglia di vino al ristorante? Entro quali termini la bottiglia non va pagata? Io penso che se il liquido contenuto sa di tappo oppure è palesemente andato a male, il cambio di bottiglia è di diritto (anche se sono convinto che in alcuni posti occorrerebbe quasi arrivare alle vie legali per ottenerlo). Ma se, poniamo, il vino, semplicemente, non è di gradimento dell'avventore, come si procede? In teoria, visto che lo si fa assaggiare, il cambio dovrebbe rimanere un diritto, o no?
lunedì 17 novembre 2008
lunedì 10 novembre 2008
Così, di getto
A pelle. Ma qui si ha come l'impressione che la portata dell'elezione di Obama l'abbia percepita meglio il PresdelCons che l'opposizione. Il primo, testimonia la presa d'atto più che con le sue battute ipercommentate, con la mimica nervosa e scattante che lo sta quasi trasformando nella caricatura di sé stesso mentre le enuncia e tenta di spiegarle il giorno dopo; la seconda, con la vuota litania balbettante: crescita-aiuti-alle-imprese-e-alle-famiglie, con cui anche oggi all'ora di pranzo ha riempito i tg.
sabato 8 novembre 2008
Le belle bandiere
Se qualcuno ha avuto la ventura ieri sera di imbattersi nella lunga striscia di informazione di terza serata del Tg3 e ha capito il senso della bandiera degli Usa utilizzata come logo nell'angolo in basso a destra del teleschermo (probabilmente era lì anche le sere precedenti ma il titolare qui non ha avuto la fortuna di seguire il programma essendo impegnato in altro), lasci un commento o mandi una mail. Qui nel frattempo si riflette su cosa si sarebbe detto se dopo la vittoria di Bush, Porta a Porta o il Tg4 avessero fatto la stessa cosa.
mercoledì 5 novembre 2008
Forse
Sapendo relativamente poco di lui, da queste parti ci si può concentrare solo su questioni simboliche e andare per pochi punti schematici, sommari e probabilmente eccessivamente seriosi.
1) Gli Stati uniti sono un grande paese. Anzi sono tanti paesi diversi, non ne esiste uno solo: c'è quello che quattro anni fa ha confermato in massa uno dei peggiori presidenti della storia e quello che ieri notte ha consentito l'elezione di una persona che ancora oggi non avrebbe possibilità in alcun paese europeo. Lo dice uno che non ha mai amato e continua a non amare l'american way of life comunemente inteso, che, come tutte le generalizzazioni, non aiuta a capire neanche un po' ciò che succede davvero. E lo dice uno cresciuto con un pregiudizio verso gli Usa che tutto sommato continua a lavorargli dentro. Sinistri, guardatevi dentro e ditevi allo specchio che non è vero. Il che non equivale a sostenere che lì c'è il paradiso e a negare che da lì non siano partite cose turpi verso i quattro angoli del pianeta. Vuol solo dire che le cose ci si deve sforzare di guardarle evitando di incasellarle per forza in griglie precostituite.
2) La realtà davanti ai nostri occhi sembra fissa ma non lo è. Cose irraggiungibili vent'anni fa (do you remember Jesse Jackson?) sono diventate tangibili oggi. L'utopia serve a seminare, guardare avanti e raggiungere obiettivi: insomma, è realisticamente praticabile, lo dimostra quello che è successo poche ore fa. Si ricredano i rigidi e i lamentatori di professione contro il mondo brutto, sporco e cattivo.
3) La conseguenza diretta di quello che si è appena scritto è che forse (forse) questa elezione cambia qualcosa davvero in maniera irreversibile. In questo senso è tecnicamente una rivoluzione. Ciò addirittura a prescindere da quali saranno le politiche concretamente adottate da Obama. Tanto è alta la carica simbolica di quello che è successo. E i simboli contano.
1) Gli Stati uniti sono un grande paese. Anzi sono tanti paesi diversi, non ne esiste uno solo: c'è quello che quattro anni fa ha confermato in massa uno dei peggiori presidenti della storia e quello che ieri notte ha consentito l'elezione di una persona che ancora oggi non avrebbe possibilità in alcun paese europeo. Lo dice uno che non ha mai amato e continua a non amare l'american way of life comunemente inteso, che, come tutte le generalizzazioni, non aiuta a capire neanche un po' ciò che succede davvero. E lo dice uno cresciuto con un pregiudizio verso gli Usa che tutto sommato continua a lavorargli dentro. Sinistri, guardatevi dentro e ditevi allo specchio che non è vero. Il che non equivale a sostenere che lì c'è il paradiso e a negare che da lì non siano partite cose turpi verso i quattro angoli del pianeta. Vuol solo dire che le cose ci si deve sforzare di guardarle evitando di incasellarle per forza in griglie precostituite.
2) La realtà davanti ai nostri occhi sembra fissa ma non lo è. Cose irraggiungibili vent'anni fa (do you remember Jesse Jackson?) sono diventate tangibili oggi. L'utopia serve a seminare, guardare avanti e raggiungere obiettivi: insomma, è realisticamente praticabile, lo dimostra quello che è successo poche ore fa. Si ricredano i rigidi e i lamentatori di professione contro il mondo brutto, sporco e cattivo.
3) La conseguenza diretta di quello che si è appena scritto è che forse (forse) questa elezione cambia qualcosa davvero in maniera irreversibile. In questo senso è tecnicamente una rivoluzione. Ciò addirittura a prescindere da quali saranno le politiche concretamente adottate da Obama. Tanto è alta la carica simbolica di quello che è successo. E i simboli contano.
lunedì 3 novembre 2008
Election day
Analisi del sangue, dentista, notaio, carrozziere. Pare che McCain abbia preso una serie di appuntamenti per il dopo 4 novembre, dicendo a tutti di essere finalmente libero da impegni di diversa natura.
venerdì 31 ottobre 2008
La seconda età
Chi frequenta questo blog sa che non è di quelli a sfondo personal-esistenziale. Perciò questo post, superficiale quanto si vuole, è rimasto sospeso per un paio di giorni prima di diventare tale, prima di arrivare alla conclusione cioè che non di tirata esistenziale si tratta, o almeno non solo. Mi telefona per questioni di lavoro una persona che ha avuto incarichi di primo piano a livello politico e mi confida che ora, da semplice consigliere regionale, è tornato a fare l'anarchico che era in gioventù. Sono due giorni, dopo aver riattaccato, che mi ronza in testa l'idea che la seconda età, almeno nelle società occidentali, sia in parte una grande messa in scena illuminata dal principio precettivo che lascia in ombra le sfere più intime, fluide, elastiche e calde. E la società in cui siamo immersi, tirata da quelli che stanno in seconda età, è uno specchio abbastanza fedele di tutto ciò.
martedì 28 ottobre 2008
Ecco, diglielo tu
Avete presente quando uno comincia ad irritarsi davanti alla tv perché vede imbastire dei servizioni di finto approfondimento giornalistico intorno a quella banalità del ritorno del '68 in occasione di una protesta studentesca? Ecco, per fortuna poi c'è la ragazza dell'86 che spiega al cronista di turno: "Certo che lo conosco il '68, ma lì la protesta era contro un certo tipo di società, mentre noi siamo contro un decreto legge e basta".
domenica 26 ottobre 2008
Tempi duri
Ci sono sintomi secondari ma significativi dello scivolamento verso il basso. Questo rientra nella categoria: per una quindicina d'anni, quando è stata all'opposizione, la minoranza della minoranza ha avuto come punto di riferimento Fausto Bertinotti, oggi la stella polare è Antonio Di Pietro.
venerdì 24 ottobre 2008
giovedì 23 ottobre 2008
Chiama l'uno-uno-tre
Dice, è fascista. A parte che nell'arco di ventiquattr'ore ha cambiato idea. E poi su, un po' di rispetto, per essere fascisti bisogna crederci, investirci in un po' di idee, pur balzane che siano. Berlusconi investe solo in attività redditizie e se proprio uno vuole trovare un aggettivo adatto alla bisogna è protofascista. Lui viene prima del fascista, che è una cosa decisamente più strutturata: la socialità, l'ingresso delle masse nello stato (magari sarebbe più corretto dire l'irregimentamento), l'ordine. Per Berlusconi invece conta solo l'ultimo degli elementi: l'ordine. Purché, sia ben chiaro, messo in modo di consentirgli di fare quello che gli pare. E va decisamente rivalutato, Berlusconi. Primo perché raggiunge regolarmente i suoi obiettivi evitando di impelagarsi negli scrupoli delle persone comuni. Prendiamo una delle ultime: ben pochi politici, a destra come a sinistra, sarebbero stati in grado di mostrare la mancanza di pudore necessaria per presentarsi, da presidente del Consiglio, a un'assemblea di industriali e chiamarli "colleghi" senza avere il timore di correre il rischio che la platea potesse capire che la si stava prendendo per i fondelli. Si dirà: anche lui è un industriale e gli altri politici non possono definire gli imprenditori colleghi. Ma anche chi è solo appena avveduto poteva capire da lontano un miglio che quella parola, "colleghi" era usata strumentalmente, per blandire. Però lui, che conosce bene i suoi polli, non s'è fatto problemi: sapeva anche che in quel momento l'utilizzo di quel termine avrebbe funzionato, avrebbe scaldato i cuori. E che quella platea di "bella gente" non si sarebbe accorta di nulla (platea è intesa chiaramente come soggetto collettivo, non come insieme di singoli) e avrebbe applaudito convinta.
Ma c'è di più: Berlusconi è la bella copia, cioè quella vincente, degli italiani che l'hanno votato. Che non sono pessimi: sono mediamente buoni padri e madri di famiglia, bravi ragazzi. Niente affatto cattivi in sé, come parte del sinistrismo ama pensarli rincattucciandosi nel suo alibi di superiorità morale. Chi di voi non ha uno zio berlusconiano col quale ride e scherza amabilmente ai pranzi di famiglia? Ha forse tre narici? Ha mai tentato di accoltellarvi alle spalle? No, sicuro. E' solo che considera le opinioni diverse dalle sue un impaccio; la cultura una perdita di tempo perché non produce nulla di concreto; l'ambiente un praticello da innaffiare quando e se c'è tempo; l'approfondimento giornalistico lo confonde con "Porta a porta" e il governo con il comando; un eroinomane, perfino uno che si fa le canne, è per lui più socialmente pericoloso di un evasore fiscale o di chi corrompe o si fa corrompere per un appalto, e anzi: questi ultimi spesso fanno parte di quella che lui definisce la "crema" della società; è garantista ma sa essere forcaiolo, dipende da chi finisce nelle maglie della giustizia. Ed è convinto che il male supremo della nostra società sia la microcriminalità pronta a tenderci agguati, anche se né lui né i suoi parenti più prossimi sono mai stati vittime di atti di violenza. Non lo fa perché è cattivo: pensa intimamente che così vanno le cose e così devono andare. Anzi: che così vanno le cose perché così devono andare. Per cui, dice e pensa intimamente lo zio berlusconiano, senza cattiveria: abbiamo vinto le elezioni, non rompete. E attenzione: lo zio berlusconiano non è neanche tanto diverso da quello di sinistra, che avrete senz'altro anche quello, pensateci bene: forse il secondo preferisce "Ballarò" a "Porta a Porta", (pensa che cambio di paradigma!) ma la macchina la compra diesel lo stesso anche se sa che inquina. Oh, non v'offendete, voi di sinistra: non ho detto che sono proprio uguali, il berlusconiano e il sinistro, ma sono assai meno dissimili di quanto appaia e spesso mettono la croce su un simbolo diverso per questioni di famiglia, di reminiscenze che si perdono nella notte dei tempi ma la cui essenza è quasi completamente stinta dopo aver preso il colore del luogo comune e del partito preso.
Ecco, riprendendo il filo e tornando allo zio berlusconiano: lui si fa il mazzo, lavora tutto il giorno e magari ha i figli che combattono per un lavoro che non c'è o che se c'è fa schifo. Berlusconi, no. Lui è la bella copia: ha tempo e soldi per pensare, convoca i migliori cervelli e sondaggia, studia, approfondisce per tirare fuori nella maniera più efficace che solo lui sa trovare gli slogan che al nostro zio piacciono di più. Poi va alle nomination, pardon, alle elezioni, prende i voti e comanda, o almeno ci prova, perché, come dire, 'ho vinto, non rompete'. Ecco, altro che fascista, è che così vanno le cose e così devono andare. E forse per sconfiggerlo il berlusconismo, se esiste, sarebbe il caso che lo zio di sinistra cominciasse a demolire i luoghi comuni in base ai quali categorizza la realtà, mettere in discussione anche le sue convinzioni e vedere semmai quale radice hanno. Solo così, ad esempio, lo zio di sinistra avrebbe spento la tv, ieri sera, dopo essersi imbattuto in Veltroni che balbettava ad Annozero di crescita, crescita, crescita per uscire dalla crisi. Sì, ma quale crescita?, avrebbe chiesto il nostro zio di sinistra alle prese con la demolizione dei suoi luoghi comuni. E avrebbe detto a sé stesso che da un leader di sinistra, progressista, liberal o definitelo voi come vi pare, è legittimo aspettarsi di più in mezzo a una crisi del genere. Sarebbe lecito aspettarsi che prenda la palla la balzo per convocare i migliori cervelli e dire urbi et orbi che così non si va avanti, che serve un new deal imperniato su rispetto delle vite umane, ambiente, innovazione, qualità, energia rinnovabile. E cultura, perché solo pensando e avendo gli strumenti per farlo meglio si può tentare di raggiungere uno stato di benessere superiore. Ma questo è un altro discorso e la rete è bella perché se avete voglia di approfondire troverete luoghi senz'altro più attrezzati di questo. Ora scusate, vado, ci sono dei ragazzini che stanno giocando a palla nel cortile e rischiano di danneggiarmi la macchina diesel nuova di zecca: devo assolutamente chiamare la polizia.
Wikipedia
Ma c'è di più: Berlusconi è la bella copia, cioè quella vincente, degli italiani che l'hanno votato. Che non sono pessimi: sono mediamente buoni padri e madri di famiglia, bravi ragazzi. Niente affatto cattivi in sé, come parte del sinistrismo ama pensarli rincattucciandosi nel suo alibi di superiorità morale. Chi di voi non ha uno zio berlusconiano col quale ride e scherza amabilmente ai pranzi di famiglia? Ha forse tre narici? Ha mai tentato di accoltellarvi alle spalle? No, sicuro. E' solo che considera le opinioni diverse dalle sue un impaccio; la cultura una perdita di tempo perché non produce nulla di concreto; l'ambiente un praticello da innaffiare quando e se c'è tempo; l'approfondimento giornalistico lo confonde con "Porta a porta" e il governo con il comando; un eroinomane, perfino uno che si fa le canne, è per lui più socialmente pericoloso di un evasore fiscale o di chi corrompe o si fa corrompere per un appalto, e anzi: questi ultimi spesso fanno parte di quella che lui definisce la "crema" della società; è garantista ma sa essere forcaiolo, dipende da chi finisce nelle maglie della giustizia. Ed è convinto che il male supremo della nostra società sia la microcriminalità pronta a tenderci agguati, anche se né lui né i suoi parenti più prossimi sono mai stati vittime di atti di violenza. Non lo fa perché è cattivo: pensa intimamente che così vanno le cose e così devono andare. Anzi: che così vanno le cose perché così devono andare. Per cui, dice e pensa intimamente lo zio berlusconiano, senza cattiveria: abbiamo vinto le elezioni, non rompete. E attenzione: lo zio berlusconiano non è neanche tanto diverso da quello di sinistra, che avrete senz'altro anche quello, pensateci bene: forse il secondo preferisce "Ballarò" a "Porta a Porta", (pensa che cambio di paradigma!) ma la macchina la compra diesel lo stesso anche se sa che inquina. Oh, non v'offendete, voi di sinistra: non ho detto che sono proprio uguali, il berlusconiano e il sinistro, ma sono assai meno dissimili di quanto appaia e spesso mettono la croce su un simbolo diverso per questioni di famiglia, di reminiscenze che si perdono nella notte dei tempi ma la cui essenza è quasi completamente stinta dopo aver preso il colore del luogo comune e del partito preso.
Ecco, riprendendo il filo e tornando allo zio berlusconiano: lui si fa il mazzo, lavora tutto il giorno e magari ha i figli che combattono per un lavoro che non c'è o che se c'è fa schifo. Berlusconi, no. Lui è la bella copia: ha tempo e soldi per pensare, convoca i migliori cervelli e sondaggia, studia, approfondisce per tirare fuori nella maniera più efficace che solo lui sa trovare gli slogan che al nostro zio piacciono di più. Poi va alle nomination, pardon, alle elezioni, prende i voti e comanda, o almeno ci prova, perché, come dire, 'ho vinto, non rompete'. Ecco, altro che fascista, è che così vanno le cose e così devono andare. E forse per sconfiggerlo il berlusconismo, se esiste, sarebbe il caso che lo zio di sinistra cominciasse a demolire i luoghi comuni in base ai quali categorizza la realtà, mettere in discussione anche le sue convinzioni e vedere semmai quale radice hanno. Solo così, ad esempio, lo zio di sinistra avrebbe spento la tv, ieri sera, dopo essersi imbattuto in Veltroni che balbettava ad Annozero di crescita, crescita, crescita per uscire dalla crisi. Sì, ma quale crescita?, avrebbe chiesto il nostro zio di sinistra alle prese con la demolizione dei suoi luoghi comuni. E avrebbe detto a sé stesso che da un leader di sinistra, progressista, liberal o definitelo voi come vi pare, è legittimo aspettarsi di più in mezzo a una crisi del genere. Sarebbe lecito aspettarsi che prenda la palla la balzo per convocare i migliori cervelli e dire urbi et orbi che così non si va avanti, che serve un new deal imperniato su rispetto delle vite umane, ambiente, innovazione, qualità, energia rinnovabile. E cultura, perché solo pensando e avendo gli strumenti per farlo meglio si può tentare di raggiungere uno stato di benessere superiore. Ma questo è un altro discorso e la rete è bella perché se avete voglia di approfondire troverete luoghi senz'altro più attrezzati di questo. Ora scusate, vado, ci sono dei ragazzini che stanno giocando a palla nel cortile e rischiano di danneggiarmi la macchina diesel nuova di zecca: devo assolutamente chiamare la polizia.
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Un po' di chiarezza
Questo è uno stralcio dell'intervista di Cossiga pubblicata oggi dalla Nazione. Serve a capire l'Italia degli anni Settanta più di mille saggi di storia.
"Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano".
"Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano".
lunedì 20 ottobre 2008
Per la precisione
Qui si parlò dei migliori concerti visti con qualche approssimazione sulle date. Poi mi è capitato di entrare in un luogo - avete presente quei posti dove si trovano ancora dischi in vinile e roba, per dire, dei Jesus and Mary Chain, dei Moda, dei Diaframma o di Julian Cope? - dov'è tuttora esposto in bella mostra il manifesto del concerto dei Rem citato: era il 17 giugno 1989 e Michael Stipe si era da poco tagliato i capelli, ma non del tutto come oggi: lì ancora li portava corti.
mercoledì 15 ottobre 2008
lunedì 13 ottobre 2008
Parole, parole, parole
Il dibattito è abbastanza retrò, il ritorno in mente c'è stato ascoltando l'ultimo disco dei Sigur Ros in cui compaiono (mi pare di capire) più testi in lingua islandese che in hopelandic, cioè quel misto di inventato e lungo-sillabato che è stato l'idioma creato di sana pianta dal cantante del gruppo. Allora, il punto è questo: se un gruppo che canta a volte in una lingua comprensibile all'incirca da trecentomila (300.000) persone al mondo e a volte in un impasto inventato può permettersi di imbastire un tour del genere e avere alle spalle questo percorso qui, perché alle giovani band che cantano in italiano qualcuno consiglia ancora di scegliere l'inglese così-è-più-facile-avere-successo? E, soprattutto, perché alcune band e alcuni solisti, anche di un qualche successo e amati da queste parti, cedono a una cosa che assomiglia tanto da vicino a un luogo comune?
Sigur Ros, Afterhours, Kdcobain
Sigur Ros, Afterhours, Kdcobain
Fiducia nel futuro
Avete presente le conferenze stampa delle forze dell'ordine? Un giorno, ne sono convinto, ci spiegheranno a che servono le persone in divisa costrette a stare zitte in piedi dietro a chi parla, comodamente seduto.
sabato 11 ottobre 2008
Imprescindibile
In un momento così grave a livello planetario, è bene soffermarsi a riflettere e partecipare. City vi invita a farlo rispondendo a una domanda che gronda di acume e intelligenza.
City
City
venerdì 10 ottobre 2008
Playlist
Mi è capitato di sedere su un mezzo pubblico accanto a un giovane studente munito di Ipod dalle cui cuffie usciva musica a un volume tale da poter riconoscere i brani a distanza. Mi scuso per le lacune sui titoli, ma le mie orecchie sono riuscite a seguire un pezzo metal, ma proprio di quelli tendenti al death e, a seguire, la canzone di Zucchero "Così celeste", che più smielato non si può, tanto che credo sia stata anche utilizzata come spot di un prodotto natalizio tipo panettone. Il primo pensiero è stato: dio che varietà; quello successivo: roba del genere non comparirebbe mai sul mio, di Ipod. Poi ho riflettuto sul fatto che scorrere le playlist delle persone è quasi un entrare in una parte del loro intimo, come succede a guardare la loro libreria o il patrimonio di cd, o al limite, l'armadio. Tempo fa ad esempio, capitò che una persona che all'epoca non conoscevo ancora, venne a casa mia una sera che io non c'ero. Mi si raccontò poi che scorrendo i titoli dei cd disse alla mia compagna: "Lo devo proprio conoscere". Be', a distanza di anni è una di quelle conoscenze che non mi pento d'aver fatto. Ora, cadrei in contraddizione con quanto detto qui se attribuissi ai gusti letterari e musicali un significato eccessivo, però, come si dice, l'eccezione conferma... eccetera.
PS: l'ultima playlist che ho messo insieme io inizia con l'Eddie Vedder di Into the wild e finisce con Besame mucho.
PS: l'ultima playlist che ho messo insieme io inizia con l'Eddie Vedder di Into the wild e finisce con Besame mucho.
Il non detto
Per trattazioni economiche approfondite, prego rivolgersi altrove. Però una cosa la si può dire in tutta tranquillità: se nessuna banca fallirà, come si affrettano ad assicurare in tanti ai quattro angoli del pianeta, sarà solo merito dei risparmiatori che non si saranno precipitati a chiedere indietro i soldi prestati in numero sufficiente da mettere in difficoltà le banche debitrici. Se dovesse scatenarsi un fenomeno del genere infatti, nessun istituto di credito sarebbe in grado di reggere. Perché al fondo di tutto c'è che i soldi sono finti: le banche li moltiplicano investendo quelli degli altri e contando sul fatto che non tutti coloro che glieli hanno prestati li vadano a chiedere indietro contemporaneamente. Una verità che anche il più scalcagnato dei laureandi in economia (e non solo) sa, ma che nell'oceano di parole, inchiostro e sicumera di questi giorni difficilmente si scorge. Meglio elucubrare su fondi, finti piani straordinariamente salvifici e bla bla bla piuttosto che attribuire valore ai soli che lo meritano in una vicenda del genere, ché poi magari si monterebbero la testa.
lunedì 6 ottobre 2008
I due lati
La cosa brutta di radio Virgin è che solitamente trasmette roba eccessivamente vitaminica con quei chitarroni inutilmente roboanti e troppo commerciali; la cosa bella è che mentre sei in macchina ti capita di beccare pezzi tipo questo che chissà quando mai avresti riascoltato dopo averli consumati su cassetta; sì, perché un tempo erano le cassette.
PS: a proposito, il pezzo regge al passare del tempo ma abbigliamento, ballerine e relative coreografie, a rivederli oggi mette quasi imbarazzo.
Youtube
PS: a proposito, il pezzo regge al passare del tempo ma abbigliamento, ballerine e relative coreografie, a rivederli oggi mette quasi imbarazzo.
Youtube
In verticale, please
Mi è capitato di andare a vedere dal vivo questo gruppo qui. Al di là del fatto che sul palco mostra un lato hardcore che da studio si intrasente soltanto, sarà che col tempo uno impara anche ad accontentarsi di poco, ma m'ha fatto piacere che a un concerto del genere il cantante, che a prima vista sembrerebbe così sopra le righe, abbia invitato il pubblico a dimenarsi in senso verticale piuttosto che in orizzontale. "Così evitate di fare male a qualcuno", ha detto. E io ho applaudito. E vi assicuro che non sono stato l'unico, pur essendo tra i più anziani in sala (che poi certi eccessi non mi piacevano neanche quando ero più giovane).
Teatro degli Orrori
Teatro degli Orrori
venerdì 3 ottobre 2008
Commercianti, occhio
Tempo fa mi è capitato di provare e acquistare poi una camicia mentre una commessa sopra le righe mandava "Su di noi" di Pupo in loop, peraltro a volume eccessivo. Ma in quell'occasione credo che il capo mi servisse per una cerimonia imminente. Oggi però, mi sono rifatto: girellavo all'interno di un negozio d'abbigliamento e dopo aver visto un paio di pantaloni che potevano interessarmi, sono entrato nel camerino. Fino a quel momento erano andati pezzi di Gianna Nannini. D'improvviso, è subentrato Gigi D'Alessio. Ma non un pezzo solo, credo che fosse un intero cd: sono fuggito lasciando lì i pantaloni.
martedì 30 settembre 2008
lunedì 29 settembre 2008
Dimenticavo
Nel corso della stessa intervista radiofonica di cui si è parlato nel post precedente, Zaccagnini ha quasi bestemmiato contro la reunion dei Queen senza Freddie Mercury (a me a dire il vero non hanno fatto mai impazzire neanche quando c'era lui) e ha benedetto invece quella dei Led Zeppelin prossima ventura perché di quei basso-chitarra-batteria e voce (anche se la batteria è una filiazione) non se ne sentono di molte in giro in grado di tenere testa a quei sessantenni.
Giù da quel piedistallo
Io questa cosa la pensavo da tempo. Ma ogni volta che mi è capitato di dirla a qualcuno ho ricevuto in cambio, al meglio, sguardi di sorpresa, come quando provi a tirare giù un santo dal piedistallo. Stavolta però posso riportarla qui attraverso la citazione di uno che a sua volta sta sul piedistallo e che non voglio tirare giù. Premessa troppo lunga per dire che sostiene Paolo Zaccagnini (e il titolare qui, molto modestamente, con lui) che "Bob Dylan è stato un grande, sì, fino al 1975". Zaccagnini l'ha detto oggi a Village insieme a molte altre cose poco lusinghiere sul nostro. L'ottima Silvia Boschero, conduttrice del programma, l'ha elogiato per essere uno che dice cose che altri non dicono. Sarà anche perché Zaccagnini, come ha tenuto a ricordare lui stesso, non scrive più su alcun giornale "da almeno tre anni, per fortuna". Non come il titolare qui, che per evitare di essere riconosciuto è costretto a celarsi. E neanche come l'ottima Boschero, che in chiusura di programma è stata costretta a presentare l'ultimo brano ricordando che era tratto dall'"ottimo ultimo lavoro di Dylan".
PS: non è un post contro Dylan, piuttosto contro il vezzo di giudicare un'opera attraverso il nome di chi l'ha partorita.
PS: non è un post contro Dylan, piuttosto contro il vezzo di giudicare un'opera attraverso il nome di chi l'ha partorita.
domenica 28 settembre 2008
Del vino
Uno prova a capire tutto. Ma il mescolamento del sagrantino con l'acqua proprio no, non ci si riesce.
venerdì 26 settembre 2008
Scova la differenza
In alcune delle foto di questa galleria compare un oggetto attorno ai polsi di una persona, niente ai polsi degli altri due.
Repubblica
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